In 52 paesi (tranne l'Italia) una legge punisce chi sculaccia i propri figli. È giusta? O invece uno schiaffo non fa mai male? Ecco cosa risponde un famoso psicopedagogista

Sculacciate, metodi correttivi particolarmente ‘forti’, punizioni corporali: in 52 Paesi la legge è arrivata ormai a bandire ogni tipo di punizione fisica o psicologica sui minori. Genitori, insegnanti ed educatori non devono, non possono usare violenza sui bambini. E fortunatamente la maggioranza delle nazioni europee ha questa normativa; fra le mancanti, c’è l’Italia: e ci auguriamo che si provveda celermente.

Da noi, in realtà, vi è una strana anomalia nella legge: per quanto attiene le situazioni pubbliche come scuole e ospedali, i ragazzi non si possono toccare. L’articolo 572 del Codice Penale infatti punisce l’insegnante / educatore che ha un comportamento violento sul minore che gli è affidato. Nel caso delle violenze in famiglia, diverse sentenze dalla Cassazione hanno chiarito che per essere punite devono essere continuative nel tempo. Si rischia la reclusione da 2 a 6 anni: pena che può essere aggravata se la vittima ha meno di 14 anni.

Insomma, nel contesto privato, come quello familiare, sono proibite le vessazioni sistematiche, ma è ammesso l’uso delle punizioni fisiche a carattere estemporaneo. La legge italiana insomma giustifica la sculacciata al proprio figlio, quando il genitore perde la pazienza.

Il punto è: non sarebbe il caso di cambiare anche da noi e mandare in pensione ‘i metodi forti’?

Si dirà: tutti siamo cresciuti con qualche schiaffo correttivo, le ‘botte’ che ci hanno fatto crescere. Nulla di più sbagliato!

Perché la sculacciata va evitata?

Pensare a un sistema educativo fondato sulla punizione è un errore. L’idea che per crescere un bambino devi ‘raddrizzarlo’, a suon di schiaffoni, perché altrimenti non capisce le conseguenze delle sue azioni è aberrante. I bambini vanno cresciuti in un contesto sereno, fatto di regole chiare e funzionali all’età, condivise dai genitori.

Un sistema educativo fondato sulle punizioni, al contrario, confonde l’immaturità dei figli con la colpa. Ma crescere non è una colpa: vuol dire passare attraverso errori. Per crescere, insomma, bisogna sbagliare.

Facciamo alcuni esempi chiarificatori.

E’ sbagliato pensare che un bambino che dice le bugie debba essere punito: la bugia è parte della sua vita, del suo status psicologico di immaturità.

E’ sbagliato punire un bambino perché è troppo vivace dal punto di vista motorio: ma  il bambino vivace è la normalità.

E’ sbagliato punire il bambino che a scuola fa errori. Ma se a scuola non si fanno errori… dove, quando, come si impara?

Il punto è proprio questo: noi dobbiamo passare dal concetto di una educazione punitiva, ancora molto presente, a una educazione che sappia accettare profondamente i vissuti di bambini e degli adolescenti. Che sappia mettere delle regole chiare, adeguate alla loro età. Regole che permettano ai bambini di avere dei riferimenti precisi, condivisi dai genitori.

Preciso anche che una legge che bandisce le punizioni fisiche non deve automaticamente autorizzare i genitori a usare le urla. Le ultime ricerche in scienze dell’educazione ci suggeriscono che bambini cresciuti a rimproveri e violenze verbali sono a rischio depressione già a 12 anni.

Serve proprio una legge?

La legge è importante se riesce a cambiare la mentalità, ad accrescere la consapevolezza delle persone. E’ solo un passaggio formale. Quello che conta è creare una cultura pedagogica nei genitori, che purtroppo è ancora molto carente. Lo dico senza colpevolizzare e riconoscendo la loro buona fede.

Alle conferenze che tengo spesso suggerisco che fuori dai reparti di ostetricia si distribuiscano più manuali educativi che latte in polvere: genitori che conoscono le tappe evolutive dei propri figli, che siano in grado di mantenere la giusta distanza educativa verso di loro. Non sono loro amici, ma sono loro genitori. Andrebbe valorizzato anche il ruolo del padre, che oggi è accantonato.

Tutto questo crea le condizioni per cui il bambino fa il bambino, si fida dei suoi genitori, ne riconosce l’autorità, li vede come figure della sua crescita: senza paure, senza lo spettro di botte, urla, castighi, ricatti, promesse, putiferi emotivi che incombono sulla sua crescita.

Testo raccolto da Oscar Puntel

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