Fecondazione assistita, fissare un limite d’età?

Una sentenza della Cassazione riapre il dibattito: è giusto porre dei limiti d'età alle coppie che vogliono avere bambini con la fecondazione assistita? 

Non è mai troppo tardi per diventare genitori. Secondo la Corte di Cassazione non può essere l’età un parametro per definire chi può e chi non può essere considerato un bravo papà o una brava mamma. 

Il caso di Casale Monferrato 

Nel 2010 i servizi sociali tolsero una bambina di sei mesi (concepita tramite la fecondazione assistita) ai suoi genitori naturali. Lei aveva 57 anni e lui 69,  furono giudicati troppo anziani e quindi non in grado di crescere adeguatamente una figlia. I giudici furono molto duri con la coppia: li accusarono di essere stati egoisti e di non aver tenuto conto del fatto che la ragazza, crescendo, avrebbe corso il rischio di trovarsi orfana in giovane età e di dover ritrovarsi ad accudire i suoi genitori nel pieno dell’adolescenza. La bambina fu dichiarata adottabile e ha vissuto per anni in comunità protette o nelle famiglie che l’avevano presa in affidamento. Alla coppia fu contestato anche il reato di abbandono di minore per aver lasciato la piccola in auto durante un trasloco, ma successivamente furono assolti con sentenza definitiva.

La Cassazione

Ma qualche settimana fa, la Corte di Cassazione ha annullato tutto, restituendo la bambina ai suoi genitori. Per la Cassazione, aver concepito un bambino tardi non è un motivo sufficiente per togliere un figlio a qualcuno ma devono esserci state effettivamente delle negligenze. I giudici hanno poi stigmatizzato il comportamento dei servizi sociali, rei di aver causato un trauma ingiustificato alla bambina.

I limiti d’età

La sentenza, ovviamente, ha fatto discutere. L’evoluzione della tecnica ha permesso di spostare in avanti l’età in cui si possono ottenere bambini e sono sempre di più le coppie che avendo superato i 40-50 anni si rivolgono al medico. La legge 40, la legge che regola la fecondazione assistita, non ha fissato un limite d’età esplicito. Nel testo si dice solo che la donna deve essere in “età potenzialmente fertile”. Un concetto molto vago. La Conferenza delle Regioni, un organo che riunisce tutti gli assessori regionali alla Sanità per discutere linee guida comuni in tutta Italia, ha stabilito un limite d’età a 43 anni per accedere sia alla fecondazione omologa che a quella eterologa. Ma poiché sono solo delle indicazioni, ogni Regione si è autoregolata con limiti d’età diverse. In alcune, come nel Lazio, il limite coincide con quello della Conferenza, ovvero 43 anni, in altre come in Emilia Romagna o in Veneto è più alto (45 anni la prima, 50 la seconda). I limiti d’età sono stati spesso criticati: la coppia che vuole accedere alla fecondazione viene inserita in liste d’attesa molto lunghe e spesso i tempi sono tali che quando arriva il momento, i limiti d’età sono stati ormai superati. Per questo diverse associazioni, come “Certi Diritti”, chiedono che sia tolto il limite d’età esplicito.  

La sentenza del Tar del Veneto

In altre Regioni erano stati posti invece limiti d’età diversi per la fecondazione omologa (quella in cui entrambi i gameti sono della coppia) e per la fecondazione eterologa (quella in cui i gameti sono invece di donatori esterni). In Veneto, ad esempio, per l’omologa il limite era di 50 anni, per l’eterologa di 43. Una sentenza del Tar, però, ha cancellato tutto, sostenendo che è ingiusto stabilire limiti diversi per i due tipi di fecondazione.

All’estero

Limiti d’età esistono anche in altri Paesi. In Belgio è fissato a 45 anni per un procedura che prevede stimolazione ovarica e 47 anni se invece ricorre alla donazione di ovulo. 45 anni è il limite anche per la Danimarca e per la Finlandia, anche se in quest’ultimo paese la legge consente anche la fecondazione a età superiori se c’è il consenso del medico. Nessun limite d’età, invece, in Gran Bretagna e Stati Uniti.

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