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Chiara Gamberale e il nuovo libro per ragazzi

Chiara Gamberale debutta nella narrativa per ragazzi con il libro "I fratelli Mezzaluna", un invito anche per gli adulti a usare meno la testa e di più il cuore. La nostra intervista

I fratelli Mezzaluna (Salani) è l’ultimo romanzo di Chiara Gamberale, autrice che conoscete e amate anche perché cura per noi La posta del cuore. È il suo primo libro per ragazzi. Racconta di due mondi fantastici: in uno regnano l’armonia e la pace, nell’altro, più scuro ma più vivace, ci sono il caos e i moti dell’anima. Tra di essi si muovono due fratelli alla ricerca della verità sulla loro famiglia. Due mondi apparentemente inconciliabili, una storia che indaga sul rapporto genitori-figli, un viaggio attraverso tutte le sfumature delle emozioni.

Il primo libro per ragazzi di Chiara Gamberale

Perché un libro per ragazzi? È la prima domanda che rivolgo a Chiara Gamberale. Il suo ultimo romanzo è in apparenza molto diverso dai precedenti che l’hanno resa una delle scrittrici più amate: La zona cieca, Avrò cura di te, Per dieci minuti… Ha personaggi buffi e affascinanti, atmosfere che mi hanno ricordato le opere Roald Dahl, e l’ho letto d’un fiato in una sera.

«Da sempre coltivavo la voglia e il bisogno di scrivere qualcosa che avesse il sapore di Il Piccolo Principe o di Alice nel Paese delle Meraviglie. Qualcosa che non avesse età, che potesse parlare ai piccoli in un certo modo e ai cosiddetti grandi in un altro» risponde l’autrice. «Le faccio un esempio: solo qualche anno fa, quando ho curato la prefazione per una nuova edizione di Il Piccolo Principe, ho capito che nel finale si suicida con l’aiuto del serpente… Sono libri infiniti che crescono con noi, regalando ai bambini avventure e a chi bambino non è più simboli per ragionare sulla propria vita».

Da dove nasce l’idea?

«Da dove nascono le idee di tutti i miei romanzi: da un’urgenza. Stavolta, l’urgenza di raccontare come sia pericoloso tanto rinunciare alle proprie emozioni quanto abbandonarci mani e piedi a loro. Siamo in un periodo storico molto complesso per chi lo attraversa da bambino o da ragazzo: è come se i social, permettendo un collegamento immediato, togliessero però la possibilità di entrare in contatto con quello che davvero abbiamo dentro e che davvero hanno dentro gli altri. Ogni giorno attorno a me ascolto storie di adolescenti in crisi che arrivano a farsi molto male. Sono convinta che lo facciano perché, una volta che il corpo e le emozioni esplodono con la pubertà, non abbiano l’alfabeto per gestire quella tempesta che si forma dentro di loro. Non sanno chiamare per nome ciò che provano. Ed è un analfabetismo che avverto strisciante anche fra i miei coetanei, gli over 40».

Com’è stato scrivere per i ragazzi?

«In un certo senso è stato più difficile, perché si è trattato di inventare un mondo, anzi due, senza macchine o crisi di governo. Dove non ci sono regole. Ma per lo stesso motivo è stata un’esperienza profondamente liberatoria, perché le regole le ho create io». Com’è il mondo del libro? «Ce ne sono due, come dicevo. C’è Gabaville, quello in cui si apre il romanzo, dove fra i cittadini regnano l’armonia e il buonumore. Ma è come se mancasse qualcosa. Saranno i fratelli Mezzaluna a scoprire cosa, e lo faranno precipitando loro malgrado nell’altro mondo, il Mondo Sottopelle, dove invece c’è chi corre nudo con una rosa in mano perché è follemente innamorato, chi non riesce a perdonare, chi vive in preda alla rabbia, chi prova vergogna… Compito dei fratelli sarà scoprire il mistero che lega i due mondi. E sforzarsi di far fare loro la pace. Perché che armonia è, quella di Gabaville, se i cittadini per proteggerla hanno rinunciato al battito dei loro cuori e alle loro passioni?».

Il mondo Sottopelle è il nostro mondo interiore?

«Assolutamente sì. E come in ogni mondo interiore che si rispetti – per citare Chimera, la guida dei fratelli Mezzaluna nel Sottopelle – “non ci si capisce niente, ma va bene così”». I fratelli Mezzaluna nel mondo reale sarebbero… «Due persone che si ostinano a credere che sia fondamentale sentire ognuno col proprio cuore. Ma anche pensare ognuno con la propria testa. È faticoso, però è l’unica via per chiamare davvero nostra l’esistenza che conduciamo».

Qual è il messaggio che voleva trasmettere?

«Volevo ridare alle emozioni il ruolo che meritano nelle nostre vite. Autorizzare le nostre contraddizioni, le bugie. Far capire che non esistono quasi mai i buoni e i cattivi. Ma crescere significa anche e soprattutto comprendere che c’è del bene e c’è del male in ognuno di noi. A partire dai nostri genitori. Non a caso i Fratelli Mezzaluna, Alen e Lena, cominciano la loro avventura quando scoprono che la madre, l’adorata e lucente madre, in realtà ha sempre nascosto una verità fondamentale sulla loro famiglia».

Quali, invece, le emozioni?

«Volevo celebrarle tutte, anche, e forse soprattutto, le più scomode da provare: la rabbia, il rancore, la paura, ma pure la gioia, la serenità, l’amore. L’importante per me è che si possano riconoscere e dare a ognuna il proprio nome».

Lei cosa leggeva da ragazza?

«Da figlia di un ingegnere e di una ragioniera, gente di numeri, io ho cercato da subito le parole, i libri. È stata proprio una vocazione la mia, con tutti i misteri luminosi e bui che le vocazioni portano con sé. Ho scritto il primo “romanzo” – così lo chiamavo – in seconda elementare: si intitolava Clara e Riki. Poi sono seguiti Clara e Riki crescono, I figli di Clara Riki e così via. Erano naturalmente ispirati alle mie letture: Piccole donne, Pattini d’argento, Incompreso. Ero una lettrice onnivora. E i libri per ragazzi, 40 anni fa, rimanevano i grandi classici. Storie che, anche se per bambini, si confrontavano con i grandi temi: l’amore, la morte, le contraddizioni dei legami. Io ho provato ad andare in quella direzione, perché ho un rispetto infinito del mondo dell’infanzia».

Cosa le piacerebbe che restasse a un adulto dopo la lettura di I fratelli Mezzaluna? A una mamma? E a un bambino?

«A un adulto vorrei che restasse il bisogno di confidare nella propria emotività e di non traslocare tutto nella razionalità. A una mamma la promessa che tutti, in quanto genitori, possiamo sbagliare, proprio come sbaglia Maddy, la madre di Lena e di Alen. I bambini vorrei che si divertissero con i miei personaggi e che con loro si arrabbiassero, avessero paura: che accettassero, insomma, l’invito di queste pagine ad accogliere tutte le emozioni che provano, senza temerle».

Da mamma, lei che rapporto ha con la letteratura per l’infanzia?

«Mia figlia Vita, che va per i 6 anni, e io viviamo di storie. Non solo quelle che le racconto io, anche quelle che ci inventiamo insieme o che insieme scopriamo. Devo a lei, tanto per dirne una, Harry Potter: leggendolo a lei l’ho finalmente scoperto io e me ne sono innamorata. Stasera dopo cena riprenderemo un altro pezzetto di Il GGG di Roald Dahl. Se Vita non fosse arrivata nei miei giorni, non credo che mi sarebbero mai venuti incontro Lena e Alen Mezzaluna. È merito suo, quindi, se ho realizzato il mio sogno di scrivere finalmente un libro così».

Il tour di Chiara Gamberale

Chiara Gamberale incontrerà i suoi lettori e farà il firmacopie il 17 marzo sa Bisceglie, il 18 a Bari, il 24 a San Donà di Piave, il 25 a Villaorba e Bassano del Grappa.

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