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Alessandro, morto a 13 anni: anche due ragazze indagate. Istigazione al suicidio?

Alessandro, 13 anni, è precipitato dal quarto piano a Gragnano. Nel suo cellulare chat e messaggi su cui si sta indagando e che potrebbero configurare il reato di istigazione al suicidio e cyberbullismo, per i quali sono state individuate sei persone

La terribile vicenda di Alessandro, il ragazzo 13enne precipitato dal quarto piano a Gragnano, prima sembrava un suicidio. Un volo di 15 metri. Poi sul suo smartphone sono state trovate chat che lasciano pochi dubbi con messaggi come «Ucciditi», «Buttati giù», secondo quanto riporta l’edizione napoletana di La Repubblica.

I messaggi nelle chat sullo smarphone di Alessandro

Queste frasi sarebbero le più ricorrenti nelle chat esaminate finora dai carabinieri. La maggior parte delle minacce risale a luglio. Nelle chat degli amici – riporta sempre La Repubblica – si rincorrono intanto i messaggi sulle minacce ricevute da Alessandro. Circola anche lo screenshot di un video che ritrarrebbe un’aggressione nei suoi confronti. Una conoscente del ragazzo racconta al quotidiano che a un gruppetto di amici Alessandro avrebbe detto che volevano picchiarlo, ma «sembrava stesse scherzando». Il Corriere della Sera invece dice che dietro il suicidio del 13 enne ci sarebbe una lite tra ragazzi: una discussione nata per questioni adolescenziali.

Indagate anche due ragazze: il fidanzamento interrotto

Man mano che passano le ore, si delinea un quadro ancora diverso: secondo Il Corriere della Sera, il gruppo sarebbe formato da tre ragazzi e una ragazza, tutti minorenni, e due maggiorenni, tra cui ancora una ragazza. La vicenda è complessa, ma pare che all’origine ci sia un fidanzamento interrotto da Alessandro, che aveva iniziato a frequentarne un’altra.

Comunque sia, non c’è più un ragazzino sempre sorridente, che faceva teatro e amava il basket. Che prendeva tutti 7, 8 e 9 a scuola.

Identificate sei persone come probabili autori dei messaggi

Sono state identificate sei persone come probabili autori dei messaggi e insulti inviati sul cellulare. Quattro sono minori e due maggiorenni. Pare sia stato ipotizzato il reato di istigazione al suicidio, soprattutto per due messaggi trasmessi: «Ti devi ammazzare. Ucciditi», «Buttati giù». Ne parliamo con l’avvocatessa penalista Stefania Crespi di Milano.

Si può parlare di istigazione al suicidio?

L’istigazione al suicidio è prevista dall’art. 580 c.p. e prevede la condotta sia di colui che determina altri al suicidio o ne rafforza il proposito di suicidio, sia di chi ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione. Nel caso in cui il suicidio avvenga è prevista la pena della reclusione da cinque a dodici anni. Pertanto, se i messaggi hanno determinato o rafforzato l’intento di Alessandro scatterebbe la responsabilità per questo reato. Tuttavia va precisato che  l’art. 580 c.p. stabilisce che se la persona che si è suicidata è un minore di 14 anni – come Alessandro – si applicano le disposizioni relative all’omicidio e, quindi, la pena sarebbe quella della reclusione non inferiore ad anni ventuno.  

L’istigazione al suicidio è un reato molto grave? 

Certamente, tenuto conto dell’età di Alessandro. L’istigazione rappresenta una forma subdola di coartazione della volontà, idonea a sopraffare o a condizionare la vittima al punto da portarla al suicidio. In questo caso si tratta di un’istigazione digitale e per questo motivo si è parlato di Alessandro come vittima di cyberbullismo.  

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In cosa consiste il cyberbullismo? 

Si parla di cyberbullismo quando i bulli pongono in essere atti prevaricatori utilizzando strumenti telematici (sms, e-mail, siti web, chat e social network): l’invio di messaggi molesti, la pubblicazione in rete di dati privati, i furti d’identità, le molestie attraverso i social network ne sono solo alcuni esempi. Il bullismo di per sé non è un reato, ma è possibile punire penalmente gli atti attraverso i quali si manifesta: reato di percosse per aggressioni fisiche, la diffamazione per offese pronunciate in assenza della persona offesa (aggravata se effettuata tramite social network), lesioni, minacce, violenza privata se la vittima è costretta, con violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa, ma anche ‘stalking’, reati contro il patrimonio (furto, estorsione) e – come nel caso di Alessandro – istigazione al suicidio.

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Se i minori responsabili dei messaggi fossero coetanei, quindi avessero meno di 14 anni, cosa accadrebbe? 

Non subirebbero il processo penale: i minori possono infatti essere imputati in un processo penale solo se hanno compiuto 14 anni.  

Pare che tra gli autori del fatto ci sia una persona maggiorenne. Ci saranno quindi due processi? 

Sì perché sono competenti due diversi Giudici. Il processo minorile prevede un trattamento processuale adeguato all’età anche per poter svolgere un percorso con psicologi ed educatori. Al momento pare che siano due le Procure che investigano: la Procura di Torre Annunziata e quella presso il Tribunale per i minorenni di Napoli.   

Secondo lei questi ragazzi erano consapevoli del male che stavano facendo ad Alessandro? 

Questa domanda mi porta a svolgere due importanti considerazioni: una giuridica e una “morale”. Per essere considerati responsabili di istigazione al suicidio occorre il dolo, ossia la consapevolezza e volontà dell’agente di porre in essere una condotta rivolta al suicidio della vittima. Sarebbe opportuno, dunque, provare tale consapevolezza. In secondo luogo, questa terribile vicenda deve far riflettere tutti e in particolar modo i giovani sull’importanza delle parole che usiamo, tanto a voce quanto nei messaggi. Occorre educare i ragazzi, anzi i bambini, fin dai primi anni di scuola primaria, perché capiscano presto la linea di demarcazione tra lecito e illecito ma anche l’immenso potere delle parole. Come disse Sartre “Ogni parola ha conseguenze. Ogni silenzio anche”. 

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