plastica

Plastica, dove si nascondono i frammenti

La plastica si nasconde nei materiali più impensabili: creme, bagnoschiuma, tessuti, cibo. Ecco a cosa fare attenzione

Ha fatto il giro del mondo l’immagine della balena trovata morta nelle Filippine con 40 kg di plastica nello stomaco. Esattamente come è diventato virale l’appello lanciato dalla quindicenne attivista svedese Greta Thunberg, per sensibilizzare sulle tematiche del rispetto ambientale. Da mesi si parla del problema della plastica, ma sarebbe meglio dire delle plastiche, perché a preoccupare non sono solo le enormi quantità di bicchieri o posate usa-e-getta destinati a diventare rifiuti non riciclabili (e vietati in Europa dal 2021). A destare ancora più allarme sono le tracce di microplastiche che possono finire nella nostra alimentazione: si trovano in vestiti, cosmetici, pneumatici delle auto, ma finiscono anche nell’acqua che beviamo e nei cibi che portiamo in tavola.

Dove si trovano plastiche e microplastiche?

Uno studio del 2016, pubblicato su Environmental Science & Technology, ha stimato che ogni volta che si lavano abiti in tessuto sintetico si rilascia più di 1 grammo di microplastiche e il 40% di queste finisce in mari e fiumi perché, date le piccolissime dimensioni, riesce a superare i filtri degli impianti di trattamento delle acque reflue. “Basti pensare che nel mar Mediterraneo, il “nostro” mare, c’è una concentrazione record di microplastiche pari a 4 volte quella che si trova sotto l’isola di plastica nel sud dell’Oceano Pacifico. Perciò il Mediterraneo è stato ribattezzato ‘plastic soup’, la zuppa di plastica, a causa del fatto che si trova in un’area ad altissima densità abitativa e turistica, e il ricambio delle acque è lento” spiega Eva Alessi, responsabile del programma Consumo sostenibile del WWF Italia. Ecco dove si nascondono le plastiche e le microplastiche.

Microplastiche

Cosmetici: fanno parte di una delle due principali fonti di microplastica ‘tal quale’, cioè prodotta proprio allo scopo di avere piccolissime dimensioni. È il caso delle creme per lo scrub del corpo e del viso, che hanno un’azione esfoliante.

Dentifrici: l’esempio più tipico è quello dei prodotti con micro perle, che aiutano a rimuovere con più facilità la placca.

Saponi: in questo caso le microsfere esercitano un’azione abrasiva.

Abbigliamento: le microfibre sono rilasciate durante i lavaggi di capi sintetici, come pile, intimo femminile (in buona parte in lycra, perché permette elasticità e trasparenze), jeans slim fit (rispetto a quelli tradizionali in cotone contengono materiali come l’elastame per elasticizzarli) o capi tecnici per lo sport.

Asciugamani: da tempo sono diffusi asciugamani e accappatoi in microfibra, che hanno il vantaggio di occupare meno spazio o asciugare prima rispetto a quelli in spugna, ma rilasciano microplastiche ai lavaggi. “Attenzione, perché ogni volta che si fa un lavaggio di capi sintetici o misti si rilascia 1 milione di fibre di microplastiche e non c’è al momento tecnologia per possa impedirlo” spiega Alessi.

Pneumatici: a causa del’usura con l’asfalto le plastiche perdono microframmenti, che quando piove finiscono nei circuiti idrici.

“In Italia le microplastiche nella cosmesi saranno vietate dal 2020, mentre rimarranno per saponi e detersivi. Il problema è che finiscono nei lavandini e, essendo così piccole, non c’è alcun filtro che le fermi, quindi arrivano ai fiumi e ai mari” spiega Alessi. Qui entrano nella catena alimentare dei pesci e dunque possono finire sulle nostre tavole proprio attraverso i prodotti ittici. “Esiste anche un’altra forma di microplastiche, rappresentata dai nurdles, micropalline chiamate in italiano “le lacrime di sirena”, che a dispetto del nome non hanno nulla di romantico. Sono grandi come lenticchie, di tutti i colori, e si trovano tranquillamente sulle nostra spiagge, trasportate dal mare in ogni angolo del mondo” spiega l’esperta, che aggiunge: “Infine ci sono le microplastiche frutto della degradazione della plastica di dimensioni maggiori: siccome non scompare, si frammenta sotto l’azione di vento, sole e acqua”.

Plastiche

In questo caso l’uso della plastica è più evidente e immediato, anche se spesso non ci si rende conto delle conseguenze sull’ambiente. Se i sacchetti di plastica sono stati vietati per l’ortofrutta nei supermercati, rimangono però in circolazione per altri usi. Attenzione, poi, alle cialde del caffè: “Spesso sono rivestite di materiale in alluminio, che di per sé è altamente riciclabile e consente di conservare la fragranza del caffè. Ma all’interno hanno un dischetto di plastica. Se fossero separate, buttando l’alluminio a parte, la plastica nell’apposito sacco e il caffè nell’organico (che tra l’altro contribuisce a un compost di ottima qualità) si limiterebbe l’impronta ambientale che invece si ha se si gettano semplicemente nell’indifferenziato. Ma in quanti lo fanno? La moka, al contrario, è molto più sostenibile e anche il caffè nella busta in alluminio e plastica ha un imballaggio più ridotto” spiega Eva Alessi.

Le stoviglie monouso saranno vietate dal 2021 in Europa, ma questo risolverà il problema? “Il nodo non è la plastica in sé, perché ha permesso una vera rivoluzione. Basti pensare agli strumenti della neonatologia, dove tubicini minuscoli e flessibili consentono interventi delicatissimi. Il problema è il modo in cui l’abbiamo usata: ci ha “viziati’ perché è comoda e permette di risparmiare tempo. Bisognerebbe usarla in modo più consapevole e per qualcosa di duraturo: per gli infissi delle finestre, ad esempio, può andar bene per 30 anni. Ma per un caffè che si consuma in pochi minuti si lascia invece un’impronta importante” dice Alessi, del WWF Italia.  

Come risparmimare plastica tutti i giorni

In vista delle nuove norme sulle stoviglie usa-e-getta in plastica, molte aziende si stanno attrezzando, ad esempio producendone in materiali biodegradabili. Molte mense usano piatti e bicchieri compostabili. “Eppure anche quelli sono materiali che vanno prodotti tramite coltivazioni, e poi smaltiti. Occorrerebbe puntare, invece, sul riuso degli oggetti, anche nella quotidianità” consiglia l’esperta. Ecco qualche accorgimento.

Acqua dal rubinetto o in bottiglia? Meglio l’acqua del rubinetto “che in molte città è di ottima qualità. Invece in Italia siamo tra i maggiori consumatori di acqua in bottiglia (circa 180 litri a testa all’anno)” spiega l’esperta. Quando si è fuori sarebbero preferibili le borracce in alluminio. Se si comprano bottigliette, è bene cercare di riutilizzarle, ma entro un certo limite, controllando le indicazioni riportate sulle bottiglie.

Abbigliamento: se possibile, è bene ridurre capi in tessuti sintetici, come la biancheria da bagno in microfibra. È vero che occupa un po’ meno spazio, ma contribuisce in modo consistente al rilascio di microplastiche.

Intimo femminile: meglio gli slip in microfibra o le mutande in cotone? Certo, le secondo sono meno sexy, ma magari si può pensare di ridurne il numero rispetto a quelle in cotone, che peraltro sono consigliate dai medici per evitare irritazioni.

Cibi sfusi: sono sempre di più i supermercati che ritirano le vaschette dell’ortofrutta usate e altri stanno incentivando la vendita di prodotti sfusi, soprattutto detersivi, ma non solo (anche uova, pasta e altri cereali). “La spesa al mercato invece che negli iper sarebbe preferibile, ma anche nelle grandi catene si può acquistare carne o pesce al banco macelleria o nella pescheria invece che in vaschetta, così come per prosciutti e formaggi. Anche i detersivi e saponi sono sempre più spesso ‘alla spina’ e di eccellente qualità, magari biologici” consiglia Alessi. Solo in Italia il 40% dei 7 milioni di tonnellate di plastica utilizzata ogni anno in Italia non viene riutilizzata. Si tratta soprattutto di imballaggi (2,2 tonnellate).

Assorbenti: al posto di quelli tradizionali con materiali plastici, sono sempre più diffusi gli assorbenti in cotone, che sono anche più indicati per prevenire irritazioni intime. “Cominciano a esserci anche soluzioni per i pannolini dei bambini, che permettono un maggior riciclo dei materiali” dice Alessi, che aggiunge: “Senza voler demonizzare la plastica, il consiglio è di usare il buon senso. Se ci serve materiale tecnico per passeggiate in montagna o corse in città, allora magari si può cercare di limitare il consumo di plastica per altri usi. Ognuno dovrebbe un po’ fare i conti con se stesso e le proprie abitudini, cercando un compromesso” conclude l’esperta del WWF.

I lavaggi: una soluzione concreta e diffusa ancora non c’è, ma in Germania e negli Stati Uniti intanto sono stati messi a punto speciali “sacchetti” da bucato, nei quali inserire gli abiti, in grado di ridurre di circa 1/4 le microfibre, trattenendole in modo da smaltirle poi attraverso la raccolta differenziata. Al momento la commercializzazione non è ancora su larga scala, ma questa e altre soluzioni potrebbero permettere di contenere il problema, esattamente come la messa a punto di lavatrici con appositi filtri già inclusi.

Il risvolto della riduzione della plastica

È pensabile ridurre il consumo generale di plastica? Le stoviglie usa-e-getta in plastica si stima contribuiscano per il 70% alla produzione di rifiuti marini. Il loro divieto dal prossimo anno in Europa potrebbe invertire una pericolosa tendenza: secondo il WWF dal 1950 ad oggi la produzione di plastica è aumentata del 200%, arrivando a poco meno di 400 tonnellate nel 2016. Con la messa al bando di oggetti monouso in plastica si potrebbe avere un calo della domanda stessa di plastica del 40% entro il 2030. D’altra parte eliminare la plastica o ridurne l’uso comporta convertire un intero settore industriale come quello specializzato nella produzione proprio della plastica. In Italia si tratta di 5mila aziende per 120 mila addetti.

Riproduzione riservata