«Anche in metastasi continuo a vivere»

Come vivono le donne con diagnosi di metastasi dopo il tumore al seno? Una paziente ci ha scritto per far conoscere la sua storia: ha pubblicato un libro e aperto un blog per raccontare a tutte le donne che avere una buona qualità di vita è possibile

Non è vero che la vita è una sola. Per chi è colpito da un tumore le vite diventano almeno due: quella prima del cancro e quella dopo. La malattia segna uno spartiacque violento tra ciò che è stato prima della diagnosi e ciò che viene dopo. «Quando la morte bussa alla tua porta perdi la sensazione di immortalità. Il corpo ti tradisce e tu sei sorpresa, incredula, cerchi brandelli di senso che non trovi e pensi che si saranno sbagliati, che non sta capitando a te, proprio a te e alla tua famiglia».

E invece sì. Capita a te e all’improvviso sei catapultata in un nuovo percorso di vita, uno scenario inedito che ti si apre davanti con un capovolgimento di prospettiva, ancora più traumatico se, oltre che di tumore al seno, si tratta di tumore al seno metastatico, cioè l’evoluzione di questo tipo di neoplasia per circa un quinto delle ammalate. Com’è successo a Barbara Biasia, che oggi ha 55 anni e da quasi 10 combatte prima con il tumore al seno e poi con le metastasi. Oggi lo racconta in un libro, Due motori per la vita, e in un blog, dove spalanca la porta sulla sua condizione ma soprattutto sulla rinascita grazie al Bungypump, la camminata nordica (Nordic Walking) con l’uso di bastoncini particolari che stimolano in modo specificoo la muscolatura del braccio, zona difficile da riabilitare dopo l’intervento di asportazione del seno.

Dalla diagnosi, al buio e alla rinascita

Barbara vive a Planaval, una manciata di case a 1.500 metri in Valgrisenche,  in Val d’Aosta, con il marito e due figli di 20 e 17 anni. Un paradiso di profumi e colori, un orizzonte segnato dall’alternarsi delle stagioni ma su cui a un certo punto cala un sipario di oscurità inaspettata. «Nel 2009 la prima diagnosi di tumore al seno, poi l’intervento all’ospedale di Aosta, il gonfiore e il dolore al braccio a causa dello scavo ascellare, il tutore per sette anni, le cure, la perdita dei capelli, la chemio e la radioterapia. Quindi la diagnosi di fibromialgia, i dolori in tutto il corpo, altri interventi dovuti a complicazioni e infine la comparsa, due anni fa, delle metastasi» racconta Barbara. Come sopravvivere, come trovare degli spiragli di normalità, come pensare di potercela fare, nonostante tutto? «L’ospedale di Aosta era diventato la mia seconda famiglia. Andavo e venivo prima con l’auto, poi con i mezzi pubblici, costretta a non poter più guidare dai danni provocati alla vista dalla chemio. Ma sempre, in ogni fase della malattia e delle cure, ho trovato un’équipe straordinaria, persone di rara umanità a cui mi sono aggrappata per restare a galla mentre tutto intorno mi sommergeva. Dopo mesi di buio, in cui mi sono lasciata vivere, un giorno ho aperto gli occhi e mi sono guardata intorno. Avevo una natura meravigliosa che mi abbracciava, le mie gambe e le mie braccia – i miei due motori. E così li ho riaccesi e con Anna, la mia cara amica che abita in un paese qui vicino, armata di bastoncini da Nordic Walking sono partita per i miei primi 100 passi. Ora faccio escursioni anche di un giorno, Anna è il mio “braccio destro” in ogni camminata, mentre nella mia vita di tutti i giorni il vero braccio destro è tornato normale. Ho tolto il tutore, sono dimagrita ma soprattutto ho capito che posso, possiamo farcela. Nel frattempo ho scoperto il Bungypump, la variante più allenante dei bastoncini classici. Ora uso quelli, sono diventata pure istruttore e accompagno sulle mie montagne le persone che vogliono provare un trekking “diverso”. Perché, nonostante le metastasi, le donne come me possono vivere una vita normale».

Il Bungypump può fare la differenza

Il Bungypump, che arriva dalla Svezia, va oltre la classica camminata del Nordic Walking. «I bastoncini hanno all’interno un elastico che offre una resistenza, la cui intensità si può scegliere. Schiacciandoli a ogni passo, si preme la resistenza e questo movimento stimola i muscoli del braccio e tutto il cingolo scapolare, quella parte del busto che usiamo molto poco nella vita quotidiana e che subisce in prima battuta le conseguenze dell’intervento chirurgico di asportazione della mammella» spiega Simona Gotta, vicepresidente dell’associazione Bungypump Italia, che ha portato in Italia la disciplina. «Questa pressione in particolare facilita il drenaggio linfatico, che nelle donne operate al seno spesso è compromesso a causa della rimozione dei linfonodi ascellari e delle cure successive di chemio e radioterapia» dice il dottor Gabriele Pozzi, radioterapista oncologo presso l’ospedale civile di Alessandria, da 30 anni in prima linea nelle cure sul tumore al seno metastatico. «La riduzione dei linfonodi compromette il drenaggio linfatico a tutto il braccio, che quindi duole molto e si gonfia. Abbiamo visto invece che camminare con questi bastoncini riduce anche l’edema ascellare, che si forma proprio a causa dell’intervento».

Inoltre camminare con questi bastoncini aiuta a dimagrire: «Si perde il 77 per cento in più di calorie rispetto a un semplice walking (nel Nordic Walking si arriva al 37 per cento) e si muovono i muscoli di tutto il corpo» aggiunge Adelio Debenedetti, master instructor di BungyPump, responsabile nazionale e formatore. Controllare il peso è importante sia nella prevenzione del cancro, sia durante le cure. «La malattia porta scompensi metabolici gravi, spesso si aumenta di peso. Il BungyPump è così efficace che all’ospedale di Alessandria stiamo lavorando a un progetto di monitoraggio su 30 donne metastatiche, per documentare l’efficacia di questa attività» prosegue il dottor Pozzi.


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Cosa vuol dire essere una donna metastatica?

Quella di Barbara è una condizione condivisa in Italia da circa 35mila donne, la cui sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi varia dal 30 al 60 per cento (dati dell’Associazione Italiana Registro Tumori). «Quando sai che il tuo tumore ha dato vita alle metastasi, la prospettiva cambia: passi dall’idea dalla guarigione alla sopravvivenza. Eppure io non mi sento una sopravvissuta: io sono viva e voglio una vita normale» dice Barbara. Difficile però avere una vita normale per pazienti come lei, che subiscono vari interventi, cicli di chemio e radioterapia mai interrotti, sedute di massaggi, agopuntura e linfodrenaggi continui. «Per tutti, noi siamo condannate, quindi ottenere le cure, trovare ascolto e riuscire ad avere una vita accettabile non è scontato. Soprattutto non lo è in alcune regioni d’Italia» aggiunge.

«Non siamo sopravvissute, possiamo vivere normalmente»

Eppure le cose stanno cambiando. Tante associazioni, in cui le donne operate al seno si radunano per fare rete, cercare informazione e conforto, stanno dando vita a una vera e propria rivoluzione culturale: quella necessaria a far sì che le pazienti con tumore metastatico accedano alle terapie per raggiungere una qualità di vita dignitosa, in ogni parte d’Italia. L’associazione Noi ci siamo è la prima nata. «Ci battiamo perché le pazienti non vengano “abbandonate” al medico di base ma siano prese in carico dal sistema sanitario in strutture complesse, con équipe specializzate (come le breast unit, già esistenti), meglio se dotate anche di uno psico oncologo» dice Marina La Norcia, presidente di Noi ci siamo. «Di tumore al seno si parla sempre, tanto, ed è giusto che sia così. Ma occorre conoscere anche la vita delle donne colpite dalle recidive,  che in genere compaiono in polmone, ossa o encefalo. Donne che dividono i loro giorni tra chemio e radioterapia, cure ormonali ed esami e che spesso si sentono considerate pazienti “a termine”».

Oggi le cure garantiscono molti anni di vita

Invece le cure oggi possono raggiungere risultati straordinari. «Le nuove terapie immunoterapiche, molto più sopportabili che in passato, oltre a tenere sotto controllo le metastasi, in molti casi le fanno perfino scomparire per un certo periodo di tempo, durante il quale le donne riescono ad avere una qualità di vita dignitosa» dice il dottor Pozzi. «Oggi sta maturando una nuova coscienza tra medici, infermieri e tecnici di radiologia nel trattare queste pazienti come persone recuperabili. L’obiettivo dev’essere radicale, cioè far scomparire la malattia, non curare il singolo sintomo. Le donne metastatiche devono essere considerate malati cronici, non pazienti senza alcuna prospettiva di vita perché, anzi, oggi questa prospettiva si allarga sempre di più, in alcuni casi anche di decenni dopo la diagnosi di metastasi da tumore al seno».

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