L’8 maggio è la Giornata mondiale per la lotta contro il tumore ovarico. Un tumore di cui noi donne dovremmo parlare di più, perché è un nemico crudele e poco conosciuto. Una recente ricerca promossa dalla onlus Acto (Alleanza contro il tumore ovarico) dice che solo 1 italiana su 3 ne conosce l’esistenza, appena 1 su 5 lo considera pericoloso e solamente 3 su 10 sanno che ci sono nuovi test genetici di prevenzione. In realtà questo tipo di cancro pericoloso lo è, e tanto, perché molto spesso viene diagnosticato troppo tardi, quando sconfiggerlo diventa un’impresa ardua.
Clamore, ma non so quanta consapevolezza del problema, ha suscitato la decisione di Angelina Jolie di farsi asportare le ovaie per il rischio, dovuto a fattori genetici, di ammalarsi.
A “presentarmi” questa neoplasia così brutale è un’amica che da qualche mese la combatte in prima persona. Con Loretta, 55 anni, ci siamo riviste ieri. Le avevo chiesto se fosse libera per pranzo mercoledì e lei ha risposto così al mio messaggio: «Mercoledì non riesco perché ho la chemio leggera». Di fronte all’aggettivo leggera, parcheggiato con una commovente dose di coraggio accanto alla prospettiva della chemioterapia, la mia agenda scarabocchiata di impegni si è dileguata e ieri ho trovato posto davanti a lei.
Loretta mi parla, ci parla così:
«Quando mi è stato diagnosticato, durante una visita ginecologica, il tumore era già al terzo stadio avanzato. Con l’intervento mi hanno tolto una massa che assomigliava a una palla da rugby e aveva già intaccato vari organi. In casi come il mio solo una donna su 4 ce la fa. Non so se guarirò, se ci saranno recidive. Devo però andare avanti. Quello che consiglio a chi scopre di avere il tumore alle ovaie è di rivolgersi al più presto a centri altamente specialistici».
Lei è in cura allo Ieo di Milano e lì incontra tante donne che arrivano da percorsi e città diversi e che, dopo che la vita ha deragliato nella malattia, si trovano sul binario lastricato di cure pesanti e di lotta caparbia per non lasciarsi sfuggire la speranza. Loretta cita alcune di queste sue compagne di viaggio:
«C’è una ragazza di 25 anni: così giovane deve ridisegnare la sua femminilità e le altre coordinate della sua esistenza. C’è l’insegnante di liceo che ora è troppo debole per tornare a fare lezione e affrontare l’esuberanza di una classe di adolescenti. C’è anche la signora 80enne che si trascina con le stampelle: deve distribuire quel poco che le resta di vigore tra l’impegno del camminare e la difficoltà di sostenere la chemioterapia».
Convegni, mostre e manifestazioni in Italia (al Policlinico Gemelli di Roma, per esempio, viene inaugurato un nuove centro di Ginecologia oncologica) e nel mondo (di tante iniziative si parla qui) dicono cosa stanno facendo medici e ricercatori per disarmare questo tumore, che finora si è nutrito anche di tanto silenzio rispetto ai suoi sintomi, rischi e decorso. Un “silenzio” che invece dà voce è quello di “Donne meditate”, l’appuntamento organizzato dalla onlus Loto con la collaborazione dell’equipe del reparto di Psicologia Clinica dell’Ospedale Bellaria. È un pomeriggio di meditazione guidata aperto a tutte le donne. Lo racconta Sandra Balboni, presidente di Loto Onlus:
«Nel titolo “Donne meditate” da una parte c’è il riferimento alla pratica meditativa, come vero aiuto e supporto alle cure tradizionali, dall’altra l’invito a meditare nel senso di riflettere, pensare e diventare sensibili verso il problema. L’informazione è già prevenzione perché significa consapevolezza del rischio. Questa è la nostra più grande sfida: sensibilizzare le donne alla patologia, sfatare la credenza che il pap test sia uno strumento di diagnosi per il tumore ovarico (lo è solamente per il tumore all’utero) e far sapere che certi sintomi non vanno sottovalutati, ma richiedono esami più approfonditi. L’8 maggio è la Giornata nazionale per la lotta contro il tumore ovarico ed è utile per avere la massima visibilità possibile, però l’attenzione su questa malattia non deve spegnersi in nessuno degli altri giorni dell’anno».