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Perché il potere resta agli uomini?

Di leggi in grado di favorire l’occupazione e la carriera femminili ne abbiamo. Però la loro efficacia concreta è ridotta. Perché il potere resta in mano agli uomini, certo. Ma anche perché noi dobbiamo imparare meglio una materia difficile: l’arte di osare

Mai dormire sugli allori, si dice. Tanto più se gli “allori” sono il potere e le conquiste ottenute grazie a norme che danno uno scossone a una palese ingiustizia: la scarsa presenza di donne nel mondo del lavoro e quella, ancor più rarefatta, di donne ai vertici delle aziende.

Le quote rosa non sono più obligatorie

Partiamo da una legge, considerata da molti una medicina amara ma necessaria, che dal 2011 agisce ai “piani alti”: la Golfo-Mosca prevede quote (dette anche, non del tutto correttamente, “quote rosa”) per il genere meno rappresentato nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali delle società quotate. Che succede, però, se la società esce dalla Borsa? «Venuto meno l’obbligo di avere il 40% di donne in Cda, si rischia di scivolare all’indietro» spiega Florinda Scicolone, giurista d’impresa, esperta di Gender Balance, Diversity & Inclusion. «Lo dimostra il caso recente di Atlantia: subito dopo il delisting, l’uscita dalla Borsa appunto, il che rendeva la società giuridicamente non più destinataria della Golfo-Mosca, il nuovo consiglio di amministrazione è tornato tutto al maschile».

La certificazione della parità di genere

C’è poi la Certificazione della parità di genere (disciplinata dalla UNI/PdR 125:2022), che dovrebbe rendere più agevole l’ingresso nel mondo del lavoro: per ottenerla, le imprese devono dimostrare di non porre ostacoli ma anzi di favorire l’assunzione e la carriera delle donne. «I requisiti che permettono la Certificazione sono fondamentali per raggiungere quella parità che ancora oggi non abbiamo. Basti vedere non solo la differenza nell’accesso al lavoro, ma anche l’eccesso di dimissioni dopo la maternità e, ovviamente, il gender pay gap» ha detto la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità Eugenia Maria Roccella all’evento digitale su questo tema organizzato qualche giorno fa da 24 Ore Eventi.

Nelle gare d’appalto la Certificazione non è richiesta

Ma sulla Certificazione il dibattito è vivace, perché non è inserita nel nuovo codice degli appalti. La conseguenza? Se un’azienda vede che il suo impegno per ottenere la Certificazione è “premiato” nelle gare d’appalto, è stimolata a farla; in caso contrario l’interesse si smorza. «Da giurista specifico però che, al momento, il testo del decreto legislativo del nuovo codice degli appalti, che deriva da una legge delega che si trova in Parlamento, prevede che venga trattato il tema in un Dpcm che emanerà il governo entro 60 giorni dall’approvazione » interviene Scicolone. «La parità di genere deve essere lasciata fuori dai colori politici e deve essere un tema trasversale ed equilibrato».

La parità di genere fa crescere il Pil

Sul fatto che alcune norme rischino di avere effetti annacquati concorda Claudia Bugno, fondatrice e managing director di Futuritaly, società di consulenza strategica per lo sviluppo di realtà aziendali: «In Italia i luoghi decisionali restano in buona parte blindati al maschile. Siamo in basso nella classifica europea elaborata da European Women on boards, che conta da noi solo il 3% di donne ceo. Servono quindi “forzature” per scardinare certi meccanismi. Si tratta di fare un profondo salto culturale, e questo richiede tempo e dedizione». C’è in realtà un’altra norma, fondativa, he ricorda Barbara Falcomer, direttrice generale di Valore D: «La nostra Costituzione all’articolo 29 dice che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Nei fatti, però, si sottostima l’impatto che la realizzazione della parità di genere può avere sulla crescita del Pil e sull’innovazione». Non solo. «L’obiettivo della parità di genere deve avere una mission precisa: favorire l’occupazione femminile e combattere la violenza contro le donne» aggiunge Florinda Scicolone. «Si può scegliere di ribellarsi e di denunciare un partner violento solo se si ha autonomia finanziaria: questa te la dà il lavoro».

Le donne fanno rete?

Segnali incoraggianti ci sono. «Quando andiamo nelle scuole a presentare role model femminili in campi percepiti finora come esclusivamente maschili, notiamo che nelle nuove generazioni sta migliorando molto la consapevolezza su questi temi» conferma Barbara Falcomer. «Vediamo anche lo sviluppo di tante associazioni e iniziative che mirano a tenere alta l’attenzione in materia. Si comincia a fare rete». Qui ci si incaglia in una domanda scomoda: le donne vogliono davvero aiutare le altre donne? «Spesso» ammette Scicolone «per la rivalità, che ha radici culturali antiche, siamo le prime nemiche di noi stesse. Il successo di una dovrebbe invece trainare il successo delle altre». Le prime mosse spettano a chi è in posizione privilegiata. «Nei board circolano quasi sempre i soliti nomi, così la stessa persona ha incarichi in più società. Sarebbe bello invece che le donne ai vertici facessero da talent scout, portando in alto altre donne e giovani» suggerisce Claudia Bugno.

Le donne devono osare

Gli uomini praticano da secoli una solidarietà strategica. «Le donne invece, per la loro capacità d’ascolto ed empatia, sono brave a creare gruppi di lavoro, ma meno valide a fare gruppo tra loro» notano Chiara Galgani e Valeria Santoro, autrici di Leadership femminile. Esiste davvero? «Devono avere coraggio: sono le più brillanti a scuola, poi si frenano quando arriva l’ora di mostrare il loro valore sul lavoro. Devono sognare e osare. Sulla stola di Chiara Ferragni a Sanremo c’era scritto “Pensati libera”. Perché per le ragazze non immaginarne una che reciti “Pensati amministratrice delegata”?

Che leader siamo?

DA PATRIZIA GRIECO, PRESIDENTE DI BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA, a Cristina Scocchia, amministratrice delegata di Illy Caffè. Da Silvia Candiani, country general manager di Microsoft Italia, a Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children Italia. Le protagoniste di Leadership Femminile. Esiste davvero? (in libreria dall’8 marzo per Franco Angeli) sono imprenditrici e manager che hanno rotto il soffitto di cristallo. Le due autrici, Chiara Galgani e Valeria Santoro, hanno chiesto loro di lasciare da parte i ruoli istituzionali per riavvolgere il nastro della memoria e raccontare l’infanzia, l’educazione ricevuta, i loro punti di forza e le fragilità, i pregiudizi che hanno incontrato e le scelte vincenti che hanno fatto. Vengono tracciati così percorsi molto diversi, che hanno due pregi: delineano non “la” ma “le” leadership al femminile. E consegnano un bagaglio ricco di mappe utili a ogni donna che, sul lavoro, voglia raggiungere il posto che le spetta.

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