Se Claudio Baglioni ha annunciato che il Festival di Sanremo 2019 non sarà un evento politicamente schierato, perché per gli ingressi della seconda serata hanno montato una scenografia chiaramente importata dall’Unione Sovietica? Questa è la domanda che mi attanaglia mentre assisto all’entrata in scena del conduttore, che canta Noi no accompagnato dallo stesso corpo di ballo di ieri, che evidentemente è stato contrattualizzato a forfait con il chiaro intento di far rimpiangere Carramba che sorpresa.
Già mi viene da guardare nervosamente l’orologio: anche se in conferenza stampa Baglioni ha promesso “Saremo più corti di un’ora, un’ora e mezza” so già che rimpiangerò X Factor e i suoi blocchi granitici da 55 minuti cadauno, televoto e polemiche compresi.
Tocca a Claudio Bisio ricordare il regolamento: 12 cantanti invece di 24, voto ponderato da casa (40%), giuria demoscopica (30%) e sala stampa (30%).
Poi parte la prima gag. Ai molti che giudicano la visione completa del Festival una tortura, il siparietto incomprensibile fra Cina, Norvegia e Vecchio scarpone sarà apparso come l’incipit perfetto, il colonnello cileno che entra in cella brandendo pinze e cavi elettrici. Virginia Raffaele comunque è bellissima, e almeno all’esordio pare meno ingessata rispetto alla prima sera, e anche rispetto a Bisio. Non che ci voglia molto.
Per fortuna ci sono anche le canzoni. Il primo lotto di artisti in gara è un tributo allo svecchiamento dell’Ariston, e Baglioni ci tiene a sottolinearlo.
Presenta Rolls Royce di Achille Lauro come “un rock figlio dei nostri tempi”. Il brano non è male e i suoi 35 autori usciranno sicuramente indenni dalle mezze accuse di plagio, che a Sanremo sono prevedibili come la pioggia a novembre.
Einar, la cui camicia è un evidente omaggio al capodanno cinese, intona invece un pezzo che pare scritto da Raf e ti fa pensare che, se ai Bootcamp di Xfactor l’avevano già fatto fuori, forse forse un motivo c’era.
Segue altro sketch nel corso del quale il conduttore, pur di incassare un altro po’ di Siae, accetta di farsi rovinare Signora Lia e Come stai con pernacchie assortite. Conto 15 tweet consecutivi che dicono “Non fa ridere”, altri 20 che chiedono chi siano gli autori di questa roba. Sipario. Pubblicità.
Finiti gli spot, l’inconsapevole utente viene investito da una raffica di cuore-amore-sole-musica: è arrivato il trio de Il Volo. Testo scontato, loro ci provano pure a essere più pop sia nel look che con il cantato, ma proprio non ce la fanno. Scontatissimi, come i ringraziamenti all’orchestra che arrivano subito dopo. Dunque, considerando che le maestranze, il comune e i fiorai sanremesi li hanno già salutati nel corso della prima serata, dovrebbe mancare solo l’omaggio ai pompieri. Forse lo tengono in serbo per la finalissima.
Finora, al netto degli errori tecnici della prima esibizione, il livello generale di testi e musiche di questa edizione non sembra granché, e nemmeno Arisa inverte la tendenza. Ma il suo pezzo in radio funzionerà, proprio come quello di Achille Lauro. E poi la ragazza pare mischiare nel modo giusto gioia e grinta.
Dico “pare” perché dopo di lei arriva la prima ospite, Fiorella Mannoia, e il confronto sarebbe impietoso per chiunque.
Fiorella canta Siamo liberi di cambiare tutto e di ricominciare e, buttata così fra una canzone da sei meno meno e un rutto di Bisio appare come un invito a cambiare il format. Non succederà, ma almeno lei e Baglioni ci regalano l’unica performance sensata: un voce&chitarra da brividi di Quello che le donne non dicono. Anche la platea si risveglia dal torpore, finalmente: le donne urlano a squarciagola, gli uomini restano lì in cerca di un riscatto per quel Dolcemente complicate.
Invece gli tocca Nek, che con una perifrasi fin troppo onesta canta di volersi mettere a zerbino per la donna che ama. Lo perdoniamo perché la base rock è bella e il combinato fra lupetto, gessato e basetta sale&pepe è quasi irresistibile.
Mi perdo un altro dimenticabile sketch perché apprendo da Facebook che la canzone di Nek l’ha scritta il figlio di Biagio Antonacci e che le Rolls Royce cantate da Achille Lauro non sono auto di lusso ma pasticche. Mi sento invecchiato di colpo ed è la prima volta che il palco dell’Ariston mi provoca questa sensazione.
Poi arriva Pippo Baudo, e tutto è perdonato. A parte l’incomprensibile scelta di ficcarlo – lui che su quel palco, di quel palco, ha scritto la storia – tra un cambio d’abito di Virginia Raffaele e un filmato ad altezza drone sulle meraviglie della Liguria.
Dalle meraviglie ai fantasmi, in questo caso quelli dell’adolescenza: li canta Daniele Silvestri in “Argentovivo”, che è uno dei pezzi meglio scritti non solo di questo ma degli ultimi cinque Festival. Del resto c’è lo zampino di Manuel Agnelli. E il featuring con Rancore non è messo lì tanto per metterlo: ci sta bene sul serio.
La gara si ferma di nuovo per accogliere Michelle Hunziker: sketch introduttivo come al solito pessimo, vestito così così ma il duetto musical-cabarettistico risolleva almeno un po’ la performance di Claudio Bisio.
Gli Ex Otago arrivano da Marassi, e non si vedeva un artista di Marassi sul palco dell’Ariston dai tempi di Sabrina Salerno. Sono bravi, sono autentici, hanno una bella storia alle spalle e il loro cantante pare intercettare parecchie preferenze tra il pubblico femminile. Anche la canzone non è malaccio: funzionerà su Spotify ma non basterà a salire troppo in alto sabato sera, temo.
Seconda ospitata: Marco Mengoni è sempre Marco Mengoni, ti farebbe cantare a squarciagola sul divano pure se declamasse la lista della spesa e dopo la Mannoia e Giorgia rafforza l’idea che i guest italiani siano decisamente meglio degli artisti in gara. Thom Walker, proprio come a X Factor qualche mese fa, somiglia a un benzinaio del North Dakota capitato lì per caso.
Mentre Baglioni continua a duettare con chiunque gli capiti a tiro – ma su Emozioni di Battisti il risultato è gradevolissimo – mi accorgo che mancano ancora cinque esibizioni. La formula troppo diluita sarà una delle ragioni del (leggero) flop di ascolti di quest’anno? Difficile dirlo, ma la sensazione resta.
Ghemon, come quasi tutti gli artisti che arrivano dall’indie, piega un po’ troppo il suo stile e tutto ciò che aveva di interessante prima dell’Ariston a non meglio precisate sonorità pop. In più stona e ha la sfortuna di passare da lì subito prima di Loredana Berté.
Lei, versione ultramatura di Musa delle Winx, ha una grinta che molti ventenni si sognano e pure un signor pezzo, scritto da Gaetano Curreri degli Stadio: “Cosa ti aspetti da me”. Una delle migliori della serata, anche secondo la campana dei social.
Paola Turci, “L’ultimo ostacolo”
Paola Turci non è da meno, anzi. Splendida lei, nonostante pare indossi la stessa mise di ieri dopo averla sbattuta in lavatrice con l’acchiappacolore nero, e splendida la canzone. Se le avessero abbassato il cantato di una tonalità sarebbe stata più che perfetta. Invece ha fatto fatica, ma si riprenderà e resta papabile per il podio.
Col passare delle ore e l’uscita di scena della Hunziker anche Virginia Raffaele si scioglie un po’. Verso la fine riesce ad azzeccare sia il vestito che lo sketch, ed è la prima volta. Forse abbiamo scongiurato il rischio che nel prossimo volantino dei gilet gialli compaia anche la richiesta di abolire il canone.
Negrita, “I ragazzi stanno bene”
I Negrita cantano ma non incantano, anche se il brano ha un suo potenziale. Certo, in un quarto di secolo sono passati da “Fare sesso nascosti in un cesso e fumarsi una Marlboro dopo l’amplesso” a “Non mi va di raccogliere i miei sogni dalla cenere”. Segno dei tempi, ma l’importante è non mollare e loro non mollano.
Federica Carta e Shade, “Senza farlo apposta”
Anche Federica Carta ha scelto di festeggiare il capodanno cinese con il suo outfit, mentre Shade sembra schizzato fuori da un’infografica di Repubblica che spiega chi sono gli hipster. In ogni caso – sarà la loro gioventù o il mio sollievo per essere vicino alla fine – questa Senza farlo apposta fa funzionare l’alchimia musicale. Piacevole sorpresa, davvero.
Chiudere baracca troppo presto, nonostante le promesse di Baglioni, ovviamente è vietato. Così per tirare l’una di notte gli autori mettono in fila tutto quel che è rimasto in magazzino. Un blocco pubblicitario. Pippo Baudo che ringrazia di nuovo l’orchestra e si dà all’amarcord. Claudio Baglioni che canta Questo piccolo grande amore (ma stavolta senza Franca Leosini). Pippo Baudo che ricorda di aver premiato lui Questo piccolo grande amore come canzone del secolo a Fantastico 85. La standing ovation per Pippo Baudo (dategli l’edizione sovranista del 2020 e chiudiamola qui). L’ennesima overdose di “51 centesimi per votare” e “Quanto è bella la Liguria”.
Pio e Amedeo, a questo punto della serata divertenti e utili come una birra analcolica. Un altro blocco pubblicitario. Il TG1 della notte. Riccardo Cocciante: il suo Notre Dame de Paris regge ancora benissimo. E poi c’è anche Giò di Tonno. E Margherita, perché figurati se Baglioni si lasciava sfuggire un ultimo duetto. La standing ovation per Riccardo Cocciante. Un altro blocco pubblicitario. Laura Chiatti e Michele Riondino che pubblicizzano il loro nuovo film cantando Un’avventura. L’unico duetto in cui Baglioni non interviene è quello in cui ce ne sarebbe più bisogno. Il collegamento con il Dopofestival. Persino Rocco Papaleo urla “Sbrigatevi!” Il premio alla carriera a Pino Daniele, che avrebbe meritato miglior collocazione.
Quando anche Giobbe, probabilmente, sta per lanciare una molotov contro lo schermo, si materializza la classifica provvisoria. Promossi Achille Lauro, Loredana Berté, Arisa e Daniele Silvestri. Rimandati Ex Otago, Il Volo, Paola Turci e Ghemon. Bocciati, ma solo per ora, Einar, Nek, Negrita, Federica Carta e Shade. Finalmente, all’una passata, le luci si spengono.