Mangayamma Yaramati

In India c’è una mamma di 74 anni

Una donna indiana di 74 anni ha partorito due gemelle, concepite con la fecondazione artificiale. Oltre agli (scontati) dubbi etici, ci dobbiamo chiedere anche fino a che punto il fisico può sopportare una gravidanza, che rischi ci sono per la donna e per il bambino e fino a che età è possibile - per la scienza - correrli.

Una donna indiana di 74 anni (o 73, secondo altre fonti, ma poco cambia) qualche giorno fa ha dato alla luce due gemelle, concepite con la fecondazione artificiale e nate con il parto cesareo. Un record nazionale, se non mondiale. Si chiama Mangayamma Yaramati, è sposata dal 1962 con l’82enne agricoltore Raja Rapo, vive nel villaggio di Nelaparthipadu. Ha tolto il primato  – quello di mamma più anziana del Paese – a Daljinder Kaur, che nel 2016 aveva avuto un figlio a 70 anni. I medici che hanno assistito l’anziana madre – raccontano siti e giornali –  hanno deciso di assecondare il suo desiderio di maternità, superando le perplessità iniziali legate all’età e prendendo atto dei  risultati di analisi e esami: “Era in ottime condizioni generali”.

Una storia che interroga e spinge a riflettere

Il risultato è arrivato, assieme agli interrogativi che la storia pone. È stato un miracolo? O un azzardo? Fino a che punto ci si può spingere? Dopo il parto, per precauzione la puerpera è stata trasferita in una unità di cure intensive. Anche il marito è stato ricoverato in ospedale, perché ha avuto un infarto o un ictus (anche su questo punto le fonti divergono). “Siamo al colmo della felicità”, hanno ripetuto entrambi. Non avere figli, ha aggiunto la neomamma, le era costato l’esclusione dalle riunioni del villaggio.

Il punto di vista dell’esperta

Eleonora Porcu è docente all’università di Bologna e dirige il Centro di infertilità e procreazione medicalmente assistita dell’ospedale Sant’Orsola, sempre nel capoluogo emiliano. “Nella legge 40 del 2004 – spiega – c’è un limite legale all’età fino alla quale in Italia è ammessa la procreazione assistita. Non è indicato un numero di anni preciso. Si fa riferimento all’età media biologicamente fertile, che è 50 – 51 anni. Il decreto Lorenzin inserisce le procedure nei Livelli di essenziali di assistenza fino a 46 anni, il tetto fissato in Emilia Romagna. In altre regioni la Pma si pratica anche oltre, fino a 48-50 anni”. Premesso questo, sempre parole dell’esperta, “biologicamente è una follia fare bambini non dico a 70 -75 anni, ma anche dopo i 50 anni. Le complicanze, per le mamme e per i concepiti, sono elevatissime. Cominciano ad aumentare, ce lo dicono gli studi scientifici e le statistiche, dopo i 35 anni”.

“Rischi elevati per mamme e feti”

“Passati i 40 – 45 – continua l’esperta – aumentano i tassi di potenziale mortalità materna. Spostare in avanti l’età della gravidanza è pericoloso, dal punto di vista della salute. Dopo la menopausa, inoltre, il concepimento è possibile solo ricorrendo alla fecondazione eterologa. Ma andare a prendere l’ovulo di una donna più giovane, e in condizione di salute migliori, non risolve certo il problema. La gravidanza, oltre una certa soglia anagrafica, resta a rischio. Il corpo cambia, invecchia. Le funzioni vitali si modificano. La madre mette in pericolo la sua stessa vita. Non è affatto scontato che si raggiunga il risultato che ci si era prefissi, cioè portare a termine la gestazione e partorire. E si espone a rischio anche il feto. Nelle gravidanze in età avanzata – ricorda Porcu – sale la percentuale di morti in utero, parti pretermine, nascite premature con alterazioni e danni permanenti nel bimbo”.

E allora perché all’estero sono attivi medici che aiutano donne anziane a concepire e a partorire? “Purtroppo ci sono Paesi spregiudicati, senza alcun limite. Altri, come il nostro, si sono dati delle regole di base. Nei colleghi che assecondano queste aspiranti madri non c’è solo un senso di potere. Dietro spesso c’è un grande business economico”. Altra osservazione. “Antropologicamente – osserva la dottoressa Porcu – la maternità è cambiata. Decidere di volere un figlio a 70 anni e oltre significa che non si sta pensando a lui e alla voglia di dare, ma si vuole soddisfare un bisogno personale voluttuario”.

“Il caso indiano è un’assurdità”

Anche Giuseppe D’Amato, collega pugliese della professoressa e responsabile del settore Procreazione assistita dell’Associazione ginecologi ospedalieri è più che critico. “Le frontiere della conoscenza cambiano continuamente. Ma è fattibile tutto ciò che è possibile? È evidente che non si può agire solo per soddisfare il narcisismo di una persona anziana che vuole avere un bimbo in età avanzata. Vista l’aspettativa di vita – che da noi è 86 anni e altrove più bassa – se si partorisce a 74 anni si è destinati a lasciare presto i figli orfani. Nel mondo occidentale il termine massimo, per indurre una maternità, non dovrebbe essere superiore a 50 anni. E per procedere andrebbe sempre dimostrato che la candidata abbia uno stato di salute accettabile. La gravidanza in età avanzata – concorda – spesso è molto rischiosa sia per la madre, anche se è sana come un pesce, sia per il concepito. Fare un figlio dopo i 50 non è naturale e non è fisiologico”.

“Problema etico, oltre che biologico”

In India, ripete D’Amato, “è stato un azzardo assoluto, da tutti i punti di vista. Si sono impiantati più ovuli, per agevolare la fecondazione. In questo modo si è esposta una donna anziana, oltre a tutto il resto, anche al rischio di una gravidanza gemellare, aumentando la probabilità di complicanze”. D’Amato è duro anche con i camici bianchi che hanno assistito l’aspirante mamma ultrasettantenne. “Chi l’ha aiutata a concepire si è posto al centro, come un nuovo Dio. Ha alzato l’asticella, per raggiungere un primato. Ha un senso? Non credo. Ci deve essere un discrimine etico, oltre che biologico e fisico”.

“Ogni donna ha la sua storia, prestiamo attenzione”

Edgardo Somigliana, direttore del Centro di procreazione medicalmente assistita della clinica Mangiagalli di Milano e professore alla Statale, non si sottrae alla discussione e al confronto. “Biologicamente è possibile avere una gravidanza in età avanzata. Le ovaie non producono più ovuli, ma l’utero resta elastico, per cui è in grado di ricevere embrioni ottenuti con l’ovodonazione. Certo, vista l’età della donna indiana, il caso è sorprendente, quasi incredibile. Per storie di questo tipo – suggerisce –  bisognerebbe ragionare su tre piani. Ci deve essere una valutazione dei rischi, per le donne che desiderano un figlio dopo una certa età: più si invecchia e più i rischio aumentano. La gestazione fisicamente è un impegno notevole, comporta ad esempio un forte stress cardio-vascolare. Da un punto di vista medico, dunque, andrebbero fatte prevalere le controindicazioni. Il secondo aspetto è per così dire demografico e anagrafico. Siamo chiamati non solo ad avere bambini, ma anche a crescerli e proteggerli per molti anni. Se diventiamo genitori a 70 anni, per quanto resteremo al fianco dei figli, viste le aspettative di vita? Infine, dal punto di vista etico, sul caso indiano anche io ho una mia opinione. Ma non la esprimo. Ciascuno ha la sua e tutte meritano uguale rispetto. Il pericolo che si corre – prosegue Somigliana  – è quello dare giudizi affrettati, superficiali. Nella nostra struttura abbiamo a che fare con donne, aspiranti madri, alle quali la biologia ha voltato le spalle. Verrebbe facile giudicare. Invece dobbiamo stare attenti. Dietro queste pazienti ci sono spesso esperienze dolorose, situazioni particolari, problematiche degne di considerazione e rispetto”.

 “Un miracolo della medicina”?

Il ginecologo indiano che ha reso possibile la gestazione e il parto della paziente 74enne non sembra avere dubbi. “Le mamme e le bimbe stanno bene. Non ci sono state complicazioni. È un miracolo della medicina”. E “miracolo” è la parola che ricorre in titoli e commenti di segno positivo, che fanno da contraltare a critiche e perplessità.

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