Teatro Ariston Sanremo

Sanremo ha ancora un senso?

In redazione abbiamo discusso molto sulla frase sessista di Amadeus. E abbiamo deciso di non “boicottare” il Festival. Lo seguiremo, anche se con meno entusiasmo. Perché se vallette, gag e polemiche non ci rappresentano, forse ciò che si salva è proprio la musica

Ce lo siamo chiesti anche noi: ha ancora senso parlare del Festival di Sanremo? Delle polemiche, delle canzonature che ormai contano più delle canzoni, del buco che vale più della ciambella? Dal 4 all’8 febbraio l’Italia tutta – borbottando, criticando, twittando – lo guarderà su Rai1. Noi compresi, anche se con meno entusiasmo rispetto al passato. E facendoci una domanda: il kolossal dell’Ariston, che compie 70 anni, cosa ci dice dell’Italia di oggi? Ci rappresenta?

Quale Paese raccontano le polemiche su Sanremo

Amadeus, si sa, è nell’occhio del ciclone: per aver definito le donne con lui sul palco «ovviamente tutte molto belle»; e per il plauso alla capacità di una di loro, Francesca Sofia Novello, di «rimanere un passo indietro» rispetto al fidanzato Valentino Rossi. Apriti (altra metà del) cielo. E mica a torto. Siamo nel 2020 e «ancora parliamo di vallette» commenta Irene Facheris, esperta in gender studies e autrice di Parità in pillole (Rizzoli). «Dobbiamo fare tutti uno scatto in avanti rispetto alla mera oggettivizzazione dei nostri corpi, altrimenti saremo sempre relegate in quel ruolo». Il conduttore dice di essere «l’uomo meno sessista sulla faccia della Terra»: gli vogliamo credere.

Ma il punto è un altro. Chiamiamolo, come ha fatto il nostro direttore, unconscious bias, cioè il pregiudizio inconsapevole che è spia del rapporto tra i sessi in Italia. Le responsabilità andrebbero quantomeno condivise: «Il problema non è Amadeus» sostiene il direttore del Post Luca Sofri. «Il problema è Sanremo, il problema è la Rai, il problema è la capacità di governare la crescita culturale del Paese, quella che impedirebbe non soltanto di dirle, le cose sul passo indietro, ma persino di pensarle».

I 24 big e le canzoni in gara

Quale società raccontano i brani di Sanremo

La famiglia: dalla figlia di Paolo Jannacci al nipote di Piero Pelù. La rabbia: di Irene Grandi e Anastasio. E, ovviamente, l’amore: totale (Tosca), finito (Riki), sensuale (Enrico Nigiotti), estivo (Elettra Lamborghini). Elodie e Levante si lanciano in impennate socio-femministe, ma per il resto l’impegno è assente: segno dei tempi? La politica, se mai, è ancora nell’indignazione là fuori. Il “cattivo” (preventivo) è oggi il rapper Junior Cally, colpevole di testi razzisti e misogini.

«I cacciatori di scandali hanno cominciato a strombazzare ciò che sa benissimo chi ascolta rap e trap» nota Stefano Pistolini sul Foglio. «Ovvero che sono scorrettissimi, ma capaci di parlare di molte cose seriamente e credibilmente». L’ex direttore artistico Claudio Baglioni aveva aperto le porte alla musica nuova, ma i censori sanremesi non sembrano ancora pronti.

Quale musica racconta la gara

È l’epoca dei talent show, ma chi è uscito da lì è stato consacrato all’Ariston: da Emma a Francesca Michielin. Non solo: il Festival è un “talent scout” in proprio. Per ogni Rita Pavone che torna dopo 48 anni, c’è un Mahmood che esplode. L’artista che sarebbe stato benissimo a X-Factor da quel programma è stato invece eliminato dopo poche esibizioni nel 2012: a Sanremo ha trovato la sua legittimazione.

Ecco il paradosso: se allo show di Sky togli, come accaduto quest’anno, lo spettacolo, la musica viene percepita ancora meno; Sanremo, con la sua cornice sempre così ingombrante, punta sulle nuove leve (quest’anno si va da Rancore ai Pinguini Tattici Nucleari) ed esalta giovani nomi che scalano le classifiche.

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