Antibiotici e antidolorifici nei nostri laghi

Fiumi e laghi sono mete gettonate per le vacanze 2020. Ma le loro acque, anche se limpide, sono spesso inquinate, e non solo dalle sostanze classiche: ci sono anche i "nuovi inquinanti"

Estate, tempo di vacanze e quest’anno più che mai il mare non è la meta preferita in assoluto, complice la voglia di distanziamento dopo l’emergenza sanitaria da coronavirus. Fiumi e laghi diventano così un’alternativa scelta da molti italiani. Ma com’è lo stato di salute delle acque interne nel nostro Paese? Secondo un dossier di Legambiente dedicato all’inquinamento chimico, accanto alle sostanze note (idrocarburi, frutto dell’attività industriale, pesticidi e metalli pesanti) ci sono anche i “contaminanti emergenti”: cioè prodotti farmaceutici e in particolare antibiotici e principi attivi dei gel antidolorifici, sempre più diffusi. A preoccupare, in questo caso, è il fatto che la maggior parte di queste sostanze non è regolamentata, ma ha potenziali effetti avversi sulla salute dell’uomo e dell’ambiente.

Allarme antibiotici e antidolorifici

Sono 2.700 i nuovi inquinanti, per lo più inodori e incolori. Finiscono in laghi e fiumi e in mare, senza che i bagnanti o i visitatori possano rendersene conto. L’acqua rimane cristallina, ma all’interno si possono trovare prodotti farmaceutici, come gli antibiotici o i sempre più diffusi gel antidolorifici per traumi o mal di schiena: solo il 6/8% del principio attivo è assorbito dal nostro corpo, il restante è rilasciato nell’ambiente tramite le urine. Il problema è che gli impianti di depurazione non sono realizzati per abbattere queste sostanze, ma solo i batteri di origine fecale» spiega Minutolo. A questa categoria appartengono anche pillole contraccettive o per terapie ormonali sostitutive, trattamenti palliativi del tumore della mammella e della prostata, oppure per la prevenzione della perdita dei capelli nelle donne. «In alcuni casi si tratta di medicinali fondamentali nelle cure mediche, in altri invece di abuso» osserva l’esperto.

L’effetto cocktail nelle acque

Con questi nuovi inquinanti, ammontano a oltre 5.600 tonnellate le sostanze chimiche riversate nei circa 7.000 corsi d’acqua italiani tra il 2007 e il 2017. Si tratta soprattutto di metalli pesanti e pesticidi, smaltiti sotto il controllo delle autorità competenti, alle quali si sommano quelle sversate in modo illegale e non quantificabili. «Il problema non è la singola industria che può anche rispettare i parametri di legge, ma il cosiddetto effetto cocktail: è la somma di tutti gli sversamenti delle numerose attività industriali, agricole e di allevamento, dove per esempio è diffuso l’uso di pesticidi o antibiotici per non far ammalare gli animali. Il vettore finale, però, è uno solo, un corso d’acqua che poi finisce in un fiume più grande e infine in mare oppure che rilascia inquinanti nelle falde acquifere» spiega Andrea Minutolo, responsabile scientifico nazionale di Legambiente.

Occhio a fiume Toce, lago Maggiore e lago d’Orta

Oltre all’inquinamento noto dei grandi impianti industriali, esistono anche fonti di inquinamento più recenti che in alcuni casi, come nelle acque interne del Parco Nazionale del Gran Sasso, rischiano di mettere in crisi gli ecosistemi. Accade anche nei laghi di Lesina e Varano in Puglia, che d’estate si animano di villeggianti, e al lago d’Orta in Piemonte, anch’esso meta di gite giornaliere o di vacanze per chi cerca fresco, verde e uno specchio d’acqua in cui fare il bagno senza dover andare al mare. Sempre in Piemonte, a Pieve Vergonte (Verbano-Cusio-Ossola) a ridosso del Parco Nazionale della Val Grande preoccupa la situazione del fiume Toce, che confluisce poi nel lago Maggiore, mete turistica e naturalistica.

I casi più clamorosi di inquinamento delle acque italiane, da nord a sud, sono 46, e molti li conosciamo. Alcuni riguardano ex siti industriali come Porto Marghera in Veneto, dove ad essere contaminata è la falda acquifera, in particolare da ferro, alluminio, arsenico, zinco, tricloroetilene, triclorometano e IPA. In Friuli Venezia Giulia, invece, sono le spiagge che si affacciano sulla Laguna di Marano, a preoccupare, insieme alle condizioni di inquinamento del fiume Tagliamento (balneabile). Nella baia di Muggia (Trieste), poi, dove migliaia di villeggianti e residenti si riversano in estate per fare il bagno e prendere il sole, sui fondali marini sono stati trovati livelli elevati di metalli pesanti e idrocarburi. In Lombardia lo sversamento delle acque reflue della Caffaro di Brescia ha raggiunto le acque di falda. Situazioni analoghe anche a Mantova e Pioltello Rodano.

In Liguria sotto la lente ci sono Pitelli, non lontana dalle Cinque Terre, e Cogoleto nel ponente, mentre in Toscana oltre a Piombino hanno problemi di inquinamento anche Livorno e Orbetello, dove si trova l’altro un’Oasi naturale del WWF. Situazioni critiche poi Falconara Marittima nelle Marche, a Bussi sul Tirino in Abruzzo, nella Valle del Sacco nel Lazio, a Bagnoli (Napoli), nella Val Basento in Basilicata, a Crotone Cassano Cerchiara (Calabria) e nella zona di Gela, Augusta, Priolo e Melilli in Sicilia.

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Cosa ci ha insegnato il lockdown?

«Durante la chiusura forzata delle industrie nella Fase 1 tutti abbiamo avuto la percezione di una riduzione dell’inquinamento, sia atmosferico che delle acque: i fiumi, i laghi e i mari sono apparsi più puliti e ripopolati di animali» concude Minutolo. «La ripartenza dovrebbe essere un’occasione per ripensare le modalità produttive, riducendo per esempio sia il prelievo delle acque pulite da parte delle industrie, sia il rilascio di quelle sporche» .

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