Le foto di Antonella Clerici in un letto di ospedale hanno fatto il giro del web in poche ore, ma ancora di più il suo messaggio sui social è rimasto impresso: «Come sempre voglio essere sincera con voi e raccontarvi cosa mi è successo perché questo possa ricordare a tutti l’importanza della prevenzione», ha scritto la conduttrice 60enne, nel parlare dell’intervento d’urgenza subito. Il caso riporta all’attenzione, infatti, l’importanza dei controlli, ma soprattutto di alcuni esami che possono fare la differenza nelle donne, specie in menopausa.

L’intervento di Antonella Clerici

Come ha raccontato Antonella Clerici, nulla lasciava pensare alla necessità di un’operazione chirurgica in urgenza, come invece le è poi accaduto. Il suo ginecologo le aveva ricordato di controllare una cisti ovarica, ma da quella visita è poi emerso altro, evidentemente: «Da lì parte uno tsunami. Risonanza, ricovero, operazione. Ciao ovaie» ha raccontato la presentatrice 60enne, aggiungendo: «Tutto è andato bene».

Tumore ovarico: l’età incide

Eseguire controlli regolari, dunque, può risultare fondamentale, non solo per le giovani donne, come mostra il caso della Clerici, che ha 60 anni e come ricorda Eleonora Iachini, ginecologa, ostetrica e specialista in medicina estetica. «Tra i fattori di rischio per il cancro dell’ovaio c’è l‘età: la maggior parte dei casi viene identificata tra i 50 e i 69 anni, anche se assistiamo sempre più spesso ad un abbassamento dell’età media soprattutto nei casi con familiarità».

Quali donne sono più a rischio di tumore ovarico

Il fatto di aver avuto parenti stretti, come la madre o la nonna, con una patologia oncologica può aumentare il rischio di andare incontro a malattia, ma non solo. «Altri fattori di rischio sono l’obesità, l’avvento di una prima mestruazione precoce e/o una menopausa tardiva e il non aver avuto figli. Di contro, l’aver avuto più figli, l’allattamento al seno e l’uso a lungo termine di contraccettivi estroprogestinici diminuiscono il rischio d’insorgenza del tumore dell’ovaio e sono quindi fattori di protezione – spiega l’esperta – Esiste però un altro fattore di rischio importante, rappresentato dalle le mutazioni ereditarie nei geni BRCA1 e BRCA2».

Il ruolo delle mutazioni genetiche per il tumore ovarico

Da un lato, dunque, può influire l’età che, come mostrano diversi studi, porta con sé anche un aumento delle mutazioni cellulari; dall’altro la predisposizione genetica: «Il rischio di sviluppare un tumore ovarico aumenta del 15-45% circa nelle donne che hanno ereditato una mutazione in BRCA1 e del 10-20% circa in quelle che hanno ereditato una mutazione di BRCA2», spiega ancora la ginecologa. Nel caso di Antonella Clerici non è chiaro se si sia trattato solo di un intervento di asportazione di cisti ovariche (ovariectomia) o se di un tumore.

Cos’è la ovariectomia e quando si rende necessaria

Le cisti ovariche sono formazioni di liquidi, come veri e propri “sacchetti”, che possono formarsi in diverse parti del corpo. Quelle ovariche nella maggior parte dei casi non hanno natura cancerogena, dunque risultano benigne, e possono scomparire in modo spontaneo. In alcuni casi, e soprattutto dopo i 50 anni, occorre però maggiore attenzione per il rischio che evolvano in tumore ovarico. In alcuni casi si rende quindi necessaria l’ovariectomia, come può accadere anche per gravidanze extrauterine o endometriosi.

Gli esami diagnostici consigliati

Se intervenire per tempo può fare la differenza, sia nelle modalità di operazione che nella prognosi, purtroppo «Non esistono, al momento, programmi di screening scientificamente affidabili per la diagnosi precoce del tumore dell’ovaio», che rappresenta il rischio maggiore. Come spiega ancora Iachini, però, «tutti gli studi dimostrano che una visita annuale dal ginecologo che esegue la palpazione bimanuale dell’ovaio e l’ecografia transvaginale di controllo possono facilitare una diagnosi precoce. Tale controllo può essere ripetuto o anticipato in caso di sintomi o cambiamenti rispetto al proprio stato di salute».

Attenzione ai campanelli d’allarme

Ma quali sono i segnali a cui prestare maggiore attenzione? «Un fattore confondente che fa ritardare la diagnosi è che il tumore dell’ovaio non dà sintomi nelle fasi iniziali. Proprio per questa ragione è in genere difficile identificarlo precocemente – spiega la ginecologa – Sono però tre i potenziali campanelli d’allarme: addome gonfio, meteorismo (presenza di aria nella pancia), bisogno frequente di urinare». «Uno dei sintomi principali è sicuramente il dolore addominale o il senso di peso pelvico, sanguinamento vaginale, stipsi e/o diarrea e anche sensazione di estrema stanchezza. Nelle fasi più avanzate di malattia potrebbero presentarsi anche senso di nausea, perdita di appetito e senso di pienezza subito dopo aver iniziato il pasto», aggiunge l’esperta.

Quando ricorrere agli esami genetici

«In famiglie con molti casi di tumore dell’ovaio o di carcinoma della mammella (a cui è spesso collegato) è utile rivolgersi a un centro specializzato in consulenza genetica presso un istituto oncologico effettuabile tramite Ssn – consiglia ancora Iachini – In caso di mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 i controlli saranno più serrati come tempistiche perché in questi casi il cancro dell’ovaio può verificarsi in un’età più giovanile. Va comunque ricordato che, sebbene l’esistenza in famiglia di tumori dell’ovaio possa tradursi in un aumento del rischio di ammalarsi rispetto alla popolazione generale, non vi è alcuna certezza che il tumore si sviluppi in tutte le donne imparentate».

Le terapie per i tumori ovarici

In caso di diagnosi di tumore ovarico, si procede poi alla terapia che, «a seconda dello stadio del tumore in cui facciamo diagnosi, può cambiare. La rimozione chirurgica del tumore è il metodo usato più spesso per trattare il tumore dell’ovaio. L’intervento può essere svolto in modo diverso a seconda dello stadio di malattia ed è curativo nel 70% circa dei tumori in stadio iniziale. Essendo il rischio di recidiva alto (25-30%) in molti casi si utilizza la chemioterapia adiuvante dopo l’intervento chirurgico o terapia neo-adiuvante, prima della chirurgia».

Non solo chemioterapia

«Se la chemioterapia fino a una decina di anni fa era l’unica opzione è oggi affiancata anche da terapie a bersaglio molecolare, utilizzate sia nella prima linea di trattamento sia in caso di recidiva, ovvero di ritorno della malattia», sottolinea la ginecologa, che spiega ancora: «La radioterapia non viene quasi mai impiegata nella terapia del carcinoma ovarico se non a scopo palliativo per alcune sedi metastatiche. Sono allo studio anche l’immunoterapia e altri farmaci biologici».