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Uno dei ragazzi di The Borderline, il canale YouTube da 600mila followers con le sfide estreme

Si può chiudere il canale YouTube dopo la tragedia della Lamborghini?

Dopo la tragedia della Lamborghini a Roma, in cui quattro youtuber su una Lamborghini hanno ucciso un bambino di cinque anni, ci si chiede se non si possa chiudere subito il loro canale YouTube. Parla l’esperto che analizza fino a 80 video simili al mese e che avverte: «Sui social ormai superato ogni limite»

La challenge su YouTube di Roma dov’è morto un bambino

I canali YouTube, anche quelli che mostrano video ben oltre la spericolatezza, non si possono chiudere. O meglio, non in modo automatico, diretto e soprattutto tempestivo, come invece ci si aspetterebbe dopo episodi come quello di Roma, dove un gruppo di 20enni, intento a filmarsi in auto per una challenge, ha causato un incidente in cui ha perso la vita un bambino di 5 anni, mentre la madre e la sorellina di 3 sono rimaste gravemente ferite.

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Un altro dei cinque The Borderline, che sui social ora esprime cordoglio e dichiara di non essere stato lui al volante.

Omicidio stradale per la challenge su YouTube

«No, non si può chiudere il canale perché il capo di imputazione in questo caso è omicidio stradale. È un reato penale, prevede anche la reclusione oltre a pene accessorie, così come l’eventuale risarcimento di parti civili, ma non è previsto l’oscuramento automatico del canale YouTube, per il quale invece i ragazzi a bordo dell’auto che ha causato l’incidente stavano effettuando filmati per la challenge», spiega Riccardo Meggiato consulente di informatica forense.

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Perché non si possono oscurare i canali YouTube delle challenge

L’esperto lavora in un laboratorio dove ha a che fare ogni giorno con filmati come quelli che stavano registrando i giovani che si trovavano sulla Lamborghini che ha travolto la smart guidata da Elena Uccello, su cui c’erano anche il piccolo Manuel e la sorellina, appena usciti dalla scuola materna.

«Può sembrare assurdo, ma è quanto prevede la legge. Eventualmente si potrebbe aprire un procedimento parallelo, se fosse ravvisata una qualche forma di induzione alla violenza o altri reati che incitano a comportamenti illeciti», chiarisce Meggiato. Ma i tempi potrebbero essere tutt’altro che rapidi: «Se venisse ritenuto che quei canali (come The Borderline dei 20enni che filmavano la loro “impresa” a Roma, NdR) mostrano corse nelle quali, ad esempio, si commettono infrazioni come il superamento dei limiti di velocità, allora il magistrato potrebbe procedere. Ma ci sono due limiti da tener presente: il primo è la tempistica, perché occorrerebbe predisporre un’inchiesta con tanto di indagini preliminari e iter penale conseguente, non certo breve. In secondo luogo, c’è un problema di contraddizione, che non ha a che fare con il caso specifico: quante volte vediamo al cinema scene di guida spericolata, che potrebbero avere lo stesso effetto di indurre a imitare comportamenti scorretti? Basti pensare a film come Fast and Furious», osserva l’esperto di informatica forense.

Al volante col cellulare per selfie e video sugli account social

«Il problema è molto più ampio del caso specifico di Roma o di altri analoghi, sui quali si crea clamore mediatico: ormai sui social vediamo di tutto e ben oltre i limiti della decenza. Ma non si tratta di perbenismo: ogni mese col mio gruppo di consulenti analizziamo 70/80 video molto simili a quello che stavano girando i ragazzi di Roma. Ma non tutti sono filmati per challenge su YouTube e non sempre, per fortuna, si arriva all’omicidio stradale. Spesso, però, si verificano incidenti gravissimi, nei quali sono riportate anche paralisi irreversibili. I protagonisti sono quasi sempre al cellulare non solo per semplici chiamate – che già sono vietate al volante dalla legge – ma per farsi selfie o video da postare sui social», racconta Meggiato. «Ora io mi auguro che quanto accaduto sia di stimolo per mettere mano a una regolamentazione allargata, che riguardi tutti i contenuti destinati ai social».

Subito una legge per i social e YouTube

«Quello che è successo a Roma purtroppo è solo la punta di un iceberg di una tendenza raccapricciante, che riguarda anche altri ambiti sui social. Per fare un esempio, di recente la protagonista è stata una ragazzina di 15 anni, molestata da un anziano, che la aspettava anche fuori da casa. Indagando sul caso e sulle comunicazioni tra i due, però, ci siamo accorti che qualcosa non tornava e abbiamo scoperto che la giovane era su OnlyFans», spiega l’esperto. Si tratta di una piattaforma cresciuta molto durante il lockdown dovuto al Covid, che propone contenuti per adulti senza censura. «È tempo di legiferare, non si può tollerare tutto e non è questione di perbenismo. Non è mai accaduto che qualcuno potesse girare per strada nudo o seminudo, men che meno una ragazzina, quindi le leggi dovrebbero essere ubiquitarie e valere sia nel mondo reale che in quello online. La domanda è: fin dove ci possiamo spingere sui social?», incalza Meggiato.

I limiti normativi

Tornando al caso di Roma esiste un altro limite: «L’omicidio stradale è un reato che viene contestato solo a chi era alla guida del suv, nel caso specifico, ma sappiamo bene che gli amici sono corresponsabili: c’erano altre quattro persone in quell’auto, che si comportavano in modo scorretto, incitando o distraendo. Quei filmati io li ho visti e credo di poter dire che esiste una corresponsabilità. Per questo – conclude il consulente di informatica forense – credo che se c’è una cosa che questo tragico episodio ci insegna è che occorre rivedere le norme in senso più ampio».  

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