I libri da leggere in autunno

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Stai cercando un libro da leggere? Scorri i consigli della redazione: ci sono memoir femministi, saghe familiari e graphic novel.


“L’inferno è una buona memoria” (Marsilio) di Michela Murgia, letto da Annarita Briganti

Una delle più importanti autrici italiane, Michela Murgia, racconta in un memoir com’è diventata femminista a 30 anni grazie a un romanzo medieval-fantasy. Ma parla anche di come riconoscere le storie sessiste attraverso un test, della saga di Re Artù, di una maestra che umilia la protagonista-narratrice perché non si era comportata come una signorina, di amicizie nate facendo giochi di ruolo, di un quadro di Klimt sopravvalutato, di politica, di divinità maschili e femminili. È affascinante il nuovo libro di Michela Murgia, L’inferno è una buona memoria (Marsilio), che fa parte della nuova collana “PassaParola”, in cui scrittori svelano il mondo e qualcosa di sé a partire da una lettura illuminante che hanno fatto. L’incontro letterario che ha dato spunto all’opera dell’autrice sarda è quello con Le nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley. Al centro di questo testo c’è il potere, un argomento a lungo tabù per le donne, narrato dal punto di vista delle “personagge”, come direbbe Murgia: Morgana, Igraine e Viviana, ma anche Ginevra. Filo conduttore di L’inferno è una buona memoria è l’apprendistato intellettuale della scrittrice, dall’infanzia in Sardegna a oggi, con pagine appassionanti sui femminismi. Non esiste un solo tipo di femminismo, ci ricorda l’autrice, invitandoci a superare un pregiudizio positivo: le donne non sono migliori degli uomini in quanto tali. «Ognuna di noi ha pensato a un certo punto che se le donne facessero politica le guerre finirebbero subito, se avessero loro il potere il mondo sarebbe un posto più giusto, se divenissero capitane d’industria il mercato sarebbe più vivibile, se ci fossero più magistrate il crimine sarebbe debellato prima» scrive Murgia in uno dei passaggi più significativi di un testo che unisce autobiografia, saggistica, tratti romanzeschi e la classe e l’ironia che conosciamo.


“La madre della madre di sua madre e le sue figlie” di Maria José Silveira (Mondadori), letto da Paolo Armelli

C’è Inaiá, l’india da cui tutto iniziò. E poi sua figlia Tebereté, cresciuta fra i cannibali, e la nipote Sahy, che leggeva i sogni. E le loro discendenti nel corso dei secoli: dalla tristissima Belmira a Guilhermina che lottò con un giaguaro, dalla potente commerciante Ana de Pádua alla fotografa Diva Felícia, fino a Lígia, attivista del dopoguerra. Sono le 20 donne raccontate da Maria José Silveira in La madre della madre di sua madre e le sue figlie (Mondadori): un albero genealogico tutto al femminile che affonda nelle floride radici di quel Paese che dal 1500 è il Brasile, per percorrerne una storia fatta di guerre, commerci, contraddizioni e profonda, umanissima magia. Le donne di questa famiglia straordinaria e variopinta sono schiave, possidenti, streghe, artiste, vivono di ricchezza e di stenti, di duro lavoro o astuti espedienti, di immense bontà e malvagità radicali. Sono soprattutto il frutto degli incroci di tante razze, un sangue indigeno ma anche portoghese, castigliano, olandese, tedesco e perfino italiano. Questa discendenza indomita è un modo per raccontare figure femminili non canoniche, e anche una nazione – mai scoperta fino in fondo – che si costruì dal nulla, su legno, manioca, canna da zucchero e oro, fra dominazioni e insurrezioni. E che ancora oggi, quando incontriamo la frizzante ultima discendente Maria Flor, nata nel 1968, va incontro al suo futuro pieno di luci e di ombre, di problemi cronici e grandi speranze.


“L’educazione” (Feltrinelli) di Tara Westover, letto da Annarita Briganti

Cresce in una discarica dell’Idaho secondo i precetti dei mormoni. Passa l’infanzia ad accumulare barattoli di pesche sciroppate in vista di una ipotetica fine del mondo. Subisce la violenza del padre e del fratello, che la picchia, la prende per i capelli e le tiene la testa nel water. Vietato andare a scuola, farsi curare dai medici, bere una bibita, studiare danza, cantare. Tara Westover, 32 anni, nata negli Stati Uniti e fuggita in Inghilterra, racconta la sua storia in L’educazione (Feltrinelli), il memoir del momento. «Ero povera e ignorante. Mi vergognavo della mia famiglia». La salvezza viene dallo studio. L’autrice, che sa a stento leggere e scrivere, a 15 anni decide di recuperare il tempo perduto. Si laurea. Consegue un dottorato di ricerca in Storia a Cambridge. Passa dal non avere idea di cosa sia stato l’Olocausto all’essere un’esperta della materia. Grazie alla sua forza di volontà e ad alcuni benefattori riscrive la propria vita. Difficile immaginare che la donna di oggi in abito rosso e tacchi a spillo argentati sia la bambina che, come in un racconto di Charles Dickens, vagava tra le montagne con i vestiti unti e faceva colazione con acqua e cereali perché il latte, secondo i suoi genitori, era inviso a Dio. Westover ha sempre annotato tutto quello che le succedeva: pagine che sono state fondamentali per L’educazione e per non impazzire. La scrittura cura, i bei libri fanno bene sia a chi li scrive sia a chi li legge. E intanto il suo memoir è diventato un bestseller.


“Le più fortunate” (Sur) di Julianne Pachico, letto da Isabella Fava

Julianne Pachico ha 33 anni, è nata a Cambridge, in Inghilterra, ma è cresciuta a Cali, in Colombia, dove i suoi genitori lavoravano neella cooperazione internazionale. Così la Colombia diventa lo sfondo del suo esordio, Le più fortunate (Sur) e la protagonista è l’élite cosmopolita su cui incombe un senso di minaccia. Il libro è formato da 11 racconti, ambientati in diversi periodi, dal 1993 al 2013, e in differenti zone del Paese per raccontarne la storia: dai narcos alle Farc, dall’apertura economica verso l’Occidente ai contrasti. A fare da filo conduttore sono le esperienze di alcune ragazze privilegiate, figlie di politici o di diplomatici, che vivono in ville faraoniche in mezzo a una natura sontuosa. Ma anche le storie dei loro professori e delle governanti.


“Il superstite” di Massimiliano Governi (E/O), letto da Gianluca Ferraris

Il superstite di Massimiliano Governi (E/O) non ha un nome, né si muove entro contorni definiti. Forse perché la sua vita è rimasta sospesa tra un intuitivamente sereno “prima” e un inerte “dopo”. La sua frattura è una rapina che si trasforma in strage. L’uomo trova i cadaveri dei suoi genitori, del fratello e della sorella. Ne annusa il sangue, osserva mutilazioni che lo sconvolgono anche se di mestiere alleva polli da macello. «Non c’è Paradiso per i morti ammazzati» gli sussurra il giorno dei funerali l’unica spalla che trova, un giornalista un po’ Ernest Hemingway e un po’ Truman Capote. Ma in questo romanzo dalla scrittura essenziale, affilata e dura come pietra non si sentono nemmeno le urla. Solo routine intorpidita da altre perdite, altre cadute, con croci di cartapesta a sigillare le fasi del processo al ladro, un altro perdente fra i perdenti.


“Lezioni di disegno” (Fabbri Editori) di Roberta Marasco, letto da Annarita Briganti

Una famiglia piena di misteri in cui si è sprecato fin troppo amore, finché la protagonista non interrompe quella maledizione. Lezioni di disegno (Fabbri Editori) di Roberta Marasco è ambientato tra la Barcellona del 2016 e quella degli anni ’70. Lo spunto è la morte di Gloria, mamma di Julia. Per tutti era la moglie remissiva di un complice del regime di Franco. In realtà, è stata l’amante per tutta la vita di un italiano che alla dittatura si opponeva. Marasco ci ricorda come non conosciamo bene neanche chi ci ha messo al mondo, ma arriva un momento in cui bisogna fare luce sul passato per costruirsi un futuro. Come fa Julia con l’aiuto di Javier, un ex mai dimenticato.


“Papaya Salad” (bao publishing) di Elisa Macellari, letto da Isabella Fava

Elisa Macellari è un’illustratrice italo-thailandese di base a Milano: ha disegnato per il New York Times, Women’s Health UK e anche Donna Moderna. Papaya Salad (bao publishing) è la sua prima graphic novel e, come scrive l’autrice, è ispirata a una storia vera. Quella dello zio Sompong, bambino nel 1923 in Thailandia, venuto da ragazzo in Italia grazie a una borsa di studio come cadetto militare. Venezia, Roma… Fino a Berlino durante la seconda guerra mondiale, dove come diplomatico aiuta i connazionali con le pratiche per l’espatrio. Una vita avventurosa, i cui ricordi riafforano durante un pasto, assaporando la papaya salad.

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