Pochi giorni fa, sul mio profilo Facebook, ho scritto di un ricordo doloroso: il mio aborto spontaneo. Non ho mai avuto problemi a mettere nero su bianco le emozioni, i tormenti, le angosce. La scrittura è terapeutica e salvifica, lo dico sempre, e mi sono resa conto che non lo è solo per chi scrive, ma anche per chi riceve le nostre parole, da qualsiasi dispositivo esse provengano. Che sia un libro o un social, poco importa. È, in qualche modo, condivisione.

Mi aspettavo solidarietà, certo, visto l’argomento delicato. Ciò che non mi aspettavo è stata la valanga di testimonianze, le decine di “È la prima volta che lo racconto, e lo faccio sulla tua pagina”. Senza remore, senza timori e col cuore in mano, centinaia di donne hanno lasciato la propria traumatica esperienza tra le mie pagine, per essere lette, per buttare finalmente fuori tutto quel dolore spesso celato e nascosto. Le storie si sono susseguite scambiandoci parole di conforto, sostegno, pacche virtuali sulla spalla, battute per tirarci su il morale, consigli per superare un lutto del genere. Storie di bambini desiderati e mai arrivati, persi dalla pancia, ma non certo dal cuore. Esperienze tirate fuori con rammarico, talvolta con rabbia, altre con un velo di speranza per un futuro rosa. O celeste.

Avevo usato l’hashtag #nonsiamosole. È stato citato tantissime volte ed era esattamente quello l’intento del mio post: non sentirsi sole in un momento del genere e dimostrare di non essere le sole ad aver attraversato quell’incubo. Siamo tante, tantissime, e non se ne parla mai abbastanza. Mi è servito, certo. Il mio “zaino” è a terra già da molto tempo, ma dopo questo post, accanto a lui ho trovato tantissimi “zaini” pesanti. Non verranno dimenticati, sono solo stati buttati giù dalle spalle, per alleggerirci il cammino verso il futuro.