stilista Ottavio Missoni
Lo stilista Ottavio Missoni

Ottavio Missoni, lo stilista che colorò la moda

Lo ricordiamo per le “maje” a righe che inventò con la moglie Rosita. Ma il grande stilista Ottavio Missoni, che avrebbe compiuto 100 anni l’11 febbraio, visse una vita che sa di romanzo. La ripercorriamo in queste pagine, attraverso i racconti della figlia Angela

Balthus, conturbante pittore francese, lo definì “maestro del colore”. Per Enzo Biagi «i tessuti che crea Missoni possono stare benissimo in cornice». Dario Fo diceva che i suoi giochi di lana sembravano la Terra «vista da altissimi cieli». Ottavio Missoni avrebbe compiuto 100 anni l’11 febbraio ma, se tutti lo conoscono per le maglie che inventò con la moglie Rosita, pochi sanno che la sua vita sa di romanzo. Vale la pena di ripercorrerla attraverso i ricordi che la figlia Angela, dal 1998 direttrice creativa del brand, ha condiviso con noi.

La vita di Ottavio Missoni

Il talento di saltare gli ostacoli. Ottavio Missoni, (detto Tai), nasce l’11 febbraio 1921 a Ragusa, in Dalmazia, per poi trasferirsi a Zara con la famiglia e scoprirsi grande atleta. A 16 anni vince i 400 metri con il tempo di 48,8 secondi, record che, dal 1937, lo porta in Nazionale, dove passerà ai 400 ostacoli.

«Arrivò alla moda seguendo la passione di mia madre» ci racconta Angela Missoni «ma avrebbe potuto fare tutto nella vita. L’atleta, l’artista, l’attore. Possedeva un carisma raro, doti comunicative speciali. Era amico dei suoi compagni triestini come Enzo Biagi, Giorgio Bocca, Indro Montanelli, si allenava con Walter Chiari, “ciacolava” per ore con Fellini». Ne aveva viste tante, il Tai. Era stato in guerra, aveva combattuto a El Alamein durante il secondo conflitto mondiale, aveva trascorso 4 anni di prigionia e fu uno dei 350.000 dalmati e istriani che vissero il dramma dell’esilio (per lui, a Trieste).


Era generoso, travolgente e incurante dei beni materiali. «Potremmo fare più soldi, ma non avremmo nemmeno il tempo di spenderli» diceva Ottavio Missoni


 

La lezione della prigionia

«Nei momenti cruciali andavo da lui: con due parole e una capacità di analisi unica inquadrava la situazione» continua Angela Missoni. «Gli anni di prigionia sono stati la sua università: riconosceva le persone al primo sguardo, aveva imparato a leggerle. Lo stesso faceva con il futuro dell’azienda: malgrado il successo e tante proposte che mia madre accoglieva con entusiasmo, lui replicava sempre allo stesso modo. “Rosita” le diceva “non capisco perché vorresti lavorare di più. Potremmo fare più soldi, ma non avremmo nemmeno il tempo di spenderli”».

Il doppio filo con la moglie Rosita

La grande svolta nella vita di Ottavio Missoni arriva nel 1948, quando partecipa alle Olimpiadi di Londra: qui conosce la 16enne Rosita Jelmini, studentessa di Golasecca (Varese), la sposa nel 1953 e insieme a lei dà il via a un sodalizio indissolubile. Nel seminterrato di casa, a Gallarate, allestiscono un piccolo laboratorio unendo le competenze di lei (la famiglia creava tessuti ricamati) a quelle di lui (dopo la guerra aveva un’attività di maglieria per produrre tute sportive).

Ottavio e Rosita Missoni
Il legame indissolubile fra Ottavio e Rosita Missoni (qui sopra, la coppia al tavolo di lavoro) ha dato vita a uno strepitoso sodalizio professionale, ma soprattutto a una famiglia unita.

Tra il ’64 e il ’65, alla nascita del prêt-à-porter, i Missoni realizzano le loro “maje” colorate – come le chiama Ottavio – per Biki, famosa sarta milanese, poi per la Rinascente che sceglie alcune loro produzioni. Da lì alla prima collezione il passo è breve.

Missoni e lo scandalo a Firenze

Dopo la sfilata di debutto del 1966 al Teatro Gerolamo di Milano, nel ’67 i Missoni sono al Pitti per presentare una collezione di camice di lurex. Le mannequin non hanno reggiseni adeguati quindi Rosita chiede loro di toglierli, ma l’effetto sotto le luci è inaspettato. I giornali titolano “Crazy Horse a Palazzo Pitti” ed è scandalo. L’anno dopo, commenta la giornalista Camilla Cederna, «mentre a Parigi Saint Laurent lancia il nude look, i Missoni non vengono invitati a Firenze». La coppia presenta le creazioni estive a Milano, nella piscina di via Solari, con una memorabile sfilata acquatica. Da quel giorno la moda di Missoni sbarca a Parigi, negli Usa, in tutto il globo.

Sfilata Missoni 1970 Pitti
Pitti 1970: quell’anno Missoni sfondò a New York.

L’arte che si fa moda

Pennarelli sempre in mano, fogli a quadretti, Ottavio Missoni trasforma la moda in arte. A lui dobbiamo gli accostamenti inediti che fanno dialogare colore e materia, mix folcloristici che provengono dalle Ande e dall’Africa, armonie di nuances tra cielo, mare e terra prese dai ricordi, righe e zig-zag vibranti, fiammati ispirati agli scialli delle nonne. Nelle sue mani le tinte diventano capolavori da premiare (tra i riconoscimenti, una placca in Rodeo Drive a Hollywood con la citazione “La vita è più bella a colori”). Missoni ha scandito sfilate leggendarie, come quella del 2003 per i 50 anni di attività, con 100 pezzi scelti dall’archivio, poi esposti per 9 mesi al V&A Museum di Londra.

Ha animato grandi retrospettive, a partire dalla mostra per i 25 anni di lavoro allestita alla Rotonda della Besana a Milano, ospitata poi al Whitney Museum of American Art di New York (che per la prima volta aprì alla moda le sue prestigiose sale). Ha ispirato libri come Missonologia del 1994, pietra miliare della storia della moda italiana o Una vita sul filo di lana, autobiografia pubblicata per i suoi 90 anni. E film, tra cui Being Missoni. Memories from the future, che racconta il brand attraverso 3 generazioni, e il docufilm in onda nei prossimi giorni su Sky Sport, Vittorio Missoni 100.

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Il garbo controcorrente di Missoni

Ottavio Missoni per mestiere creava, per vocazione rompeva schemi. Forse retaggio dell’avo corsaro Olivier Misson, che nel ’600 aveva fondato Libertalia, prima colonia anarchica del Madagascar, l’essere indipendente e controcorrente veniva spontaneo a Ottavio Missoni. Lo faceva con il suo accento triestino, la simpatia travolgente, gli aneddoti, l’ironia, il suo non prendersi sul serio (per esempio quando raccontava di essere tutt’altro che un infaticabile lavoratore), la totale indifferenza verso il revanscismo («Per 20 anni» ricorda Angela «è stato sindaco del Libero Comune di Zara in Esilio ma mai ha pronunciato parole ostili»), il distacco rispetto ai bisogni materiali, quel fascino che non arretrò mai, il garbo sempre e comunque.

La sensibilità di vedere lontano

Ottavio e Rosita Missoni hanno avuto 3 figli. Il primogenito Vittorio (scomparso in un incidente aereo nel 2013, pochi mesi prima della morte di Tai), Luca e Angela, che si sono suddivisi i ruoli in azienda.

«Mio padre non ci ha mai imposto il suo lavoro, anzi, ci ha sempre spinti a fare altro. Voleva solo che fossimo sereni, ma abbiamo assorbito talmente tanto dal mondo dei nostri genitori che sentivamo di non potercene staccare» continua Angela. «D’altra parte siamo stati portati a vivere in un posto fantastico. Quando mamma e papà hanno costruito la loro fabbrica e poi la loro casa, nel 1972, mio padre ha scelto Sumirago, in provincia di Varese, e tutti gli davano del matto. Ma era il luogo dove avrebbe voluto trascorrere ogni weekend della sua vita: in mezzo a un bosco, con le montagne davanti. Nessuno se n’è mai andato da qui, nemmeno i suoi 9 nipoti, la terza generazione, perché è davvero un angolo benedetto da Dio, individuato seguendo quella sua visione avanti anni luce rispetto agli altri. La sua libertà interiore si è fatta strada in ognuno di noi: io stessa mi sento libera di cambiare vita in qualsiasi momento».

L’impronta indelebile di Missoni

Uomo sopra le righe, Ottavio Missoni a noi ha lasciato le sue, di righe. Ci ha lasciato in eredità un amore viscerale per i colori, la fantasia, i mix & match sorprendenti, la creatività audace che ancora oggi spingono i più coraggiosi a rompere gli schemi, a ragionare fuori dal coro, a non vedere tutto nero.

Dopo un secolo, ancora oggi attraverso i suoi pennarelli, le sue linee, le sue “maje” e le sue avventure, ci ricorda che non esiste vita senza colori, che possiamo lasciare impronte vivaci e indelebili con i nostri vestiti o i nostri passi, perché i colori sono ovunque. Soprattutto dentro di noi.

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