Ursula Von der Leyen
Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, ha dato il via libera alla prima tranche dei fondi europei per l'Italia: «Annunciamo oggi un importante passo avanti nell'attuazione del Recovery Plan italiano. Riteniamo che l'Italia abbia fatto buoni progressi per ricevere il suo primo pagamento nell'ambito del NextGenerationEU». 

Donne, troppo istruite per i lavori che svolgono

È appena arrivato il via libera della Commissione europea alla prima tranche da 21 miliardi per finanziare i progetti del Pnrr. Una grande occasione anche per rilanciare l’occupazione femminile dove abbondano part time, contratti a tempo determinato, gap tra competenze e reale occupazione, lavori di cura

Via libera della Commissione europea alla prima rata di finanziamenti per l’Italia dal Recovery fund. Si tratta di 21 miliardi di euro: Bruxelles ha certificato il raggiungimento dei 51 obiettivi previsti nel Pnrr per il 2021. Ma questa occasione sarà sfruttata per rilanciare anche il lavoro femminile? Lo chiediamo a Linda Laura Sabbadini, dal 1983 all’Istat, l’Istituto centrale di statistica, di cui è la direttora centrale dal 2019. dietro ai numeri ci sono le persone, ci siamo noi.

La recessione al femminile del Covid

«Per rispondere con chiarezza è bene prima fare il riassunto degli ultimi 2 anni. Nel 2020, allo scoppio della pandemia, l’Italia è arrivata con problemi strutturali di fondo: i giovani, le donne e chi viveva al Sud era penalizzato nella ricerca e nel mantenimento del lavoro. Con il Covid c’è stata una “she-cession”, una recessione al femminile: ovvero, una forte perdita di posti di lavoro occupati dalle donne perché la crisi – a differenza di quelle precedenti – ha colpito soprattutto il settore dei servizi, dal commercio ai servizi alla famiglia, dove è forte la presenza femminile. Molte lavoravano in nero ed è stato quindi impossibile proteggerle con ammortizzatori sociali come la cassa integrazione». E invece nel 2021 si è verificata una leggera ripresa tanto che, se a fine 2019 il tasso di occupazione femminile era del 50% ora è salito al 50,5%. Un dato positivo che ha, però, due limiti».

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Il problema è la qualità del lavoro

«La percentuale che indica la crescita è un dato relativo che rileva gli occupati sul totale della popolazione, ma se andiamo a vedere in termini assoluti le cose cambiano. Per raggiungere lo stesso numero di occupate di fine 2019, ne mancano ben 60.000. Poi c’è il problema della qualità del lavoro delle donne: si sta assistendo a un progressivo peggioramento e precarizzazione, testimoniati dal maggior ricorso a contratti a tempo determinato e al part time involontario, non scelto ma subìto. L’Europa puntava al 60% di donne occupate. Da noi questo obiettivo è stato centrato solo da Emilia Romagna, Valle d’Aosta e dalla Provincia autonoma di Trento».

Donne troppo istruite per i lavori che fanno

«L’Italia è in fondo alla classifica europea per il tasso di occupazione: i 25-34enni, cioè la generazione più istruita che abbiamo mai avuto, è quella che più fatica a trovare un posto. Tra le donne con un impiego, poi, c’è tanta sovraistruzione: molte svolgono lavori per i quali basterebbe un titolo di studio inferiore a quello che possiedono».

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I fondi europei del Pnrr puntano al digitale e al green, dove le donne sono poche

«Il Pnrr punta molto soprattutto sulla transizione ecologica e sulla rivoluzione digitale, ambiti in cui ci sono poche donne. Per correggere questa stortura si è inserita una clausola per cui le aziende possono accedere a finanziamenti solo se assumono il 30% di giovani o donne. Il problema, però, è che sono previste deroghe. Di fatto si ripete qui una visione antica della politica italiana: non si legano le politiche del lavoro a efficaci politiche sociali. Queste vengono viste solo come un costo. Sono invece un investimento per il futuro e il benessere di tutti».

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Le donne impiegate nei lavori di cura

«Attenzione a leggere il dato: in termini assoluti in Italia sono il 13%, in Europa il 18%. Ma se guardiamo i servizi alla famiglia, come baby sitter, colf e badanti, la situazione si ribalta: da noi sono il 6,1%, in Europa solo 1,9% (e le statistiche non registrano il nero). Cosa significa? Che qui, per la carenza di servizi pubblici in questi ambiti, sono le famiglie a creare posti per le donne, ma si tratta di posti che danno minori garanzie e salari inferiori. E se in una famiglia non ci si può permettere un aiuto domestico, a restare a casa è sempre la donna».

Troppe devono scegliere tra figli e lavoro

«Una su 5 lascia l’impiego quando diventa madre. C’è poi un forte scarto tra il numero di figli desiderato (2) e quelli messi al mondo (1,2). Il problema della denatalità esiste e tanti invitano le donne a fare più bambini, ma come possono di fronte a una situazione così incerta?».

L’inflazione colpisce i salari più bassi, spesso madri single

«Teniamo conto che l’inflazione colpisce tutti ma non è neutra, cioè non si abbatte su tutti allo stesso modo. Quella attuale dipende principalmente dall’aumento di prezzo dei beni energetici e, quindi, penalizza soprattutto le famiglie con basso reddito. Il motivo? Sul totale dei loro consumi la quota che spendono per le bollette è proporzionalmente più alta. A questo segmento assai vulnerabile della popolazione appartengono molte madri single».

Le donne sono ingabbiate

«Dando risorse e prestigio alle politiche sociali, a cominciare dagli asili e dalla sanità territoriale. È il momento di fare un balzo d’orgoglio da parte della società civile perché orienti la politica a operare scelte che mettano la persona al centro. Se solo riuscissimo a scongelare tutto questo ingabbiamento delle potenzialità delle donne, dei giovani e degli stranieri, diventeremmo un Paese che è una potenza assoluta!».

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