Cicala albero

Ma perché le cicale quest’estate cantano così forte?

Fin dall’antichità le cicale hanno una fama immeritata e ogni estate, anche dopo silenzi di anni, a milioni tornano a “disturbare”. Un esperto ci svela i segreti di questi prolifici e sorprendenti insetti

«Per cui la quale, cicale cicale cicale». Così cantava e ballava 40 anni fa Heather Parisi, sorriso smagliante e gambe lanciate al cielo. La canzone si intitola, per l’appunto, Cicale: un manifesto di quegli anni ’80 in cerca di allegria e disimpegno. Già la prima strofa avverte che, «mentre della formica non ci cale mica», delle cicale oh sì che ci cale, cioè ci importa. E parecchio. Anche per via della leggenda che le dipinge come sfaticate individualiste, per niente previdenti, con nessuna voglia di lavorare, solo di cantare.

La responsabilità per questo pregiudizio è dello scrittore greco antico Esopo e della sua favola La cicala e la formica, che racconta la cicala come incapace di impegnarsi per affrontare i momenti difficili. Una fama immeritata, che l’improvviso interesse riesploso in questo periodo per le cicale può indurre a riconsiderare.

La “rinascita” delle cicale

«Quello che colpisce di più nelle cicale è proprio la comunicazione acustica, quel frinire che è caratteristico di pochi gruppi di insetti» sorride Loris Galli, docente di Zoologia evolutiva e Biologia delle popolazioni all’università di Genova, grande esperto di insetti. E dire che da ragazzo li detestava! «Tecnicamente si chiama “stridulazione”. Il suono non viene prodotto per fonazione attraverso il sistema respiratorio, bensì mettendo in vibrazione parti dell’esoscheletro, cioè lo scheletro esterno. Per dirla schematicamente, le cicale, e solo i maschi, fanno vibrare delle membrane elastiche sull’addome. Ogni specie ha il suo suono, riconoscibile in mezzo a tutti gli altri».


La cicala adulta vive un mese: il maschio non fa altro che cantare e la femmina non fa altro che mangiare. Poi si accoppiano, si riproducono e muoiono


 

Al mondo esistono 3.400 specie di cicale

Le specie di cicale nel mondo sono 3.400. Fra le 20 e le 30 vivono in Italia. Ciascuna con il suo canto, che è un puro richiamo sessuale. Serve al maschio per attirare le femmine. Nell’ottica della formica, la cicala non fa nulla di impegnativo, certo. Ma sentite la storia dell’effimera cicala, prima di giudicare.

Quanto vivono le cicale

«La cicala adulta dunque vive un mese, massimo un mese e mezzo» racconta Loris Galli. «In pratica, il maschio non fa altro che cantare e la femmina non fa altro che mangiare. Poi si accoppiano, si riproducono e muoiono. La funzione dell’adulto è quella di completare il ciclo riproduttivo. La vera vita degli insetti è quella delle età giovanili. E per le cicale tutte quelle vite, con i vari cambi di muta, si svolgono sottoterra». Ditemi che per la maggior parte di noi questa non è una sorpresa?

Vivono per un mese sugli alberi, in genere ulivi, frassini, pini, e cantano come se non ci fosse un domani. Infatti, non c’è. Si sfogano per una manciata di settimane d’estate dopo anni passati sottoterra. «A fine stagione le uova deposte su cespugli o arbusti si schiudono. Fuoriescono delle ninfe, così si chiamano, che si lasciano cadere sul terreno e subito scavano fino a raggiungere le radici di qualche pianta. Le perforano con il rostro e ne succhiano la linfa».

Una vita sottoterra

Tutta la loro vita, attraverso sette, otto mute, si svolge fra le radici degli alberi, non fra le fronde. Crescono in silenzio. A 20, 50, a volte 70 centimetri sottoterra. «Le specie europee» precisa Galli «vivono anche 6-7 sette anni. La cicala più diffusa in Italia è la Cicada orni, con un ciclo vitale che va dai 2 ai 4 anni. Mentre alcune specie americane hanno cicli di 13 o 17 anni, come le Magicicada septendecim, che colpiscono per i loro picchi demografici impressionanti».

Anni sottoterra, succhiando linfa dalle radici senza rovinare gli alberi. Poi, risalgono in superficie, si arrampicano su un filo d’erba, compiono l’ultima muta e volano in cima a un albero. Ne hanno passati, di anni, a impegnarsi, a prepararsi per il futuro. Al buio. Poi, finalmente arrivano a cantare. Per passione. Passione d’amore. Il loro unico e ultimo canto libero. E allora aveva ragione Gianni Rodari, pedagogista e scrittore non solo per l’infanzia: «Chiedo scusa alla favola antica/ se non mi piace l’avara formica/ io sto dalla parte della cicala/ che il più bel canto non vende… regala!».

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