
Elena Di Cioccio ha rotto il silenzio e superato lo stigma con cui ha convissuto per oltre 20 anni, confessando di essere malata di Aids, ma di stare bene: «Ciao, sono Elena Di Cioccio, ho 48 anni e da 21 sono sieropositiva. Ho l'Hiv», ha detto guardando dritta in camera, in un monologo nel programma Le Iene, a cui ha lavorato per qualche anno.
Malata da 21 anni
L'attrice, figlia del batterista della PFM Franz Di Cioccio, ha dunque voluto parlare di una condizione che riguarda molte persone, quelle che convivono con la sieropositività. «In questi 21 anni, mentre le terapie mi consentivano via via di vivere una vita sempre più normale, ad uccidermi è stata una smisurata vergogna di me stessa. Ho vissuto la malattia come se fosse una colpa. Pensavo che tra me e l’altro, la persona peggiore fossi sempre io. Mi sentivo sporca, difettosa. Avevo timore di essere derisa, insultata, squalificata dal pregiudizio che ancora esiste nei confronti di noi sieropositivi», ha aggiunto.
Ma oggi la convivenza con l'Hiv è possibile e non riguarda solo Di Cioccio.
L'Aids oggi: i numeri
Oggi l’Aids non fa più paura come negli anni ‘90, ma è necessario non abbassare la guardia. L’avvertimento era arrivato dagli esperti, in occasione della Giornata mondiale contro l’Aids (1° dicembre), in un momento in cui le attenzioni sono rivolte ad altri virus rispetto l’Hiv. Le nuove diagnosi sono in calo, infatti, ma questo dipende da due fattori: «Oggi abbiamo circa 1.770 nuovi casi, riferiti al 2021 e in aumento rispetto ai circa 1.200 del 2020, ma solo i numeri del 2022 potranno essere più attendibili per capire se ci sia una reale diminuzione. I due anni di pandemia, infatti, hanno influito negli accessi agli ospedali, in particolare durante il lockdown. Anche le campagne di screening sono state pressoché sospese» premette Antonella D’Arminio Monforte, professore ordinario e direttore della Clinica di Malattie Infettive e Tropicali all’ASST SS Paolo e Carlo e Università di Milano, nella presidenza del Congresso ICAR su Hiv e altre malattie infettive sessualmente trasmissibili.
Perché i casi di Aids sono in calo
Dopo anni nei quali l'Aids è stato al centro dell'attenzione, ora sembra sia passato in secondo piano, anche a causa dell’emergenza sanitaria legata alla pandemia da coronavirus, che ha catalizzato mettendo in secondo piano i rischi legati all’Hiv. Secondo il monitoraggio di Epicentro dell’Istituto Superiore di Sanità, però, fin dal 2012 si stava assistendo a una curva discendente. «Una riduzione era stata registrata anche prima del 2020 e in particolare dal 2016, grazie a un nuovo approccio. Mi riferisco alla ‘terapia per tutti’, ossia la possibilità di offrire le cure antivirali anche nelle fasi iniziali dell'infezione da Hiv in soggetti che quindi non risultano più contagiosi. In passato, invece, le cure erano previste solo in avanzato stato di malattia – spiega D’Arminio Monforte - Questo approccio di 'terapia per tutti' porta enormi vantaggi sia ai pazienti, che così non rischiano di veder compromesso il sistema immunitario, sia per il resto della popolazione, proprio grazie al fatto che permette una riduzione della contagiosità in quanto il virus, se pur presente nell'organismo, non si moltiplica più nel sangue».
Aids oggi, tra minor percezione del rischio e stigma
Da un lato, dunque, una curva discendente, ma dall’altro restano ancora molte criticità, a partire dallo stigma che accompagna ancora questa malattia: «Purtroppo è così. Il medico di base e anche il collega non infettivologo ancora oggi a volte faticano a proporre il test dell’Hiv al paziente che presenta un quadro sospetto o sintomi compatibili con la malattia: il timore è di tacciarlo di tossicodipendenza o omosessualità, visti come qualcosa da non menzionare. L’esame viene richiesto spesso come estrema ratio. Ce lo conferma uno studio che stiamo conducendo su cosiddetti indicators diseases, cioè l'input di eseguire il test Hiv in presenza di malattie o sintomi che potrebbero essere campanelli d’allarme della malattia» spiega l’esperta.
I possibili sintomi dell'Aids
«Possono essere molti – prosegue D’Arminio Monforte - si tratta soprattutto di patologie che nella persona con Hiv hanno un’incidenza maggiore rispetto alla popolazione generale: per esempio il fuoco di Sant’Antonio in persone con meno di 60 anni, oppure le epatiti che spesso sono indice di un comportamento sessuale a rischio, o ancora le polmoniti in soggetti giovani e, in generale, le infezioni herpetiche».
Le donne e la minor percezione del rischio Aids
Nel 2020 la maggioranza delle nuove diagnosi di infezione da Hiv era attribuibile a rapporti sessuali non protetti da preservativo: 88,1% dei casi complessivi, dei quali il 42,4% tra eterosessuali e il 45,7% tra MSM, Men who have sex with men. Questo porta a pensare che oggi si abbia meno percezione dei comportamenti a rischio, nonostante le conoscenze sulle modalità di trasmissione del virus: «Sicuramente è vero che è calata la sensibilità nei confronti di questa malattia. Va detto che sono soprattutto le donne a non ritenersi a rischio e a non sottoporsi al test dell’Hiv che, oltretutto, oggi si possono fare anche a casa. Le analisi si effettuano soprattutto in caso di gravidanza e per fortuna, dal momento che il virus si trasmette anche al nascituro. Ma attenzione: se in Italia e in generale in Occidente l’Aids colpisce maggiormente gli uomini – e in particolare è prevalente tra tossicodipendenti e MSM - nel resto del mondo l’incidenza maggiore riguarda soprattutto le donne. Ciò è vero specie in Africa e in Paesi nei quali il potere contrattuale delle donne nel chiedere il ricorso al preservativo è nullo. Qui, infatti, l’incidenza nella popolazione femminile è superiore al 50%».
Aids: le nuove terapie e la convivenza con la malattia
Nel corso degli anni le terapie sono migliorate e oggi si dispone di cure che permettono una convivenza con la malattia: «Al momento ci sono nuovi farmaci in sperimentazione e di prossima commercializzazione, ma soprattutto c’è un approccio diverso legato al cosiddetto long acting» spiega l’infettivologa. «In pratica alla terapia antivirale quotidiana, che prevede l’assunzione di una pillola al giorno, si è affiancata da pochi mesi la possibilità di ricorrere a farmaci da ricevere ogni due mesi, sotto forma di punture intramuscolo in ospedale. La prospettiva è di arrivare anche a sole due iniezioni all’anno, ogni sei mesi. Questo facilita di molto la vita, soprattutto a più giovani, che così non devono ricordarsi di prendere la compressa quotidianamente – prosegue D’Arminio Monforte - L’aderenza alla terapia, infatti, rappresenta un aspetto fondamentale per tenere sotto controllo l’Aids: oggi può essere considerata come una malattia cronica, con l’unica accortezza di ricordarsi che è causata da un virus e che i farmaci non lo distruggono, ma di fatto lo "addormentano", bloccandone la replicazione. Per questo non si deve interrompere l’assunzione dei medicinali neppure per qualche giorno. Non solo: il rischio è che si possano creare, al pari di quanto accade anche con i batteri, dei ceppi resistenti, per cui diventerebbe difficile trovare un’altra associazione di farmaci efficace» conclude l’esperta.
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