biohacking

Come diventare una persona migliore con il biohacking, un chip alla volta

  • 16 01 2018

Questo articolo è la quarta puntata della collaborazione tra Donna Moderna e The Submarine, il magazine online che si occupa di storie urbane, cultura, musica e tecnologia. Periodicamente pubblicheremo, sia sulla carta che online, contenuti ad hoc pensati insieme e scritti dalla redazione di The Submarine in esclusiva per il nostro giornale.

Ci concentreremo in particolare sul web, sulle sue novità e su come, pur non essendone il responsabile, sia diventato il veicolo di una serie di comportamenti a rischio: dal voyeurismo allo spaccio di stupefacenti sempre nuovi, dal cyberbullismo alla diffusione delle fake news. Leggi anche le puntate precedenti, dedicate al dark web, al revenge porn e al mondo dei subbers.

Che cos’è il biohacking

Quando si parla di biohacking si intendono molte cose diverse fra loro, da bevande energetiche super nutrienti, infatti, a magneti da impiantare sotto le dita, c’è davvero di tutto. Il biohacking è l’insieme di sostanze e gadget sviluppate allo scopo di migliorare l’essere umano naturale, per superarne i limiti fisici, come chi prova a hackare il ritmo del sonno o, passando ad approcci più estremi, usando la tecnologia e internet letteralmente sotto pelle. Ma se tanti rimedi da “biohacker” suonano come le promesse di un venditore di olio di serpente, tanti designer e ingegneri lavorano nel settore perché genuinamente affascinati dall’idea di migliorare, se non direttamente trasformare, l’essere umano.

Tra microchip e diffidenza

È il caso su tutti di Amal Graafstra, fondatore di Dangerous Things, microazienda di biohacking che gestisce dal suo stesso garage. Graafstra ha reso famoso quello che oggi è il gadget per antonomasia del biohacker: piccole tag NFC (una sorta di microchip) da portare sotto pelle, tradizionalmente nello spazio di pelle tra il pollice e l’indice. L’ultimo progetto di Graafstra? Un “grilletto smart” che permette a una pistola di sparare solo nelle mani del proprio proprietario registrato, leggendone il chip sotto pelle. È la soluzione “biohacker” al problema del controllo delle armi negli Stati Uniti — ogni arma riconducibile sempre e direttamente ad una singola persona, che è l’unica che può aver premuto il grilletto. Se ti stai chiedendo cos’è una tag NFC, beh, non è altro che un piccolissimo chip incapsulato in vetro sterile con una altrettanto piccolissima memoria al suo interno. Sul chip è possibile salvare e leggere piccoli file da qualsiasi telefono o dispositivo dotato di dispositivi NFC. «La paura della gente è interamente dovuta a preconcetti» ci dice in collegamento Skype Graafstra dal suo laboratorio di Seattle «le tag sotto pelle sono molto meno invasive di una capsula dentale, per non parlare di un pacemaker».

A cosa serve un chip sotto pelle?

Eppure gli impianti non riescono ad uscire dalla propria nicchia, che è poi una nicchia particolarmente ristretta. «Finora nessun cliente mi ha chiesto un chip» ci spiega Bruno Ragonesi di Iron Family Experience, uno dei due centri autorizzati a installare la tag di Dangerous Things in Italia. «L’ho solo regalata a qualche amico». Il problema, secondo Ragonesi, resta nella poca chiarezza di cosa sia e cosa faccia la tag NFC. «Tantissimi pensano che sia un GPS, che sia una cosa da complotti. Su una tag si possono tenere le proprie password, oppure informazioni sanitarie, o ancora, si possono programmare serrature in modo che si aprano usando soltanto la propria mano, senza usare chiavi. Non è utile solo per qualcuno come me che si dimentica sempre le chiavi, ma anche per persone con disabilità: ad esempio per chi è non vedente».

Come si installa e quanto costa

La tag arriva già nel suo contenitore, imballata in una busta, insieme al kit per la brevissima operazione. Come ci spiega Ragonesi «Nessuno può salvare file sul chip prima dell’inserimento. Si inserisce due millimetri sotto pelle con un ago da quattro millimetri. Dopo l’inserimento si mette un cerotto steri-strip, un punto di carta, e la piccola ferita guarisce da sola in un paio di giorni». Il costo della tag è attorno ai 90 euro. Abbiamo chiesto alla giornalista del sito di tecnologia statunitense the Verge Adi Robertson cosa pensa del rapporto tra gadget “wearable”, indossabili, e biohacking. «È bellissimo come il biohacking spinga la tecnologia avanti, ma nella maggior parte dei casi, e per il prossimo futuro, i gadget indossabili avranno piú senso degli impianti sotto pelle. Sono piú versatili, piú facili da aggiornare, ed è piú difficile che sollevino preoccupazioni sanitarie o di privacy».

La tecnologia che si indossa

Filippo Scorza, maker e imprenditore italiano, ci spiega che la tecnologia va a cicli di evoluzione e così vale anche per gli impianti da biohacker. «Secondo Elon Musk (amministratore delegato di Tesla Motors, n.d.r) un prodotto di tecnologia di solito ha bisogno di almeno tre aggiornamenti per essere pronto al grande pubblico. Gli impianti ad esempio sono chiaramente al primo di questi cicli, e dovranno essere ridisegnati e ripensati prima di essere un prodotto per tutti». Anche Scorza ha un chip sotto pelle nella mano, dove tiene le proprie informazioni sanitarie. Robertson ha seguito da vicino la primavera dei biohacking qualche anno fa, e ha piú di un impianto sotto pelle, compreso un magnete sotto l’anulare destro che le permetteva di raccogliere monete e piccoli oggetti metallici.

La scorsa estate, dopo anni di servizio, il suo magnete ha iniziato a perdere di intensità, e Robertson ha sfruttato l’occasione per valutare le condizioni della “scena”. Robertson è un’entusiasta del settore, tanto da valutare se “farsi installare” un piccolissimo box sul petto che funzionasse da bussola, vibrando quando si orientava verso nord. Alla fine però ci ha rinunciato. Ci spiega che l’introduzione sul mercato più vasto di gadget indossabili, dagli smartwatch a strumenti specifici connessi a internet e al nostro corpo, passando per i tantissimi fitness tracker, costituisca un momento di cambiamento. «Gli impianti sono soprattutto interessanti da un punto di vista estetico e sono una forte dichiarazione politica».

Gadget indossabili e impianti: e se fossero la sanità del futuro?

«Credo che nei prossimi anni la tecnologia farà grandi passi avanti integrandosi nel settore di salute e benessere» ci ha detto Scorza. È facile vedere il movimento biohacker come precursore dell’offerta che oggi grandi aziende stanno soddisfando con tecnologia non sottopelle. L’idea di avere sempre con sé una versione “minima” della propria cartella clinica è una delle prime ad essere stata esplorata come usi dei tag NFC sottopelle, ed è oggi una funzione di tutti gli iPhone e telefoni Android. Non si contano le aziende che producono “serrature smart” che permettono di aprire i cancelli o la porta di casa col proprio cellulare. «Ma il cellulare, o uno smartwatch, sono facili da perdere quanto un paio di chiavi o un passaporto sanitario» sottolinea Ragonesi. Impiantare una tag sottopelle permette di non dover utilizzare nessuno strumento come “prova d’identità”: permette di interfacciarsi con le tecnologie controllate via internet direttamente.

Limiti e prospettive del biohacking

I due limiti che giocano a sfavore dell’approccio biohacker, che indubbiamente è più futuribile, sono la difficoltà di rendere queste pratiche socialmente accettate e l’assenza di un personaggio legato a questa industria che possa funzionare da punto di riferimento, rendendo il biohacking in qualche modo “popolare”. «Tutte le persone che si dicono preoccupate dal farsi impiantare una tag sottopelle usano normalmente uno smartphone, che è poi qualcosa che compromette la nostra privacy in maniera decisamente maggiore». Lo scopo del biohacking va al di là dell’uso direttamente pratico: il vero obiettivo è, infatti, il miglioramento dell’umanità attraverso la tecnologia. Il biohacking è una dichiarazione politica sorprendentemente ottimista, considerata la sua provenienza underground: è mosso dalla convinzione inossidabile che il futuro, la tecnologia, siano una forza intrinsecamente positiva, e che il cambiamento significhi sempre miglioramento. E proprio perché si riesce a guardare con ottimismo al futuro anche quando si tratta di tecnologie che di primo acchito potrebbero fare paura, la convinzione di chi vorrebbe aprire la porta di casa solo agitando una mano non può che essere fonte di grande ispirazione.

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