Ken Kingsley

Ben Kingsley è Salvador Dalì al cinema

In Dalíland, adesso al cinema, l’attore inglese ci regala una magnifica interpretazione nei panni (e nei baffi) di salvador Dalì, il genio del surrealismo. L’uomo che con la sua insaziabile sete di vita fece dell’eccesso un’arte. «Non stava mai fermo: alla fine di ogni scena ero distrutto!»

In oltre 50 anni di recitazione, dalla Royal Shakespeare Company a Hollywood, il camaleontico Ben Kingsley ci ha regalato un’incredibile varietà di personaggi: da Gandhi nel film omonimo del 1982 (ruolo che gli è valso l’Oscar come migliore attore protagonista) all’ebreo Itzhak Stern di Schindler’s List, dal letale gangster Don Logan di Sexy Beast all’operaio iraniano Behrani di La casa di sabbia e nebbia. Oggi, a 79 anni, continua a sorprenderci: in Dalíland, al cinema per la regia di Mary Harron, interpreta l’eccentrica e istrionica vita del genio surrealista Salvador Dalí. Nel cast anche Barbara Sukowa nel ruolo della  moglie Gala, Andrea Pejic in quello della musa Amanda Lear ed Ezra Miller nei panni dell’artista spagnolo da giovane.

Il mondo di Dalìland

Il film è ambientato in una stravagante New York degli anni ’70, che Dalí frequentò con molti talenti della scena artistica dell’epoca. Com’è stato rivivere quel periodo?

«Surreale! In quegli anni Dalì lavorava molto, aveva una vita sociale sfrenata, si circondava di chiunque vivesse 15 minuti di fama, per parafrasare il suo amico Andy Warhol. Il suo entourage era un insieme di artisti, musicisti, aristocratici e benefattori amanti dell’arte. Dalí usava questi party per promuovere la sua visione onirica del mondo».

Lei dov’era in quegli anni?

«Ho inziato a lavorare con la Royal Shakespeare Company nel 1967 e con la compagnia abbiamo debuttato a Broadway nel 1971. Purtroppo non facevo parte del circolo degli amici di Dalí, ma ero comunque a New York. All’epoca la città era molto selvaggia, underground, caotica. È stato un periodo di grandi scoperte».

Che uomo era Salvador Dalì

Oltre a Gandhi, lei ha interpretato spesso persone reali: il malavitoso Meyer Lansky in Bugsy, il nazista Adolf Eichmann in Operation Finale, l’ex presidente afghano Hamid Karzai in War Machine, solo per citarne alcuni. Che idea si è fatto di Dalí?

«Fu l’uomo che fece dell’eccesso un’arte. Non è un personaggio che si poteva interpretare stando attenti, col freno a mano tirato. Aveva una suprema intelligenza in ogni campo, dall’arte alla fisica, unita a una profonda comprensione delle passioni umane. Era un uomo vitale, infaticabile: non stava mai fermo. Alla fine di ogni scena ero distrutto!».

Vitale, ma terrorizzato al pensiero della morte.

«Sì, mi sono chiesto spesso cosa provasse ad avere una tale sete di vita sapendo che poi tutto è destinato a finire».

Un aspetto che l’ha sorpresa di Dalí?

«Sapevo che aveva collaborato con Alfred Hitchcock e Christian Dior e tanti altri… Ma non avevo idea che avesse disegnato il logo dei Chupa Chups! Questo suo lavorare per soldi gli ha fatto meritare il soprannome di Avida Dollars da parte di alcuni suoi colleghi. Che poi non è altro che l’anagramma del suo nome».

Il vero nome di Ben Kingsley

Ben Kingsley

A tal proposito, il suo vero nome è Krishna Bhanji. Perché l’ha cambiato?

«Per la mia prima audizione ho pensato che avrei voluto farmi chiamare con un nome che mi è sempre piaciuto. Ben era il soprannome di mio padre, Kingsley quello di mio nonno, un commerciante di spezie orgoglioso della sua vita e delle sue radici».

Lei come fa a trasformarsi così tanto nei ruoli che interpreta?

«Sono diventato ambizioso dopo che da bambino mi sentivo ripetere che non avrei mai combinato nulla nella vita (Kingsley è nato nello Yorkshire da madre inglese, attrice, e padre kenyano di origine indiana, medico, ed è cresciuto a Manchester, ndr). Non ho mai avuto un sistema di supporto che incoraggiasse i miei sogni: anzi, uno dei direttori alla Royal Shakespeare Company mi disse che non avrei mai recitato in ruoli importanti, che non sarei mai stato un leader ma sempre il servitore. In fondo al mio cuore sapevo che prima o poi avrei dimostrato il contrario a tutti. Questo è il motivo per cui ho sempre lasciato liberi i miei ragazzi (ne ha quattro, nati dalle prime due mogli, ndr), cercando di incoraggiarli ma senza interferire con le loro scelte. Molti genitori tentano di esercitare il proprio potere sulle vite e le carriere dei propri figli, io rispetto la loro crescita creativa».

Ben Kingsley, un attore in cerca di ispirazioni

Come attore cosa la ispira?

«Colleziono ricordi, voci, gesti: piccoli momenti della vita quotidiana che mi colpiscono. Da sempre osservo le persone che incontro e ne conservo un frammento in un cassetto del mio cervello».

E cosa cerca in un ruolo?

«L’eco dentro di me, quella vocina tesa come una molla pronta a scattare nel momento in cui serve, trasformandomi in un altro essere umano».

Se potesse, cambierebbe qualcosa della sua carriera fino a questo momento?

«No. Se lo facessi, sarebbe un po’ come scatenare quello che succede in The Butterfly Effect, il film di fantascienza basato su un racconto di Ray Bradbury: se si torna indietro nel tempo e si modifica una molecola del proprio passato, il presente che si sta vivendo si disintegra. E alla fine nemmeno noi esistiamo più».

Il ruolo che Ben Kingsley avrebbe voluto interpretare

Quale ruolo nella storia del cinema avrebbe voluto interpretare?

«Penso che in un’altra vita mi sarebbe piaciuto essere Spencer Tracy. Lo ammiro moltissimo, è uno dei miei mentori americani, ho sempre studiato la sua calma e insieme la sua energia in grado di galvanizzare l’intero film. Era un attore generosissimo, pensi che il suo motto era: “Fai fare bella figura all’altro attore”. È esattamente quello che voglio dare anche io in un ruolo. Questo non vuol dire che non sia ambizioso, affatto, ma so quanto il lavoro di squadra possa elevare un buon film fino a farlo diventare un film indimenticabile, che tocca il cuore del pubblico. Tra gli attori della nostra generazione, quello che somiglia di più a Spencer Tracy è Anthony Hopkins».

Una lezione importante imparata in 50 anni di recitazione?

«Trarre forza dalla delusione. Nella vita ci sono molte distrazioni: credo che la ricerca del proprio io originale, senza macchie e senza distorsioni, sia la missione più grande da affrontare durante la nostra esistenza. E se riusciamo a trovarlo, è una fonte di energia e di gioia impagabile. Quindi prendetevi del tempo per voi stessi. Cercate di non scendere a compromessi. Fate molta attenzione alle compagnie che frequentate, perché ci saranno sempre quelli che, attraverso la loro amarezza, la loro delusione, la loro pigrizia, vi vorranno derubare della vostra energia e luce. Scegliete a chi volete donare il vostro tempo. Siamo esseri umani capaci di molta creatività: ascoltatemi quando dico di prendervi cura dell’io originale, perché in fondo è ciò che di più prezioso ognuno di noi ha».

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