frasi da non dire a un bambino

4 frasi da non dire a tuo figlio

Fa la lotta? È un manesco. Si commuove? È una femminuccia. Spesso, senza volerlo, diciamo ai nostri figli stereotipi e frasi fatte. Che non li aiutano a diventare uomini, ma trasmettono le nostre insicurezze

Non si fa apposta, semplicemente non ci si pensa ma, nei confronti dei figli maschi, mamma e papà, tendono a usare con disinvoltura espressioni che, alla lunga, rischiano di incastrarlo in un cliché. Quello del “sesso forte”, implicitamente superiore a quello femminile, che non si commmuove, riesce negli sport e alla riflessione predilige l’azione. Luoghi comuni con i quali, per la verità, si fanno i conti fin dai nove mesi di gravidanza: per molte nonne e zie un maschietto sarebbe più divertente e “facile” da educare di una femmina. Sarà vero?

«Maschi e femmine sono diversi, questo non va mai perso di vista, ma ci sono frasi che con i bambini dovremmo evitare perché hanno un effetto castrante» spiega lo psichiatra Raffaele Morelli, autore di “Crescerli senza educarli. Le antiregole per avere figli felici” (Mondadori). «Mi riferisco a quei rimproveri, esortazioni e richieste che, a forza di essere ripetuti, diventano “slogan” educativi, dettati solo dai luoghi comuni e che non hanno niente a che vedere con le esigenze e le caratteristiche del bambino». Ma vediamo insieme quattro frasi incriminate. E come liberarsene con l’aiuto degli esperti. 

Le frasi da evitare

1) «Un ometto non piange»

Magari lo dici solo per consolarlo, perché ti dispiace vederlo in lacrime. «Però, con questa frase, si passa il messaggio che le emozioni siano qualcosa da reprimere. Un monito che, crescendo, creerà problemi» sottolinea lo psichiatra Raffaele Morelli. «Non si può pensare che un bambino, solo perché è maschio, non provi dispiacere, delusione, dolore. Anzi, è bene insegnargli ad ascoltare e a dare un nome alle sue emozioni. Senza imporre al figlio uno degli stereotipi maschili peggiori, quello della durezza d’animo: un uomo non si realizza solo nella forza. Anche nei poemi omerici gli eroi piangono, così come può capitare ai campioni dello sport che, per una vittoria o una sconfitta, non esitano a mostrare la loro commozione in campo». I momenti di fragilità, dunque, non vanno condannati. «Perché sono importanti per la crescita: insegnano che non esiste solo un modo per fare le cose, possono esserci altre vie» continua l’esperto. «Le lacrime servono per sciogliere e lasciar fluire il dolore, la gioia, le tensioni. La capacità di emozionarsi non è appannaggio esclusivo del sesso femminile. Per fortuna, è un dono che possiedono tutti gli esseri umani». 

2) «Sei proprio come tuo padre»

Ha avuto un comportamento scorretto e tu subito lo associ a suo papà. «Innanzitutto, un bambino non è suo padre: una frase del genere lo mortifica perché ne annulla l’identità e lo carica della responsabilità di essere qualcun altro» sottolinea la psicoterapeuta Loredana Cirillo dell’Istituto di analisi di codici affettivi Il Minotauro. «E poi esprime un implicito giudizio negativo sul partner il quale può essersi comportato in modo deludente nel ruolo di compagno ma, come papà, non va messo in discussione: i figli soffrono se un genitore denigra l’altro. Per un maschietto, poi, quella del padre è una figura estremamente importante, è il modello in cui si identifica di più, non è giusto sminuirlo: così si rischia di togliergli un punto di riferimento e di confonderlo. Il consiglio, quindi, è di non far ricadere la propria insoddisfazione coniugale sui figli» conclude l’esperta.

3) «Questi sono giochi da bambine»

Prende in mano una bambola o un peluche, guarda un cartone in cui non ci sono mostri né supereroi o, semplicemente, nello sport non si comporta in modo combattivo e spavaldo come molti dei suoi compagni. Così, quasi in automatico, scatta il richiamo: «Non fare la femminuccia!». E, strano ma vero, a dire frasi del genere sono soprattutto le mamme. «Succede perché se un bambino non agisce come i suoi coetanei, una mamma pensa subito di aver sbagliato qualcosa» spiega Loredana Cirillo. «Ma è un timore che nasce dal pregiudizio, quello per cui i maschi si devono comportare in un certo modo. O dalla paura dell’inconsueto, perché i comportamenti standardizzati sono molto più rassicuranti. I bambini, invece, hanno diritto a esprimersi come vogliono: se un maschietto preferisce le bambole, va lasciato fare. Non bisogna, infatti, pensare che la scelta dei giochi possa influenzare il suo sviluppo sessuale».

4) «Possibile che non riesci a stare fermo? Rischi di farti male»

«In genere un bambino ha un bisogno maggiore di muoversi rispetto a una femmina. Ama giocare alla lotta con il papà o i fratelli, è più spericolato, gli piacciono le sfide muscolari e, quando va al parco, all’altalena di solito preferisce la palla. È la natura e, anche in questo caso, non è giusto condannarla o cercare di reprimerla» spiega la psicoterapeuta Loredana Cirillo. «Un genitore eccessivamente ansioso può bloccare le esplorazioni di un bambino che passano anche attraverso il corpo, le sfide, il movimento e un minimo di rischio. Se vede che la mamma ha paura, finisce per rinunciarci e bloccarsi. Perché sente che quello che gli viene spontaneo turba la persona per lui più importante e, naturalmente, un bimbo non riesce a sostenere il peso della preoccupazione materna». Altre volte, invece, succede il contrario. «Pur di affermare la sua indole, il piccolo non ascolta i richiami e rincara la dose, agitandosi ancora di più. Anche in questo caso, però, l’errore è a monte: invece di educarlo nel rispetto della sua personalità e del bisogno di muoversi, si obbliga un figlio a stare seduto a disegnare o a giocare con le costruzioni» conclude la nostra esperta.

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