La pandemia ha limitato le possibilità di movimento, in particolare dei bambini, con le scuole, le palestre e le piscine chiuse. Questo non ha fatto che aumentare la sedentarietà che da tempo, secondo i pedagogisti, ha aumentato la “goffaggine” di molti giovani, meno abituati a giochi all’aperto, specie nelle grandi città. Ma a volte le difficoltà di movimento, l’essere impaciacciati, ha una causa diversa. Può trattarsi di disprassia.
Si tratta della difficoltà nel programmare ed eseguire movimenti che può far apparire “goffi” e riguarda circa 6 bambini su 100. Viene definita “disturbo della coordinazione” (Developmental Coordination Disorder o DCD) e può manifestarsi in forma così lieve da non essere riconosciuta dai genitori, che pensano semplicemente che il figlio sia impacciato perché magari inciampa, cade o non riesce a lanciare la palla dove vorrebbe, quindi manca il bersaglio, facendo credere che banalmente il bambino sia poco portato per lo sport. In altri casi, invece, i segnali sono più evidenti e si manifestano a scuola con difficoltà nel copiare dalla lavagna o nello scrivere seguendo le righe. Le cause, di tipo neurologico, fanno rientrare la disprassia nella famiglia delle difficoltà di apprendimento come dislessia e discalculia. Si tratta di “neurodiversità” che non dicono che il bambino è poco intelligente e imbranato. «Al contrario: spesso si tratta di bambini molto svegli e attivi, che hanno solo bisogno di strategie diverse, per questo è importante riconoscere la disprassia il prima possibile» spiega Filippo Cattaneo, terapista della Neuro e Psicomotricità dell’età evolutiva, del Centro IELED di Psicologia dell’età evolutiva.
Come si riconosce un bambino disprassico
La disprassia può essere confusa con la goffaggine in un bambino che, ad esempio, non riesce ad allacciarsi le scarpe o abbottonarsi la giacca, fatica a utilizzare le posate, scrivere e disegnare. In alcuni casi i campanelli d’allarme iniziano molto presto, col gattonamento. A volte i bambini disprassici faticano ad assemblare puzzle e fare giochi di costruzione o con la palla, sono più impacciati nelle attività sportive o hanno difficoltà ad articolare i suoni e costruire le frasi. «A volte ci sono difficoltà anche nelle routine quotidiane, come lavarsi o ricordare cosa hanno fatto prima e cosa devono fare dopo, oppure si fatica a raccontare un episodio seguendo un nesso logico-temporale corretto – spiega l’esperto – per questo è importante cogliere i segnali e rivolgersi a un esperto in caso di dubbi».
La diagnosi
L’ipotesi più accreditata è che la disprassia sia dovuta a «un’immaturità di alcuni circuiti nervosi del cervello. Il disturbo sembra molto più frequente nei maschi che nelle femmine: il rapporto è di circa quattro a uno» spiegano dallo IELED. «L’attività motoria, anche se eseguita con rapidità e in modo apparentemente abile, può essere del tutto inefficace e scorretta, nonostante siano integre le funzioni volitive, la forza muscolare, la coordinazione e la disposizione a collaborare». A cosa si deve, dunque, la disprassia? E quanto possono influire anche i fattori ambientali, come il contesto in cui vivono i bambini con queste difficoltà?
«I bambini disprassici sono molto svegli, ma faticano a organizzare le informazioni. Hanno quindi delle competenze, ma non le sfruttano a pieno. È importante ricordare, infatti, che le difficoltà motorie sono solo la parte visibile, di cui si può accorgere un genitore o un insegnante. In fase di diagnosi, tramite test specifici, invece, si possono indagare le varie aree di apprendimento, capendo se sono associati altri disturbi specifici, che a scuola possono richiedere un approccio diverso» spiega Cattaneo.
Le possibili conseguenze a scuola
«Le manifestazioni della disprassia possono essere varie: per esempio, un bambino può non trovare i quaderni che aveva messo la sera prima nello zaino, perché ha difficoltà a rappresentarsi cosa c’è nello zaino stesso, quindi non trova le cose e prova frustrazione. Oppure fatica a organizzare le operazioni in colonna o organizza male il tratto nello scrivere, salta un rigo del foglio o si perde qualche parola. Spesso c’è più difficoltà nei dettati, perché questi richiedono due compiti diversi simultanei, cioè tenere le informazioni e riportarle sul quaderno; oppure nel trascrivere dalla lavagna, che è un piano verticale, al quaderno, che è orizzontale» spiega il terapista. Altre possibili manifestazioni della disprassia possono essere l’iperattività e il sonno agitato, ipersensibilità al contatto fisico, la facilità ad affaticarsi o la difficoltà a concentrarsi, che possono portare a loro volta a isolarsi dai coetanei. «Ci può essere una maggiore difficoltà nel raggiungere l’autonomia quotidiana o nel socializzare, proprio perché a una certa età i giochi e le attività principali richiedono un maggiore coinvolgimento motorio» aggiunge l’esperto.
Come si aiuta un bambino disprassico
La parola d’ordine è «collaborazione» tra terapisti, famiglia e scuola. Ma come si aiuta un bambino con disprassia nella vita quotidiana e a scuola? «Molto dipende dall’età: nella prima infanzia gli esperti di riferimento sono il terapista di neuro e psicomotricità dell’età evolutiva oppure il fisioterapista pediatrico, perché si lavora soprattutto a livello motorio, sul corpo. Crescendo, dal momento che cambiano le richieste che sono fatte al bambino e al ragazzo, si fa un lavoro più neuropsicolgico, con la psicologa e la psicoterapeuta che aiuta a organizzare la programmazione e la flessibilità. In alcuni casi può essere utile il supporto di un optometrista per migliorare l’aspetto della percezione visiva» conclude Cattaneo.