Preti donne: chi sono le pastore protestanti in Italia

  • 19 05 2017

Predicano dal pulpito e celebrano l’eucaristia. Sono mogli e madri. E rappresentano un volto femminile del cristianesimo assente nella Chiesa cattolica. Dove, nonostante le aperture di Papa Francesco, le donne sono ancora escluse dal sacerdozio

La prima in Italia, nel 1967, fu la siciliana Gianna Sciclone. Oggi se ne contano una cinquantina, tra valdesi, metodiste, luterane, battiste e anglicane. Sono le “donne pastore” che appartengono alle Chiese protestanti eredi del monaco agostiniano tedesco Martin Lutero. Vestite in toga nera e sparato bianco, come l’abito da magister theologiae che indossava il padre della Riforma, predicano dal pulpito, celebrano la Santa cena (l’equivalente della Messa) e guidano chiese con pari diritti e uguali opportunità rispetto ai colleghi maschi. Rappresentano, dunque, un cristianesimo 2.0 contro un Medioevo cattolico che esclude le donne dal sacerdozio? Non è così semplice.

Sono le “eredi” degli anni ’60

Il pensiero femminista e la rivendicazione di spazi ecclesiali per le donne hanno iniziato a fare breccia nelle comunità cristiane, cattoliche e prozione di spazi ecclesiali per le donne testanti, nei medesimi “formidabili” anni ’60. E il mix di minigonna e teologia è stato dirompente tanto nelle basiliche romane quanto nei templi protestanti. Se oggi è normale che una pastora allatti i propri figli mentre guida una riunione del consiglio di chiesa o mentre insegna teologia in un’aula universitaria, le resistenze di una mentalità patriarcale non sono mancate. Ma mentre nella gerarchica Chiesa di Roma il processo è stato bloccato dall’alto, nelle Chiese della Riforma, che hanno un governo più democratico, dopo lunghe discussioni è passata l’idea che si possa servire Dio e la comunità anche se non si appartiene allo stesso sesso dei primi 12 apostoli. Si è trattato, come dice la teologa battista Elizabeth Green, di «liberare il divino dalle gabbie sacrali di una storia declinata quasi esclusivamente al maschile». 

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 Sessantunenne originaria dell’Iowa, negli Usa, sposata con un pubblicitario americano convertito

Sessantunenne originaria dell’Iowa, negli Usa, sposata con un pubblicitario americano convertito al cattolicesimo, è stata ordinata pastora anglicana nel 2003. Dal 1980 vive a Milano ma, dall’inizio del 2016, quando è stata nominata vicario generale della Chiesa anglicana in Italia, viaggia per tutto il Paese: «Il compito più importante di un pastore è aiutare i fedeli a tenere viva la visione di Dio» dice. «Tante volte ci si preoccupa dei dettagli e si perde di vista l’obiettivo. Perché andiamo in chiesa? Per pregare, ringraziare Dio per tutto ciò che ci dà e per aiutare la trasformazione del mondo verso un futuro di maggiore giustizia e pace. Le Chiese si sono perse nelle divisioni, nei dibattiti teologici: un lusso che non possiamo più permetterci. Stiamo lì a parlare di temi che hanno a che fare con la storia, la cultura, le tradizioni. Invece è importante distinguere ciò che è fondamentale da quelli che sono solo dettagli».

Hanno un modo diverso di vivere la fede

Avere un clero unisex comporta un radicale cambiamento nel pensiero delle cose ecclesiastiche: se in passato anche nella tradizione protestante il pastore era una figura avvolta da un alone quasi mitico e piena di certezze indiscutibili che imponeva ai propri fedeli, l’avvento delle donne ha contribuito ad addolcire lo stile, puntando meno sull’autorità e più sull’autorevolezza ed eliminando l’idea che fare il pastore significhi esercitare un potere. «Il fatto che la donna sia entrata a far parte del ministero pastorale ha contribuito a smitizzare il ruolo del pastore e a declericalizzare la Chiesa riformata», ha spiegato lapioniera italiana Gianna Sciclone. «È stata questa la vera rivoluzione».

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 Pastora luterana originaria di Magdeburgo, nella ex Germania dell’Est, 42 anni, è sposata con il

Pastora luterana originaria di Magdeburgo, nella ex Germania dell’Est, 42 anni, è sposata con il pastore Uwe Habenicht e insieme, dal 2009, guidano la comunità evangelica di Varese-Ispra. «Avendo 3 figli, Erdmann, Frithjof e Rasmus, posso capire meglio i problemi delle giovani generazioni» racconta. «Mio marito e io facciamo le stesse esperienze di tanti altri genitori. Le domande dei fedeli sono le mie domande. I giovani oggi sono più distanti dalle Chiese anche perché il linguaggio teologico è molto astratto. Per esempio, la “giustificazione per mezzo della fede” – il chiedersi cioè “Come posso essere giusto davanti a Dio?” – è una questione impossibile da comprendere per loro. Se gli si domanda invece cosa significa essere accettati dagli amici, dai compagni di classe, allora capiscono benissimo. Eppure l’interrogativo è la stesso, anche se espresso con parole diverse. Qui sta il messaggio centrale della Riforma protestante: l’uomo è molto più del suo rendimento. Non conta ciò che produciamo, il risultato che raggiungiamo, ma quello che siamo come persone e come cristiani».

La Riforma compie 500 anni

La data di nascita della Riforma protestante si fa risalire al 31 ottobre 1517, quando il monaco Martin Lutero affisse sul portone della chiesa del castello di Wittenberg, in Germania, le 95 Tesi sulle indulgenze. Lutero si scagliava contro questa pratica introdotta da Papa Leone X: lo “sconto” delle pene da espiare Purgatorio in cambio di denaro. Il dissenso con il Papa giunse fino alle reciproche scomuniche e alla divisione tra la Chiesa di Roma e i seguaci di Lutero. Altri riformatori si unirono al monaco tedesco, dando vita a un mosaico di comunità differenti, che però si riconoscono parte della famiglia protestante: luterani, calvinisti, anglicani, battisti… In Italia, la Chiesa protestante più antica è quella valdese, nata agli inizi del 1200 come movimento pauperista ad opera di un mercante di Lione, Pietro Valdo. Dichiarata eretica e perseguitata dai Papi medievali, la comunità valdese si trincerò nelle valli piemontesi e nel 1532 aderì alla Riforma.

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 Originaria di Roma, 56 anni, divorziata e con una figlia, dal 2015 è pastora della Chiesa valdese

Originaria di Roma, 56 anni, divorziata e con una figlia, dal 2015 è pastora della Chiesa valdese di Milano. «Ho scoperto la mia vocazione in una circostanza particolare» ricorda. «Nel 1980, mentre frequantavo la facoltà di Architettura all’università, ci fu il sisma dell’Irpinia. Partii per dare una mano e, visti i miei studi, mi fu affidato il compito di effettuare i rilievi dei terreni dove costruire i prefabbricati per ospitare i terremotati. L’incontro con le persone fu un’esperienza che mi cambiò profondamente. Mi resi conto che forse ero più adatta alle relazioni umane che alla costruzione di edifici. Così ribaltai la mia vita. Ho iniziato a fare la pastora nel 1987 e in tutti questi anni in giro per l’Italia ho sempre cercato di mettere al centro l’ascolto delle persone la cura degli altri. Qui a Milano, in particolare, accogliamo tantissimi uomini e donne che si sentono esclusi da altre Chiese cristiane, specialmente dalla cattolica, perché magari sono divorziati oppure omosessuali, o perché non si sentono in sintonia con la predicazione ufficiale. Non immaginavo ci fosse così tanta gente in ricerca di una casa spirituale in cui sentirsi figli veramente amati da Dio».

Donne prete: sì o no?

Le Chiese della Riforma non condividono la concezione del sacerdote come mediatore tra Dio e gli uomini: il pastore è un ministro del culto, chiamato a predicare il Vangelo. Per cui, superate resistenze più storico-culturali che dogmatiche, nel 1900 il mondo protestante ha aperto le porte al pastorato femminile. La Chiesa cattolica ritiene che, visto che Gesù scelse come successori 12 apostoli di sesso maschile, anche i successori degli apostoli (preti e vescovi) debbano essere solo uomini. Nel 1994 Giovanni Paolo II ha dichiarato questa dottrina “definitiva” e dunque non più modificabile. Papa Francesco, pur rispettando la decisione, non condivide la discriminazione nei confronti delle donne. Perciò ha nominato varie religiose o laiche in posti chiave del Vaticano. E ha creato una commissione per valutare la possibilità di ordinare le donne, se non preti, diaconesse: un ruolo esistente nella Chiesa dei primi secoli poi sparito.

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