Cosa ci piace della nazionale di calcio femminile

In materia di diritti delle donne, più dei saggi femministi, poté un Mondiale di calcio. Sono passati 73 anni dal suffragio universale e 8 minuti dall’inizio di Italia-Giamaica, seconda partita del torneo iridato femminile, quando Barbara Bonansea sorprende la difesa delle “reggae girls” e costringe un’avversaria ad atterrarla. «Brava davvero» osserva un ragazzo poco disposto a difendere l’ultimo baluardo di presunta mascolinità rimasto in piedi, assieme al barbecue e all’incastro dei pacchi Ikea nel bagagliaio. «Ho letto sulla Gazzetta che guadagna 40.000 euro l’anno. Cioè, meno del mio capo, che tra l’altro a calcetto fa pena. Non è giusto». «No, dovrebbero darle molti più soldi» concorda la sua fidanzata. Poi confida: «Non lo accompagno mai a vedere le partite, ma stavolta gliel’ho proposto io. Stavolta è diverso». Milano, Navigli, venerdì 14 giugno. Dehor e megaschermo, birre e stuzzichini, pallone e parità di genere. Il pub è pieno: sin dalla sera precedente i cartelloni pubblicizzavano la partita, proprio come accade con i match degli strapagati colleghi maschi.

Tre milioni di italiani davanti alla tv

Se non è febbre, poco ci manca. Lo conferma l’Auditel: 1,8 milioni di spettatori per il match d’esordio contro l’Australia e quasi 3 milioni per questo secondo con la Giamaica, prima del trasloco su Rai1 per la passerella con il Brasile. «Eravamo qui per racimolare qualche punto e ora siamo al centro della scena» ha ammesso l’allenatrice Milena Bertolini, senza nascondere i possibili effetti destabilizzanti di tanta popolarità. Non capita tutti i giorni, e di sicuro non era mai capitato a queste atlete, di ricevere attestati di stima dal Quirinale, tweet di incitamento dai colleghi maschi (come quello di Daniele De Rossi per la calciatrice della Roma Elisa Bartoli), proposte di matrimonio via Instagram (le ha avute Cristina Girelli, attaccante juventina, dopo la tripletta contro la Giamaica e, soprattutto, dopo aver rivelato di essere single).

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Le calciatrici non sono (ancora) spettacolari come gli uomini

Siamo un Paese dal disperato bisogno di eroi e, dopo esserci persi il Mondiale degli uomini, ci bastano 2 vittorie e un po’ di retorica per innalzare 11 calciatrici nell’Olimpo del tifo da divano. «Che poi di grande spettacolo non si può parlare» sintetizza brutalmente un impiegato in giacca e cravatta, che aizza una tavolata di colleghi intenti a sottolineare ogni stop sbagliato, ogni movimento fuori sincrono di calciatrici che, nella maggior parte dei casi, si stanno allenando a tempo pieno da meno di un mese. Non è sessismo fine a se stesso: per chi è abituato a vedere il calcio maschile, il divario tecnico e fisico è ancora molto evidente. Lo ha ammesso anche Emma Hayes, allenatrice del Chelsea Women e opinionista del Times: «Il nostro livello si è alzato, ma per immaginare una spettacolarità analoga a quella maschile, ammesso sia ciò che vogliamo davvero, dovremmo ridurre i tempi di gioco a 30-35 minuti, così come le tenniste giocano 3 set invece di 5».

Le calciatrici ci conquistano con la determinazione

Eppure, forse è anche questa la chiave della simpatia riscossa dalle Azzurre: Bonansea, Girelli, Gama, Galli non sono fenomeni irraggiungibili, né ci chiedono di considerarle tali. Manifestano debolezze, hanno i loro coni d’ombra, vengono pagate meno di quel che meritano. Ma ci mettono grinta, sacrificio e cuore. Ogni distanza è annullata, e la prova sono i pochi commenti sessisti nel pub. Fisici come quelli di Laura Giuliani, Alia Guagni, Aurora Galli, del resto, suscitano ammirazione anche nel pubblico femminile: «Pensavo che questo sport rendesse i loro corpi più mascolini, e invece…» osserva una ragazza. Poi, mentre ascolta le dichiarazioni post partita del coach Bertolini, si gira verso il fidanzato: «Ma tu, a una con questa determinazione, non le affideresti pure la nazionale maschile, e magari anche un paio di ministeri?».

Combattono per la vittoria ma anche per i diritti

Per ora in lei, e nelle sue ragazze, confidano i vertici della Federcalcio: dopo averci fatto capire che anche per il calcio femminile ci si può entusiasmare, adesso l’obiettivo è rendere questo boom duraturo, indipendentemente dai risultati e dall’eco mediatica. Magari modificando quella legge vecchia di 40 anni che impedisce alle calciatrici, così come a ogni altra atleta donna, di accedere al professionismo. «Dobbiamo dare alle bambine la possibilità di vivere lo stesso sogno dei maschi, se lo desiderano» ha detto il capitano Sara Gama. Adesso può davvero accadere.

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