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Gli psicoanalisti contro i farmaci che bloccano la pubertà

Dal 2018 al 2021 sono aumentati del 315% i ragazzi che hanno richiesto un consulto per disforia di genere. Da qui l'appello degli psicoanalisti italiani. Cosa sono e come agiscono i farmaci che bloccano lo sviluppo durante la pubertà, e che fanno tanto discutere gli esperti

Da qualche giorno si discute dell’opportunità o meno di somministrare farmaci per la disforia di genere, cioè la condizione che si verifica quando una persona, in particolare un/a giovane, desidera cambiare genere perché non si riconosce in quello in cui è nato. Questa situazione può portare a pesanti effetti psicologici tanto che, se gli specialisti ravvedono rischi (nei casi più gravi anche il suicidio), possono decidere di prescrivere farmaci che di fatto fermano l’attività di ovaie o testicoli, in modo da non ultimare lo sviluppo tipico dell’età della pubertà.

L’appello degli psicoanalisti contro i farmaci che bloccano la pubertà

Ora la Società psicoanalitica italiana (SPI) ha preso posizione contro questa prassi, esprimendo «grande preoccupazione per l’uso» di questi farmaci per i possibili effetti e controindicazioni sia fisiche che psichiche.

Le controindicazioni dei farmaci che bloccano la pubertà

La Società psicoanalitica italiana ha scritto una lettera al ministro della Salute, Orazio Schillaci. Nel documento si afferma che «La diagnosi di ‘disforia di genere’ in età prepuberale è basata sulle affermazioni dei soggetti interessati e non può essere oggetto di un’attenta valutazione finché lo sviluppo dell’identità sessuale è ancora in corso». Non solo: si spiega anche che «sospendere o prevenire lo sviluppo psicosessuale di un soggetto, in attesa della maturazione di una sua definizione identitaria stabile, è in contraddizione con il fatto che questo sviluppo è un fattore centrale del processo della definizione». Insomma, la pubertà di per sé si caratterizza come un momento di cambiamento e talvolta confusione, ma soprattutto per il fatto che nella maggior parte dei casi questa condizione viene superata con la pubertà stessa. Secondo i firmatari, anche nei casi in cui la disforia di genere in età prepuberale si confermi in adolescenza, «l’arresto dello sviluppo non può sfociare in un corpo diverso, sotto il profilo sessuale, da quello originario». Infine, si ritiene che manchi «un’attenta valutazione scientifica accompagnata da un’approfondita riflessione sullo sviluppo psichico e suscita forti perplessità».

Allarme infondato secondo le altre società scientifiche

Immediata la risposta da parte di altre società, che ritengono l’allarme infondato: la Società italiana di endocrinologia (Sie), la Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP), la Società Italiana Genere, Identità e Salute (SIGIS), la Società Italiana di Pediatria (SIP), quella di Andrologia e Medicina della Sessualità (SIAMS) e l’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere (ONIG).

Ma di cosa si tratta e come funzionano queste terapie per il cambio di genere?

I farmaci per la disforia di genere: cosa sono

A spiegare il funzionamento è la presidente della Società italiana di endocrinologia: «Tra i farmaci bloccanti la pubertà, il principale e più usato nella disforia di genere è la triptorelina, un analogo del Gnrh, cioè un ormone fisiologicamente presente nell’organismo e deputato alla stimolazione delle gonadotropine» spiega  Annamaria Colao, presidente della Società italiana di endocrinologia. In pratica si bloccano quegli ormoni la cui funzione principale è di regolare l’attività riproduttiva degli organi genitali femminili e maschili. Di fatto, quindi, la somministrazione di questo farmaco con l’uso prolungato, ferma «in maniera temporanea la funzione gonadica, dell’ovaio o del testicolo, così da sospendere temporaneamente la fisiologica pubertà, che riprende alla sospensione del farmaco», chiarisce l’esperta.

A chi possono essere somministrati i farmaci che bloccano la pubertà

Questi farmaci e in particolare «la triptorelina è indicata negli adolescenti con disforia di genere a partire dallo stadio di sviluppo puberale cosiddetto ‘Tanner 2’, cioè di sviluppo avviato, ma non avanzato», spiega Colao. Non c’è un’età specifica, però, perché come sappiamo la pubertà può presentarsi con differenze marcate da caso a caso. Ciò che invece è fondamentale è la condizione psicologica del bambino o bambina, come dell’adolescente: «Questi farmaci vengono prescritti in caso di grave sofferenza psicologica, associata a rischio suicidario, da parte dell’endocrinologo (generalmente pediatra), dopo un’attenta valutazione del caso con un gruppo multidisciplinare composto da un bioeticista, un neuropsichiatra e uno psicologo», spiega l’endocrinologa.

I vantaggi dei farmaci che bloccano la pubertà

Questi farmaci, dunque, servono ad accompagnare il/la giovane che soffre di disforia di genere fino a un’eventuale età in cui poi, se lo volesse, potrebbe scegliere un cambio di genere definitivo, iniziando un percorso che porterà all’intervento chirurgico: «Questi farmaci servono a evitare che il sesso si consolidi in una direzione diversa rispetto alla sensibilità del/a paziente; in pratica rendono meno difficile e complesso il cambiamento eventuale di genere. È evidente, però, che se il/la paziente non sente più appropriato il cambio del genere, potrà sempre sospendere la terapia e la pubertà evolverà spontaneamente nel sesso attribuito alla nascita», chiarisce Colao.

Triplicate le richieste per cambiare sesso

Di sicuro, i casi di disforia di genere sono in aumento. Secondo gli ultimi dati, «dal 2018 al 2021 c’è stato un incremento del 315% dei ragazzi che hanno affrontato il percorso (di richiesta di consulto per disforia di genere, NdR). Un comune segnale del cambiamento culturale in atto su queste tematiche. Gli adolescenti sono portavoce di questo cambiamento che dopo la pandemia è esploso», ha confermato ad Adnkronos Salute Maddalena Mosconi, psicologa e psicoterapeuta del Servizio di adeguamento tra identità fisica e identità psichica (Saifip) che si trova all’interno dell’Asl San Camillo di Roma. «Certamente oggi c’è maggiore consapevolezza di questi percorsi farmacologici rispetto a 10 anni fa – conferma Colao – Quando la ricerca clinica dimostra la solidità e la sicurezza degli approcci farmacologici è normale che li si usi maggiormente».

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