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Nonni e nipoti: perché è intervenuta la Cassazione

  • 01 02 2023
La sentenza della Cassazione punta l’attenzione sul disagio dei minori che non possono essere costretti a vedere i nonni: «Nei conflitti sono ancora i più fragili. In Italia c’è ancora poco aiuto psicologico», spiega l’avvocata

Nessun visita “forzata”, niente incontri “contro voglia”, insomma nessuna “imposizione ‘manu militari”, come hanno stabilito i giudici della Cassazione, intervenendo nel caso di una famiglia in cui due bambini erano stati precedentemente costretti a vedere i nonni e lo zio paterno, nonostante la contrarietà dei minori e dei genitori.

I nonni sono importanti ma senza coercizione

La Suprema Corte ha sottolineato che il diritto dei familiari adulti non può prevalere sull’interesse dei nipoti minorenni, soprattutto se questi ultimi hanno «capacità di scernimento». «In realtà non si tratta di una sentenza rivoluzionaria, perché già in passato la Cassazione si era espressa ribadendo che l’interesse del minore è superiore rispetto a quello dell’adulto. Questo non significa, come in questo caso, che non ci sia il diritto dei nonni o dello zio a coltivare il rapporto con i nipoti. Diciamo che finora la controparte non erano stati appunto i minori, ma gli altri adulti, come per esempio i genitori, che si contrapponevano alle richieste di visite. Qui, invece, erano i nipoti a non voler incontrare i nonni. I supremi giudici, quindi, hanno voluto consolidare il concetto dell’importanza del rapporto dei nonni nella crescita dei nipoti, ma senza che questo sia da interpretare come una coercizione, specie in un caso particolare come questo dove la nonna aveva problematiche psichiatriche che potevano portare a rischi per la serenità e la salute mentale dei bambini» chiarisce l’avvocata Claudia Rabellino Becce.

La vicenda: nonni contro figlio e nuora (e nipoti)

La Cassazione, infatti, è intervenuta in un caso di Milano in cui al centro c’era la richiesta di visita da parte dello zio e dei nonni paterni nei confronti dei due nipotini. La vicenda è complessa e ha visto diversi gradi di giudizio con sentenze differenti. In primo grado il Tribunale del capoluogo lombardo aveva disposto gli incontri a condizione che fosse presente anche un educatore, data l’aggressività della nonna. In seguito i giudici d’Appello avevano stabilito che i familiari potessero vedersi anche «in forma libera», se la donna avesse dimostrato «di essersi fatta assistere da uno psichiatra dando continuità alle cure». Poi era stato ritenuto che la prescrizione per la nonna di farsi seguire da uno psichiatra «non fosse utile», perché non aveva «coscienza della propria condizione di disagio».

In Appello i giudici a favore dei nonni

Anzi, i giudici avevano esortato i genitori dei bambini a comprendere l’importanza degli incontri con i nonni, sottolineando a quale «danno psichico» esponevano i loro figli, «costretti a vivere privati degli affetti che potrebbero arricchirli, in un clima indotto di paura e rancore». In pratica, in Appello il rapporto nonni-nipoti aveva avuto la prevalenza sull’interesse dei bambini.

La Cassazione ha ribaltato il tutto tutelando i minori

Come facilmente prevedibile, i genitori dei bambini non si sono arresi, ricorrendo fino alla Cassazione, che ha ribaltato il tutto e ora ha deciso: «Il compito del giudice non è quello di individuare quale dei parenti debba imporsi sull’altro nella situazione di conflitto, ma di stabilire, rivolgendo la propria attenzione al superiore interesse del minore, se i rapporti non armonici (o addirittura conflittuali) fra gli adulti facenti parte della comunità parentale si possano comporre e come ciò debba avvenire».

L’interesse dev’essere la salute mentale dei bambini

Insomma, nessuna guerra in famiglia, ma anzi la tutela dell’interesse dei più fragili: «I dati ci dicono che negli scontri familiari la parte più debole è sempre quella che ci rimette e generalmente si tratta della donna, insieme ai figli che sono le vittime collaterali delle separazioni, dei divorzi e dei dissidi familiari, perché respirano l’aria di conflitto e la mancata serenità si ripercuote sulla salute mentale del minore – conferma Rabellino Becce – Non a caso una delle emergenze attuali, acuita anche dalla pandemia, riguarda la sfera psicologica in particolare dei più giovani e i conflitti familiari in questo hanno un forte peso».

La terapia familiare serve ancora?

Nella vicenda in questione avevano avuto un ruolo anche i servizi sociali che avevano constatato «l’impossibilità di provvedere alla mediazione perché il conflitto risultava irrisolvibile». Ma quanto sono utili i servizi sociali? Insomma, la Cassazione ha esortato a fare ricorso a strumenti soft di «modulazione delle relazioni, che sappiano creare spontaneità (e dunque significatività) di relazione con i minori piuttosto che imporre rapporti non desiderati». Ci si riferisce quindi alla terapia familiare? «Sì, perché in effetti il lavoro degli assistenti sociali, quando è fatto bene, è sicuramente importante. Fanno tra tramite tra la famiglia e il tribunale o l’istituzione giudiziaria in genere, quando ci sono forti conflitti. La terapia familiare, quindi, fa certamente bene, ma credo che sia utile ricordare anche il valore della terapia sul solo minore, in casi particolari di sofferenza emotiva o psicologica. Da questo punto di vista purtroppo in Italia siamo ancora indietro in quanto a interventi di salute mentale: rimane un forte pregiudizio o quantomeno molta diffidenza nei confronti della possibilità di rivolgersi a uno psicologo, mentre ad esempio negli Usa è più normale. Bisognerebbe costruire una nuova cultura in cui affermare che l’aiuto che si può ricevere dalla psicoterapia è molto valido e non comporta vergogna o stigma», conclude l’avvocata. Nel caso specifico ora saranno nuovamente i giudici a prevedere un percorso che porti alla soluzione della controversia, forse passando proprio da una terapia familiare estesa a tutti i soggetti coinvolti.

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