Come capire se tuo figlio soffre di mutismo selettivo

Spesso confuso con la timidezza, il mutismo selettivo è la nuova forma di ansia dei nostri figli. Un disturbo che preoccupa gli specialisti e che i genitori fanno fatica a riconoscere e ad affrontare

Alice, che a casa è un fiume in piena, all’asilo rimane muta. Luca invece, che a scuola parla, con alcuni parenti non ce la fa. Martina adora la sua maestra di danza, però quando è con lei non riesce ad aprire bocca. Martina, Luca e Alice rappresentano tre casi tipici di mutismo selettivo, un disturbo dovuto a un eccessivo carico di ansia che travolge i più piccoli in alcune situazioni, bloccandogli la voce. Nell’era della comunicazione dilagante, questa fuga dalla parola sembra in contrasto con le nostre vite iperconnesse, in realtà il sovraccarico di stimoli può alimentare le paure e le ansie dei bambini più fragili. «Se non cambiamo rotta il mutismo selettivo sarà il disturbo del secolo» esordisce Emanuela Iacchia, psicoterapeuta e membro del comitato scientifico dell’Associazione italiana mutismo selettivo.

«Ricevo 5 o 6 nuovi casi a settimana e gli ultimi numeri forniti dai ricercatori Johnson e Wintgens ci dicono che 1 bambino su 140, sotto gli otto anni, è muto selettivo. Ma c’è da credere che il fenomeno sia ben più vasto, considerato che è un disturbo ancora poco noto sia ai genitori sia agli insegnanti e che viene diagnosticato raramente». È subdolo perché arriva piano piano e lo si confonde con la banale timidezza. Non succede mai che un muto selettivo smetta di parlare da un giorno all’altro, motivo per cui il disturbo può passare inosservato per anni, come ci racconta la mamma di Filippo: «Alla scuola materna ha fatto fatica nell’inserimento e anche dopo, quando andava volentieri, la maestra ci diceva che non era un chiacchierone. Abbiamo pensato fosse timidezza e non ci siamo preoccupati. Ma poi alle elementari si è bloccato completamente».

Come capire se il silenzio è dovuto al carattere o al disturbo?

L’esperta consiglia di osservarlo nel tempo. «Se succede all’inizio dell’asilo è comprensibile. Se invece perdura nei mesi è opportuno parlarne con uno specialista. È utile anche osservare come agisce con familiari e sconosciuti. È una normale timidezza se un bambino a 4 anni non parla con chi vede per la prima volta. È invece un campanello di mutismo selettivo se inizia a farlo anche con chi conosce bene. Come Edoardo, che all’asilo non parlava e a casa rispondeva alla nonna bisbigliando o tramite la sorella». Ma con le strategie giuste questi bambini trovano il coraggio di aprirsi al mondo. «Oggi Edoardo è perfettamente guarito e in classe è fin troppo chiacchierone!» ci racconta sorridendo la mamma. Merito, anche, di un percorso terapeutico durato anni.


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«Il nostro ruolo è stato quello di spingerlo a superare sfide alla sua portata. Anziché essere iperprotettivi, abbiamo imparato a leggere la sua paura per capire, di volta in volta, quando accelerare e quando invece era meglio rallentare. C’è stato bisogno di un lavoro di squadra tra scuola, famiglia e terapeuta, per fargli acquisire fiducia nelle insegnanti, nei compagni, nei parenti. La specialista dell’Associazione italiana mutismo selettivo ci ha dato piccole strategie quotidiane. Ricordo che invitavamo a casa un compagno alla volta, perché, non parlando, il gruppo lo avrebbe escluso. Per calmarlo dalla folla che lo paralizzava lo portavamo nel bosco. A scuola la maestra lo premiava quando provava a dire qualcosa con i gesti o con un disegno. Ma soprattutto, nessuno gli ha mai chiesto di parlare né lo ha giudicato. Così, con piccole e costanti attenzioni, Edoardo ha trovato da solo la strada per uscire dal suo labirinto di fantasmi. So che non perderà mai l’indole ansiosa, ma adesso è un bambino che sa stare in gruppo e gestire i suoi momenti di smarrimento».

È proprio dalla capacità di parlare con i nostri figli che bisogna ripartire. Secondo alcuni esperti il mutismo selettivo è figlio anche del senso di isolamento che si respira in famiglia. «L’uso di chat e social anche in giovanissima età, così come la crescente abitudine di utilizzare telefono e tablet stile babysitter, sta facendo collassare la comunicazione verbale » spiega Luigi D’Alonzo, professore di pedagogia alla Cattolica di Milano. «E siamo di fronte a un’intera generazione di bimbi che, anche se non soffrono di mutismo selettivo, faticano a esprimersi. Dobbiamo guardare negli occhi i nostri figli e ristabilire con loro una comunicazione forte, lontani dallo stress e dal rumore di fondo in cui siamo immersi».

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