Screening per le malattie rare, cosa cambia nel 2022

I test potrebbero salvare la vita a moltissimi bambini, ma l’elenco delle patologie non è aggiornato. Buone notizie, invece, sul fronte dei fondi

La buona notizia è che i fondi a disposizione per effettuare gli screening neonatali sono rimasti intatti (ma non aumentati, come invece si sperava). Quella cattiva è che cresce il ritardo del ministero della Salute nell’aggiornare la lista delle malattie rare per le quali, invece, i test potrebbero rappresentare un vero salvavita. Parliamo di centinaia di bambini. Si tratta di patologie come la Sma, la atrofia spinale muscolare, una malattia rara degenerativa che colpisce soprattutto gli arti inferiori e i muscoli respiratori, quindi progressivamente rende difficile e poi impossibile camminare e respirare.

Qual è la situazione: alcuni progressi e troppi ritardi

«A migliorare è la scienza, perché col tempo aumentano sia i test diagnostici che le terapie a disposizione per curare o almeno migliorare la qualità della vita dei malati di queste patologie rare. Il vero problema, però, è che siamo in grande ritardo nell’aggiornamento della lista delle malattie rare per le quali appunto prevedere screening neonatali, cioè da effettuare alla nascita in modo da intervenire precocemente in caso si riscontri la necessità» spiega Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttore dell’Osservatorio Malattie Rare (OMaR).

Meno burocrazia, quindi il ritardo non si giustifica

Una novità importante delle ultime settimana riguarda un ostacolo burocratico che è venuto meno: «A differenza di quanto previsto lo scorso anno, con la legge di Bilancio è stato cancellato l’obbligo di effettuare i cosiddetti studi HTA, ossia Health Technology Assessment, che servono per valutare alcuni aspetti di procedimento scientifico prima di procedere con gli screening. Andrebbero usati in sanità, ma nel caso della maggior parte delle malattie rare per le quali chiediamo gli screening, non servono perché le patologie sono note, ci sono anche terapie validate a livello scientifico da tempo, e i test per individuare precocemente le patologie nei neonati si sono rivelati validi. Per questo il ritardo nell’aggiornamento dell’elenco delle malattie per le quali prevedere questi controlli in fase neonatale è ingiustificabile: stiamo attendendo ormai da 8 mesi» chiarisce Ciancaleoni. Nel caso della Sma, addiritura, c’è anche già un HTA, ma la malattia non è ancora stata inserita nella lista.

Gli screening salvano la vita

L’utilità degli screening è chiara: «Questi test, che sono semplicissimi da effettuare, salvano semplicemente la vita ai bambini. Nel caso della Sma, ad esempio, rappresentano la differenza tra la vita e la morte. Lo stesso vale per i casi più gravi della malattia di Gaucher e spesso permettono di evitare disabilità gravissime o di dover seguire terapie molto pesanti sia da bambini che da adulti, o di vivere potendo camminare o senza respiratore artificiale». «Nel 2020 sono stati identificati grazie allo Screening neonatale ben 426 neonati, uno ogni 1.250 nati (Rapporto SIMMESN), bambini a cui è stato possibile assicurare precocemente terapie e diete che hanno cambiato radicalmente il decorso della patologia e la qualità della loro vita. E questo su un pannello di circa 40 malattie. Si può fare di più» conferma Manuela Vaccarotto, Vicepresidente AISMME, Associazione Italiana Malattie Metaboliche Ereditarie.

Come si fanno i test

I requisiti per effettuare uno screening sono tre: che la patologia sia molto grave, invalidante o possa mettere in pericolo di vita; che ci sia una sia terapia efficace che possa migliorare la qualità della vita del malato; che ci sia un test affidabile per individuare la patologia in fase precoce e che rappresenti a sua volta una fonte di pericolo. «Se ci sono questi requisiti, allora si può procedere e la modalità è spesso semplicissima: basta effettuare un prelievo di sangue dal tallone nel neonato entro le prime 72 ore di vita. Bastano pochi giorni per avere il responso, che arriva quando il bambino è ancora in ospedale o è appena tornato a casa – spiega la Direttrice di OMaR - A quel punto è sufficiente effettuare un secondo test di conferma e, se si individua la malattia, il neonato viene messo in sicurezza avviando un percorso specifico a seconda della patologia».

Per quali patologie

Ad oggi sono almeno 7 le patologie che hanno già tutti i requisiti per essere inserite nell’elenco: oltre alla SMA ci soni, infatti, la sindrome adrenogenitale, la mucopolisaccaridosi di tipo I (MPS I), la Fabry, la Gaucher, la Pompe e le immunodeficienze congenite. «Prevedere gli screening per queste patologie consentirebbe interventi precoci. Ci sono Regioni che hanno deciso di inserire alcune di queste patologie in modo autonomo negli screening: è il caso di Toscana, Lazio e Puglia, ma partiranno a breve anche la Liguria, il Piemonte e la Campania. Ad esempio, in alcuni casi dopo gli screening può aiutare anche solo una prima somministrazione iniziale di vitamine, decisa ovviamente in modo specifico a seconda dei casi. Le terapie sono poi differenti a seconda della malattia: per quelle metaboliche in genere si procede con interventi dietetici, a base di supplementazioni o privazioni di alcuni alimenti; per quelle enzimatiche, cioè causate dal fatto che l’organismo non produce alcuni enzimi, si seguono cure anche per tutta la vita per sopperire a questa mancanza. Per le immunodeficienze, invece, si possono prevedere terapie geniche o trapianti, a volte anche in combinazione, ma la valutazione viene effettuata di volta in volta, tenendo conto dell’età e della specificità». Il fattore tempo, però, è fondamentale sempre.

I fondi vanno spesi meglio

Un altro nodo riguarda poi i fondi a disposizione per gli screening: «In fase di discussione della legge di Bilancio si era provato ad aumentare i finanziamenti, ma alla fine l’emendamento che prevedeva un incremento è rimasto fuori. Fortunatamente, però, ogni anno i fondi sono rifinanziati, quindi gli importi sono gli stessi previsti in passato – rassicura Ciancaleoni – Il problema riguarda piuttosto la loro gestione da parte delle Regioni, perché non sono tenute a rendicontarne l’uso: in pratica non devono indicare se sono stati utilizzati specificamente per gli screening e questo è un grosso limite».

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