

Lo smart working potrebbe cambiare, nuovamente, tornando di fatto alle regole precedenti al periodo della pandemia da Covid-19. Il lavoro da remoto, infatti, rimarrà così come lo abbiamo conosciuto ultimamente solo fino al 30 giugno 2023.
Smart working: cosa cambia dal 1° luglio
Il prossimo 30 giugno, infatti, se non ci saranno interventi da parte del Governo, scadrà il diritto al lavoro agile previsto per i fragili, sia dipendenti pubblici che lavoratori privati, e per i genitori con figli sotto i 14 anni (in questo caso solo nel privato). Nonostante il miglioramento delle condizioni sanitarie legate alla pandemia di Covid-19, infatti, finora era stata mantenuta la possibilità di ricorrere allo smart working con modalità semplificata, anche senza un accordo individuale e dunque senza che l'azienda dovesse inviare al Ministero competente ogni pratica relativa a ciascun lavoratore in smart working.
Lo scorso marzo, grazie a un emendamento al dl Milleproroghe e allo stanziamento di 16 milioni di euro, era stato possibile prorogare la misura, ma solo fino al 30 giugno 2023.
I requisiti per lo smart working
La proroga valeva per i lavoratori con figli di età fino a 14 anni e «per i lavoratori fragili, tanto del settore pubblico che di quello privato», come spiegato in una nota dalla ministra del Lavoro, Marina Calderone, che già lo scorso 26 gennaio aveva annunciato l'impegno a mantenere la misura, in occasione del question time al Senato. Ancora per circa un mese, quindi, si può usufruire dello smart working anche in assenza di accordi individuali, «a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione». Ma, in assenza di un intervento in tempi ristretti da parte dell'esecutivo, tra poco tutto tornerà come in passato.
Quanti sono i lavoratori in smart working?
Secondo i dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, i lavoratori che usufruiscono di questa modalità oggi sono circa 3,6 milioni, quasi 500mila in meno rispetto al 2021. Durante la pandemia, invece, si era raggiunta la cifra di 7 milioni, un terzo della totalità dei lavoratori dipendenti, mentre ora sono scesi ad appena il 14,9%, secondo le rilevazioni dell'Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche. Da luglio questi numeri scenderanno ulteriormente.
Le regole "vecchie" e quelle "nuove"
Fino ad ora si poteva fare ricorso allo smart working usufruendo di un percorso semplificato. Da luglio, invece, si dovrebbe tornare al Protocollo firmato dalle parti sociali il 7 dicembre 2021. Significa che l’eventuale proroga del lavoro da remoto o il ricorso ad esso in caso di nuovi contratti dovrà passare ancora da una contrattazione individuale tra l’azienda e il dipendente. Questo requisito ad oggi viene superato solo in caso di lavoratori fragili o con figli under 14, condizione - quest'ultima - prevista anche nel settore privato.
Fatta eccezione che per queste categorie, dunque, si è già tornati da diversi mesi a una situazione pre-pandemia, che secondo gli esperti consulenti del lavoro rappresenta un limite. Presuppone, infatti, che ogni lavoratore debba contrattare condizioni specifiche per la propria posizione. Ciononostante, la Cgil un anno fa spiegava che, sulla scia della pandemia, erano stati stipulati anche accordi aziendali collettivi, quindi uguali e validi per tutti i dipendenti in smart working: circa 200, dei quali 13 sono contratti nazionali di categoria.
Ma ricordiamo come funziona in concreto lo smart working - almeno fino a fine giugno - per quanto riguarda orari, luogo di lavoro, attrezzatura, ecc.
Quanto smart working nel pubblico e nel privato
Una prima precisazione riguarda una grande differenza tra lavoratori pubblici e privati, per quanto riguarda la percentuale minima o massima di lavoro agile prevista. Nel privato non esistono indicazioni di questo genere, mentre nella Pubblica Amministrazione durante lo stato di emergenza le soglie erano cambiate, riducendosi gradualmente fino al 100% di lavoro in presenza in moltissimi settori.
Luogo di lavoro e orari
In caso di smart working la durata dell’orario di lavoro non cambiano dalla fine dell’emergenza sanitaria. E' l’accordo individuale, però, a stabilire con precisione una serie di elementi: la durata dell'intesa (a termine o indeterminato); eventuale alternanza tra lavoro in sede e da remoto; luoghi esterni che possano essere esclusi per lo svolgimento della prestazione lavorativa (ad esempio, perché non garantiscono la riservatezza o la sicurezza dei dati trattati); specifiche modalità di lavoro stesso. In generale per i privati in smart working non viene osservato un vero e proprio orario fisso, ma si deve garantire la prestazione lavorativa: la giornata, quindi, può essere organizzata in modo autonomo, pur prevedendo fasce di reperibilità telefonica, in videocall o altra modalità da concordare.
«Per la Pubblica amministrazione, invece, c’è già stato un massiccio ritorno al lavoro in presenza, prima ancora che nel privato, quale normale forma del rapporto di lavoro subordinato» spiega Antonello Orlando, dell’Ufficio Studi della Fondazione Consulenti del Lavoro. «Un’indicazione che presumibilmente verrà meno con la fine dello stato di emergenza». «Per il resto l'ultimo Protocollo siglato mesi fa ha ribadito ed esortato a mantenere invariati i servizi nei confronti dell'utenza, anche da parte dei lavoratori pubblici in lavoro agile, rimandando a una personalizzazione dello smart working in ogni comparto dell’Amministrazione, attraverso specifici accordi in sede di rinnovo del Contratto collettivo Nazionale, in ogni funzione del pubblico impiego».
Tempi di riposo e diritto alla disconnessione
Anche in questo caso, si procede a un accordo individuale, che stabilisce quanto e quando il lavoratore può fruire dei tempi di riposo (ad esempio, determinati giorni della settimana, ecc.) o come garantire il rispetto del diritto alla disconnessione (come fasce orarie determinate, giorni della settimana) e modalità perché queste siano assicurate (impossibilità alla ricezione delle email, spegnimento di un telefono aziendale, ecc.). Qui c’è una differenza tra pubblico e privato: «Nel privato c’è solo un generico diritto alla disconnessione, da concordare, mentre nella Pubblica amministrazione sono stati identificate tre fasce» spiega l’esperto, in riferimento a “operabilità”, “contattabilità” e “inoperabilità”, che vanno dal tempo di lavoro pieno a quello di totale disconnessione. «Il problema è che rischiano di produrre confusione nella loro attuazione pratica, specie considerando lo stesso diritto dei pubblici dipendenti a 'disconnettersi', come nel caso del lavoro privato» osserva il consulente del lavoro.
Dagli straordinari alla formazione
Viene rimandato a un'intesa concordata singolarmente anchequanto previsto per le eventuali sanzioni disciplinari che il datore di lavoro può applicare al lavoratore in caso di condotte contrarie alla policy aziendale, così come le modalità di esercizio dei diritti sindacali - che non vengono meno in smart working - e la possibilità di seguire attività di formazione e aggiornamento professionale, che rimane.
Un altro punto importante riguarda i permessi orari: il lavoratore può sempre richiederli e può fruirne, se sussistono i requisiti, che sono identici a quelli di un lavoratore che svolga la propria attività in sede e contemplati dai contratti collettivi o dalle norme di legge: ad esempio, motivi familiari o personali specifici come per chi ha diritto alla legge 104.
Non sono previsti, invece, straordinari.
Dal licenziamento alla malattia
Un aspetto delicato riguarda l’eventuale contrarierà del lavoratore a passare allo smart working. In caso di rifiuto, non è prevista la possibilità di licenziamento per giusta causa o giustificato motiv. Non possono neppure scattare interventi sul piano disciplinare. Nei casi di assenze definite “legittime” (malattia, infortunio, permessi retribuiti, ferie, ecc.), invece, il lavoratore è autorizzato a disattivare i dispositivi come telefono o computer. Ppuò comunque ricevere eventuali email o comunicazioni, ma non è tenuto a rispondere prima della data di previsto rientro in servizio. Il trattamento economico, comunque, rimane uguale a quello previsto in caso di identica assenza dalla sede di lavoro presso l’azienda.
Chi fornisce pc e telefono?
Anche su questo punto non c’è una regola precisa: di fatto l'azienda in genere fornisce la strumentazione tecnologica e informatica necessaria per l’attività professionale, anche per garantire standard in grado di interagire con altri strumenti aziendali, ma non è automatico che ciò avvenga. Se ciò avviene, comunque, le spese di manutenzione o sostituzione del materiale sono a carico del datore, che ne rimane titolare. In caso di guasti, smarrimento o furto, solitamente si apre una procedura, comunicando tempestivamente l’accaduto, e solo in caso si accerti una condotta negligente del lavoratore i costi di ripristino del danno saranno a carico del responsabile.
Smart working: non dall’estero
Una limitazione al lavoro agile, già emersa in precedenza, riguarda infine la possibilità di attuarlo dall’estero: «Sul tema non abbiamo indicazioni precise specie nel lavoro privato; resta una forte criticità nella gestione perché il lavoro da remoto all'estero può avere impatti sulla fiscalità dei lavoratori e sugli aspetti contributivi e assicurativi, quindi per le coperture in caso di infortuni e ai fini pensionistici. Occorre un aggiornamento dei regolamenti comunitari europei, per consentire maggiore flessibilità negli spostamenti, specie per chi lavora da casa in uno Stato diverso rispetto a quello dove è stato siglato il contratto di lavoro» spiega Orlando.
Smart working agevolato per i care givers
Sempre nell’ambito del decreto legislativo approvato dal consiglio dei Ministri, ci sono novità per i care givers. In particolare, è stato introdotto l’obbligo a livello nazionale di dare priorità nella concessione del lavoro agile a chi lavoratrici e lavoratori che prestano assistenza ai propri familiari o che sono genitori. La misura riguarda sia il settore pubblico che quello privato e richiama quanto previsto dalla legge sullo smart working (n. 205/2017). Per i genitori la norma vale fino ai 12 anni dei figli, mentre non ci sono limitazioni anagrafiche nel caso di disabilità, come peraltro già stabilito dalla più ampia legge di riferimento (n. 104/1992 all’articolo 3).
Come precisa il ministero del Lavoro, ciò significa che «la lavoratrice o il lavoratore che richiede di fruire del lavoro agile non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa», che possa avere «effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro». In caso contrario, come chiarisce ancora il Ministero, si sarebbe in presenza di una ritorsione o discriminazione.
Infine, è stato istituito anche un «Osservatorio nazionale bilaterale in materia di lavoro agile», che ha il compito di valutare anche «possibili sviluppi e implementazioni con riferimento a eventuali novità normative e alla crescente evoluzione tecnologica e digitale».
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