Coronavirus: perché serve la riabilitazione

Oltre ai problemi respiratori, stare per settimane immobili a letto a causa del COVID-19 provoca difficoltà motorie, disorientamento e confusione, perdita di olfatto e gusto. Conseguenze che rendono necessaria la fisioterapia

La guarigione clinica da COVID-19 non significa la fine dell’incubo. Per molti pazienti, una volta scomparsi o ridotti i sintomi più evidenti, dalla tosse secca e persistente alla febbre alta, rimangono altri disturbi, per i quali occorre una riabilitazione. Alla perdita di gusto e olfatto nei soggetti colpiti in modo più grave si possono presentare anche difficoltà motorie, deficit cognitivi, come il senso di confusione o disorientamento, stanchezza muscolare e crampi. Ecco come si interviene dopo un contagio da coronavirus.

La riabilitazione è sempre necessaria

«Immaginate una persona che rimanga per 15 giorni immobilizzata, spesso sotto sedazione: la riabilitazione è necessaria. Per questo si parla spesso di ospedali “post COVID-19”, dove i contagiati che escono dalla terapia intensiva possano proseguire le cure» spiega l’epidemiologo Pierluigi Lopalco, docente di Igiene all’università di Pisa e coordinatore della task force contro il coronavirus in Puglia.

«Il COVID-19 è una malattia che dà una serie di problemi. Nei casi più gravi, sono legati alla fase più acuta, durante la quale il paziente è allettato e ha un respiratore. Quando migliora, non è in grado di camminare e tornare subito a casa. Spesso si riscontrano danni da allettamento e polmonite, ma anche al cuore e cervello» spiega il professor Sandro Iannaccone, primario dell’unità Disturbi Neurologici Cognitivi-Motori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.

Quali problemi causa il coronavirus

Uno degli effetti secondari, rispetto ai problemi respiratori acuti, che causa il coronavirus è la perdita di olfatto e gusto, lamentata da molti contagiati: «Sono disturbi di tipo neurologico. Stiamo indagando le cause esatte, ma le possibili spiegazioni sono legate a effetti a carico dei nervi cranici o addirittura del sistema nervoso centrale» spiega Iannaccone, che è anche presidente della società Scientifica della Riabilitazione (SSR). Altri disturbi sono invece a carico del cuore o del sistema motorio, con limitazione nei movimenti. «La difficoltà di intervento sta proprio nel fatto che noi facciamo terapia su pazienti che sono ancora infettivi e cerchiamo di riabilitarli già nei primi 14 giorni dall’esordio della malattia. Tutti gli operatori ruotano intorno all’ammalato, ma in condizioni di sicurezza» spiega il primario.

Come si interviene

«Si fa camminare e fare esercizi a chi ha problemi di tipo motorio, come crampi, formicolii o dolori muscolari, grave astenia ed impaccio secondari all’allettamento; gli psicologi intervengono invece nei casi in cui i pazienti sono disorientati e confusi, dunque se il problema è di tipo cognitivo. Quando i disturbi sono cardiaci intervengono gli esperti di riabilitazione cardiologica. Gli esami vengono eseguiti direttamente sul paziente ancora a letto: dall’ecocardio all’eco polmonare, all’ettromiografia, è importante che chi è ancora infettivo si sposti il meno possibile dal reparto, per ridurre al minimo i rischi di contagio. Va anche tenuto presente che tutti questi problemi, possono coesistere anche in un unico soggetto, che dunque viene sottoposto a diverse ore di riabilitazione, oppure si possono presentare con un quadro molto variabile» spiega Iannaccone.

Quanto tempo ci vuole

Non è facile poter indicare un tempo di convalescenza, soprattutto perché la malattia è “nuova”. «Tra un mese, un mese e mezzo sarà forse possibile avere una stima più precisa dei tempi di degenza. Con questo tipo di modello di intervento abbiamo già dimesso in 10 giorni più di un terzo dei ricoverati nel nostro reparto: per ora l’obiettivo è di far recuperare al paziente il massimo della sua condizione precedente alla malattia. Teniamo presente che in tutto ci sono 300 degenti nel nostro ospedale, tra il nostro reparto, la terapia intensiva, la medicina sub-intensiva, le malattie infettive e una struttura di quarantena» spiega l’esperto.

Perché servono gli ospedali post-COVID-19

Di fronte a questi numeri, moltiplicati in proporzione nelle varie località più colpite dal contagio, si parla sempre più di frequente di strutture ad hoc, dove poter seguire i pazienti non ancora clinicamente guariti e che necessitano di cure e assistenza. E’ quanto potrebbe avvenire, ad esempio, sulla nave-ospedale di Genova, ma anche l’obiettivo del nuovo ospedale nella ex fiera di Milano, inaugurato di recente. «Il nostro protocollo è stato reso disponibile ai responsabili del ministero della Salute e della Regione Lombardia, così come ad altri ospedali. Al momento, infatti, non è possibile stabilire quanto a lungo proseguirà l’emergenza sanitaria, dunque è importante programmare l’intero percorso di cura» conclude Sandro Iannaccone.

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