Treni sicuri: giusto dedicare una carrozza alle donne?

Fa discutere la petizione online per avere carrozze per sole donne sulla linea ferroviaria Trenord, dopo le violenze sessuali dei giorni scorsi. In altri Paesi esistono già, segno che non è solo un problema nostro. È mondiale, e si affronta facendo prevenzione e applicando le leggi ma, nell'emergenza, anche con soluzioni così

Una petizione online su Change.org per chiedere a Ferrovie TreNord di dedicare una carrozza alle sole donne, per viaggiare sicure in questa tratta usata dai pendolari che vanno e vengono da e per Milano. La petizione è stata lanciata da Malnate, in provincia di Varese, dopo che qualche giorno fa sulla linea Milano – Varese una giovane donna è stata aggredita ed è riuscita a fuggire, un’altra è stata violentata, quasi nello stesso momento. Sul treno, rientrando dal lavoro. Le due vittime si sono poi ritrovate nello stesso ospedale alla stessa ora per denunciare il fatto.   

I treni deserti sono una terra di nessuno

Su questa linea viaggiano decine di migliaia di persone al giorno, e cinque anni fa Trenord ha iniziato a destinare alcune carrozze alle donne. Il problema è che alla sera la tratta Milano Varese è quasi deserta. O, meglio, disertata, e non solo dalle donne. Nel luglio 2021 l’amministratore delegato di Trenord, Marco Piuri, in un’intervista spiegava che violenza e vandalismi sui treni sono aumentati nel periodo del lockdown, con i vagoni meno affollati, tendenza che vale anche adesso, per paura del contagio. «I treni meno frequentati diventano terra di nessuno. C’è un incremento rilevantissimo di atti vandalici, un salto di qualità, con bande organizzate, non ragazzini annoiati. E le aggressioni, non aumentate nel numero, si sono aggravate».  

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La sicurezza riguarda tutti ma noi donne di più

La petizione nel frattempo ha macinato più di cinquemila firme, al momento in cui scriviamo, e non solo di donne, segno che il problema è trasversale. Ma se la questione sicurezza riguarda tutti, a noi donne riguarda ancora di più perché siamo esposte alla violenza sessuale. Un problema che ormai è endemico e strutturale in Italia come in tutto il mondo. Dobbiamo capirlo e accettarlo non per rassegnarci e pensare a palliativi (come potrebbe sembrare la carrozza dedicata) ma per combatterlo in modo complessivo, a tutti i livelli: politico, legislativo, educativo, negli uffici, nelle scuole, nelle famiglie. Quindi ben venga anche la soluzione del vagone safe, se può evitare qualche aggressione: esiste già in Germania, dove si è rivelata efficace, e in Giappone, per scoraggiare i “chikan”, i molestatori seriali, un problema gravissimo dovuto a una società profondamente maschilista. Poi è praticata anche a Dubai, ma forse lì per altri motivi.  

La carrozza rosa è un modo per non risolvere il problema?

L’idea certo infastidisce le donne: un’altra ghettizzazione, un adesivo con cui sentirsi parte di una specie protetta. Un altro segno, insomma, di una società che non ce la fa a prevenire e quindi deve ragionare per categorie. Non sarà giusto “chiudere” le donne nelle carrozze perché non si riesce a risolvere il problema sicurezza, certo, ma vale come per le quote rosa. Dobbiamo pensare che grazie alle quote rosa e a iniziative di legge – solo per citare l’esempio più macroscopico – le donne in Parlamento nel 2018 hanno raggiunto il 35 per cento, ben al di sopra della media europea. Cosa c’entra con le carrozze dedicate? C’entra perché alla base del mancato accesso delle donne alla politica, al lavoro, al risparmio, c’è la stessa cultura della violenza e della sopraffazione. Il problema della parità esiste in ogni Paese, tant’è che l’Agenda Onu 2030 lo mette al quinto posto degli obiettivi che ogni società deve raggiungere per garantire uno sviluppo sostenibile. Quello in cui donne e uomini viaggino insieme, come sui treni, ma alle stesse condizioni, di diritti come di sicurezza. Deve diventare possibile questo, ma finché non lo è, e le donne subiscono violenza, bisogna tutelarle nell’immediato affrontando l’emergenza.

Insieme alle carrozze bisogna lavorare sulla parità

È come quando una persona sta annegando: ti butti e cerchi di salvarla, non ragioni sugli argini che mancano o sono troppo scivolosi o sulle colpe di chi non li ha rinforzati. L’importante è che, dopo averla salvata, si lavori tutti insieme per rinforzare questi argini, che vuol dire aumentare le misure restrittive per gli uomini denunciati per violenza, educarli ad accettare un No e a non prendersi con la forza ciò che non gli appartiene, applicare bene le leggi sulla violenza contro le donne, fare formazione a tutti i livelli, dal poliziotto al medico di base. Le stesse cose che diciamo sempre e intanto, mentre discutiamo, circa 20 donne al giorno vengono violentate (dati Istat del 2016). Magari nelle carrozze rosa si può evitare, in quel momento.

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