Castrazione chimica

La castrazione chimica non è la soluzione agli stupri

Se ne discuteva da tempo, ma dopo gli ultimi episodi, tra cui lo stupro di gruppo di Palermo, il vicepremier Matteo Salvini torna a proporre la castrazione chimica contro le violenze sessuali: cos'è e cosa ne pensano esperti e vittime

Secondo la Lega, che la vuole fortemente ma è osteggiata su questo punto dall’alleato dal Movimento 5 Stelle, la castrazione chimica sarebbe il mezzo per punire chi commette violenza sulle donne e abusa di loro. Se ne discute da tempo e periodicamente, ma gli ultimi episodi di cronaca, come lo stupro di gruppo a Palermo, hanno fatto tornare d’attualità l’argomento. Il ministro per le Infrastrutture e vicepremier, Matteo Salvini, ha rilanciato, infatti, la proposta di una castrazione chimica sperimentale per gli aggressori. 

Castrazione chimica sperimentale per gli autori di violenze: favorevoli e contrari

«Per stupratori e pedofili, italiani o stranieri che siano, carcere e castrazione chimica. Punto». Così Matteo Salvini ha ribadito la sua “ricetta” contro gli autori di stupri. «Uno stupratore o un pedofilo, italiano o straniero che sia, la deve pagare fino in fondo. E siccome sono dei malati, i malati vanno curati e messi poi in condizione di non ripetere la loro follia. Quindi il blocco androgenico, o la castrazione chimica, secondo me in via sperimentale anche in Italia potrebbe servire come dissuasione nei loro confronti», ha spiegato ancora il vicepremier e leader della Lega, in una diretta su Facebook. La sua proposta, però, non ha trovato l’appoggio dell’opposizione.

Gli uomini violenti non sono malati 

Cecilia D’Elia, senatrice del Pd e vicepresidente della Commissione bicamerale d’inchiesta sui femminicidi, sui social ha spiegato: «Parlare di malati e per questo di castrazione chimica come fa Salvini, significa non aver capito nulla della violenza maschile contro le donne, che è un fenomeno strutturale radicato nella cultura patriarcale della nostra società, di cui purtroppo sono imbevuti anche tanti giovani maschi ‘sani’ nel nostro Paese. Serve che la giustizia faccia il suo corso e aiuti le donne, ma soprattutto serve una rivolta culturale». D’accordo anche Marwa Mahmoud, responsabile Partecipazione e Formazione politica della segreteria Pd, secondo cui «Serve un grande lavoro culturale per educare al rispetto, al consenso e alle differenze. E serve soprattutto una pena certa e giusta per non far sentire sole le donne quando trovano la forza di denunciare», aggiunge Mahmoud, «l’orrore vissuto dalla giovane ragazza di Palermo non ci spinga ad usare la stessa violenza nel discorso pubblico».

Ma cos’è la castrazione chimica, come funziona e cosa ne pensano gli esperti? Che effetti ha e perché viene chiesta? Che conseguenze ha a lungo termine e soprattutto è efficace per evitare che gli stupratori seriali non tornino a colpire?

Cos’è la castrazione chimica

Si tratta di una terapia farmacologica che blocca la produzione di testosterone, l’ormone tipicamente maschile. I medicinali sono somministrati tramite iniezioni sottocutanee, pillole o fiale. Sono soprattutto a base di ciproterone acetato e medrossiprogesterone acetato, che hanno l’effetto di inibire il desiderio sessuale. Si tratta di farmaci utilizzati originariamente per curare il carcinoma alla prostata e oggi reimpiegati anche per limitare la libido.   

Per quanto ha effetto?

A questo proposito ci sono pareri contrastanti: secondo la maggior parte degli esperti la terapia farmacologica non ha effetti di lunga durata e si esaurisce dopo due/tre mesi dalla sua sospensione. Secondo altri, comunque, è possibile prolungare la somministrazione per allungarne anche l’efficacia, avendo come effetto una modificazione nel desiderio maschile. Ciò non garantisce, però, che il soggetto non compia più azioni violente a carattere sessuale o di altra natura.

Il parere del sessuologo: «Lo stupro è un reato d’odio, non ha nulla di erotico»

Basta, dunque, un farmaco per rendere “innocuo” un violentatore? «La sessualità non è mera chimica e gli esseri umani non sono macchine biologiche. Va ricordato che il primo organo sessuale è il cervello e ciascuno ha un proprio cocktail ormonale: la prova è che anche con bassi tassi di testosterone si può raggiungere l’erezione e provare desiderio» spiega Marco Inghilleri, sessuologo e psicologo, vicepresidente della Società Italiana di Sessuologia ed Educazione sessuale.

Che cosa spinge, allora, un soggetto ad aggredire una donna o comunque una vittima prescelta? «La castrazione chimica come deterrente è totalmente inefficace proprio perché lo stupro come reato sessuale è essenzialmente un reato d’odio, non ha nulla di erotico. È un atto sadico mosso o dal tentativo di un riscatto della persona che lo compie o addirittura dalla volontà di degradare l’oggetto del suo desiderio a una mera “cosa”. È un gesto contro qualcuno» aggiunge l’esperto. «A questo proposito la storia insegna: in Bosnia ed Erzegovina gli stupri etnici furono messi in atto con il doppio scopo di fiaccare lo spirito virile del nemico e per umiliarlo. Per questo la castrazione chimica, intesa come punizione, può persino avere un effetto deleterio» spiega il sessuologo, direttore responsabile di InterattivaMente, centro di psicologia giuridica, sessuologia clinica e psicoterapia.

L’aspetto psicologico è il vero “movente”

Secondo psicologi, psichiatri e sessuologi non è dunque la libido a spingere i violentatori ad agire, bensì una motivazione psicologica che rimane fondamentale nella spiegazione dei comportamenti sessuali: «Chi viene punito con la castrazione chimica, sapendo a cosa andrà incontro, potrebbe essere persino essere spinto ad agire, non appena ne avrà l’occasione, con ancora maggiore enfasi. Potrebbe volersi vendicare perché si sente vittima di un torto subito dallo Stato, quindi potrebbe provare più odio e potenzialmente tornare ad agire, magari non tentando di violentare, ma accoltellando la propria vittima» spiega Inghilleri.

Serve a fare giustizia?

A nutrire dubbi sulla validità della castrazione chimica come punizione è stata anche Lucia Annibali, l’avvocata sfregiata con l’acido dall’ex fidanzato, poi deputata del Pd e oggi difensore civico della Regione Toscana, dove si occupa tra l’altro di pari opportunità. Già quattro anni fa diceva: «L’agire violento nei confronti di una donna non nasce da un impulso fisico, cioè dall’incapacità di trattenere le pulsioni, ma nasce da qualcosa che sta nella testa, quindi da un meccanismo personologico che deve essere scardinato. Comunque sarebbe un trattamento chiaramente reversibile, altrimenti diverrebbe incostituzionale, quindi è inutile, insostenibile e con rischio di incostituzionalità».

Una soluzione populista

«La castrazione chimica è la risposta più semplice alla percezione popolare che in questo modo si possa avere giustizia nei confronti di un danno subito non solo dalla vittima della violenza, ma anche dalla società. Da questo punto di vista, però, i dati dimostrano che una punizione del genere, come per la pena di morte, non serve a ridurre il numero di reati. Non solo: non assolve neppure la funzione riparativa che dovrebbe avere la giustizia. Occorrerebbe piuttosto pensare alle ragioni dell’atto in sé e lavorare a una soluzione che permetta a chi ha commesso il reato di ripagare la collettività e la persona offesa» spiega ancora Marco Inghilleri.

Gli effetti collaterali

Chi viene sottoposto a castrazione chimica può subire una serie di effetti collaterali, come accade con la somministrazione di qualsiasi altro medicinale. In particolare si sono riscontrati rischi di infertilità, aumento di peso sotto forma di adipe sull’addome, sui fianchi e sulle cosce, ossia le zone dove sono più tipicamente le donne ad accumulare chili di troppo. Questo per via dello squilibrio ormonale che deriva dalla diminuzione di testosterone. Anche altre conseguenze sono più tradizionalmente associate al sesso femminile, come osteoporosi (causata da una minore mineralizzazione) e minor peluria sul corpo. Non sono esclusi poi diabete e malattie cardiovascolari legate all’aumento di peso.

In quali Paesi è praticata?

La cura a base di farmaci è già prevista ed è obbligatoria per i soggetti che hanno commesso reati sessuali su minori in Russia e in Polonia. È ammessa in alcuni stati degli Usa e in alcuni paesi europei come l’Ungheria, l’Estonia, la Lituania, l’Islanda e il Portogallo (dove è in regime di sperimentazione come nel Regno Unito). Altri Stati che ammettono questo trattamento sono Israele e Nuova Zelanda. Nei paesi scandinavi, come in Svezia, Danimarca, Finlandia, Norvegia, vi si ricorre in modo limitato e solo dietro consenso dell’interessato, come in Belgio, Germania e Francia. Le leggi, poi, variano da paese a paese e alcune legislazioni, come quella tedesca, svedese o finlandese, non ne prevedono l’applicazione al di sotto di un’età minima, che oscilla a seconda dei casi tra i 20 e i 25 anni. 

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