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Conversazioni interrotte

  • 04 02 2021

Non so dire quando me ne sono accorta. O forse sì. È successo mentre facevo ordine nella mia vita con l’obiettivo di trovare spazio per le mie passioni, lentamente fagocitate dai giorni tutti uguali, vissuti in un raggio di pochi metri quadrati. Pian piano, il tempo è saltato fuori, e io ho sentito il bisogno di riempirlo con qualcosa di più rispetto a ciò per cui lo stavo cercando. Ho sentito il bisogno di voci.

Come ogni emigrata post laurea, tutte le grandi amicizie della mia vita hanno come scenografia i chilometri di distanza, i lunghi intervalli di tempo tra un contatto e l’altro. E come sceneggiatura, l’immediata profondità raggiunta in pochi minuti insieme, la capacità di balzare al livello massimo di intimità anche dopo mesi di silenzio. Queste relazioni custodiscono la mappa di chi sono, da dove arrivo, dove voglio andare. Sono la mia àncora: posso allontanarmi quanto voglio, ma mai troppo da me stessa. Non temo per queste amicizie. Sopravvissute al tempo e allo spazio, non si lasciano intimorire dai colori delle reciproche regioni.

Ciò che sono oggi, però, la mia salute mentale, la mia resilienza, anche la mia felicità dipendono da un altro tipo di relazioni. Sono quelle che si fermano sulla soglia di un “la starò disturbando?” “avrà di meglio da fare?”. Legami che stanno in mezzo, tra la formalità e l’eccessiva intimità, i due estremi che si sposano bene con una videochiamata. Rapporti che stavano sbocciando. O che non sarebbero mai sbocciati, ma che nella casualità
di un incontro regalavano il pensiero, la riflessione, la scoperta di cui avevo bisogno. Questi amici, che risiedono in una costellazione un po’ più
esterna rispetto ai primi, sono quelli a cui finisco per raccontare i piccoli dettagli di cui è fatta la quotidianità, il libro che sto leggendo, lo scambio col capo, la preoccupazione per una figlia, la discussione col marito, il progetto che mi frulla per la testa. E dalla loro postazione mi regalano un punto
di vista diverso, mi guidano nel ragionamento, mi infondono fiducia, o più semplicemente mi porgono uno specchio in cui accorgermi che non sono l’unica e che per quella strada ci è già passato qualcun altro. Le loro voci sono la conversazione ininterrotta della mia esistenza. La conversazione che mi permette di relativizzare ogni avvenimento, di ridere anche delle cose più drammatiche, di scoprire mondi nuovi, di allenare la capacità di mettermi nei panni dell’altro. Nella ricchezza e molteplicità di queste voci risiede il segreto del mio equilibrio mentale.

Molte di queste voci nella mia vita si sono spente. Alcune perché non
ho più i luoghi in cui risuonavano. Altre perché non ho saputo ricreare
una ritualità per ascoltarle. Fino a oggi, almeno.

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