Giulia Battaglia

Giulia Battaglia insegna alle ragazze a progettare videogiochi

Con la PlayStation è stato colpo di fulmine. Poi ha studiato lingue e coding.
Oggi Giulia Battaglia insegna alle ragazze di medie e superiori a creare videogames. Perché anche da una console passa la parità di genere

«Giochiamo da sempre. Dalla Preistoria al XXI secolo. Al Polo Nord e in Australia. È l’attività più antica, democratica e divertente del mondo. E trasformarla in un lavoro è come sbancare la lotteria». Giulia Battaglia ha trovato il biglietto vincente non grazie alla fortuna bensì alla passione. E oggi insegna alle ragazze a progettare videogiochi per entrare nel mondo del gaming dalla porta principale. Perché anche una console può abbattere le differenze di genere.

Giulia Battaglia e i il potere dei videogames

Ma andiamo con ordine. «Il colpo di fulmine l’ho avuto da ragazzina. Il compagno di mia mamma mi regalò la PlayStation 1 e io impazzii subito per The Sims e Dungeon Keeper, i giochi di strategia dove puoi proseguire all’infinito progettando e costruendo mondi e regni» ricorda Giulia, 28 anni, di Torino. «Ma l’aspetto che più mi ha stregato, sfatando il mito del giocatore solitario, è il potere dei videogames di creare legami: inviti gli amici e trascorri ore insieme tra sfide all’ultima partita e commenti su come superare un livello. Un po’ come un club del libro, ma più movimentato, che unisce al di là della provenienza, dell’età e del genere».

Giulia Battaglia: gli studi

Tra una schermata e l’altra, Giulia si diploma al liceo scientifico, indirizzo scienze applicate, poi si laurea in Lingue e nel frattempo continua a studiare anche coding, la programmazione informatica, «perché in entrambi i settori impari a comunicare: grazie alle lingue lo fai con gli umani, attraverso il coding con il computer». I videogiochi non sono più un semplice passatempo, diventano materia di studio. «Non mi interessa soltanto la parte tecnica, puramente informatica, ma il videogioco nel suo insieme: perciò ho preso un master in Management del prodotto multimediale. Anche Super Mario e Fortnite, per essere venduti, devono essere belli: curati a livello di immagini, musica, trama e personaggi. Non bisogna essere soltanto dei nerd per inventarli, quindi, e per lavorare nel settore non bisogna per forza intraprendere il classico percorso da informatici. Contano molto anche la creatività e la capacità di comprendere i meccanismi della nostra mente». Doti che le ragazze hanno, eccome, ma quando si tratta di numeri e computer la strada si complica.

Girls Tech: un’associazione per le ragazze

Le famose materie Stem (acronimo che sta per scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) sembrano ancora un mondo riservato agli uomini, anche se negli ultimi anni le cose stanno cambiando. E Giulia Battaglia ha deciso di contribuire al cambiamento, insegnando alle giovani a creare videogiochi. «Con l’associazione Girls Tech (girlstech.it, ndr) propongo corsi alle studentesse delle medie e delle superiori. Prima di tutto, insegno loro a usare Construct, un programma per ideare videogames anche senza sapere fare la programmazione classica. Poi svisceriamo il prodotto analizzando ogni dettaglio: come si costruisce il personaggio perfetto? Che elementi deve avere una trama per diventare seriale? Quali sono i colori più trendy? Cosa ci tiene incollati allo schermo?”. La risposta risiede addirittura nelle neuroscienze e Giulia la spiega con l’orgoglio di chi sta smontando un pregiudizio. «Ad attrarci è la sensazione di progredire di livello, di perfezionare le proprie abilità, di vincere migliorando perché in fondo, e lo dicono diversi studi, siamo animali da apprendimento, siamo nati per imparare. Quella sorta di dipendenza positiva che i giochi scatenano è causata proprio dal cervello che si esalta. Spesso li consideriamo solo una distrazione, addirittura l’antitesi allo studio, invece le ricerche più recenti dimostrano che siamo più motivati alla conoscenza se intravediamo un risultato positivo, come può essere la vittoria di una partita con la scarica di adrenalina che ci regala. Anche le nuove teorie sulla didattica si basano su questo aspetto: i bambini imparano più volentieri se alla fine ottengono un risultato».

Videogioco e dipendenza

E, allora, la dipendenza da videogame? L’Organizzazione mondiale della sanità l’ha da poco inserita nell’elenco delle patologie riconosciute. «Se ho bisogno di giocare all’infinito, ho un problema di base, magari la solitudine o delle insicurezze. Il videogioco e la dipendenza in realtà sono solo il sintomo, non la causa del malessere» osserva Giulia. Ma le console finiscono sul banco degli imputati anche per la violenza di alcuni titoli. È notizia di qualche settimana fa: la Corte suprema del Canada ha autorizzato una class action contro lo sviluppatore di Fortnite. Secondo il gruppo di genitori che l’ha intentata, i loro figli sarebbero diventati dipendenti dal celebre videogioco ambientato in un futuro post apocalittico, tanto da smettere di mangiare, dormire, fare la doccia. «Non sono d’accordo, anche qui si punta il dito contro i giochi e non sulla radice del problema. La violenza nel mondo reale non è figlia dei combattimenti nei videogames» continua Giulia.

Gaming: un settore in espansione

Va detto che i cosiddetti “sparatutto” sono solo una fetta della grande torta del gaming: esistono quelli dedicati allo sport, quelli di ruolo, quelli di avventura… Ed è qui che il talento femminile può fare la differenza. Anche perché il settore è in continua crescita: il 2022 è stato un anno da record, con un più 6% rispetto al 2021. In Italia il mercato genera un fatturato di oltre 2 miliardi di euro e le donne che ci lavorano sono solo il 17%, secondo l’Associazione di categoria dell’industria dei videogiochi. «È quello che dico alle ragazze che frequentano i miei corsi. Si tratta di un settore in espansione, anche le giocatrici sono in aumento e si sentono poco rappresentate dai prodotti in commercio. Perciò occorre un occhio nuovo e più aperto». Intanto lo sguardo di Giulia rimane sempre fisso sulla sua passione: «Il mio sogno? Creare una “visual novel”, quel genere di videogioco che si ispira ai libri con le famose storie a bivio. Possono essere delle piccole opere d’arte, con trame, disegni e musica di altissima qualità». 

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