Le calciatrici dell'Italia dopo la vittoria contro la Cina al Mondiale di Francia, Montpellier, 25 g

Le calciatrici dell'Italia dopo la vittoria contro la Cina al Mondiale di Francia, Montpellier, 25 giugno 2019. Foto Laurence Griffiths/Getty Images

Finalmente le atlete italiane saranno professioniste

La Commissione Bilancio al Senato ha approvato un emendamento che agevola società e federazioni al passaggio al professionismo delle loro atlete. Per la prima volta, saranno equiparate ai colleghi maschi

Le atlete italiane saranno finalmente professioniste. Lo stabilisce la Commissione Bilancio al Senato, che lo scorso mercoledì 11 dicembre ha approvato un emendamento alla manovra che agevola società e federazioni al passaggio al professionismo delle donne sportive, equiparandole ai colleghi maschi. È una notizia importante, che segna la fine di un’assurda distizione di genere che non aveva nessun motivo di sussistere.

Finalmente per le nostre atlete lo sport che praticano, e in cui ottengono successi che portano lustro al nostro Paese, sarà un lavoro vero e proprio. Nello specifico, le società e le federazioni potranno usufruire di un incentivo, da gennaio 2020 e fino al 2022, per stipulare con le atlete contratti di lavoro sportivo, vale a dire l’esonero del versamento del 100 per cento dei contributi previdenziali e assistenziali entro il limite massimo di 8mila euro di su base annua. Società e federazioni non potranno quindi più addurre la scusa della mancanza di fondi visto che, come spiega Il Sole 24 Ore, «i contributi saranno al 100% a carico dello Stato, cosa che paradossalmente potrebbe facilitare il passaggio a professioniste ad atlete di federazioni che ad oggi non riconoscono il professionismo neanche per gli uomini. In Italia, infatti, sono solo quattro le Federazioni Sportive Nazionali – e più precisamente Calcio, Basket, Golf, Ciclismo – hanno riconosciuto al proprio interno il professionismo, per altro solo per certi livelli (ad esempio nella FIGC solo chi è tesserato per le Leghe di Serie A, B e Pro)».

Quando abbiamo iniziato la nostra serie Atlete – che nel tempo è diventata anche un podcast – volevamo mettere in evidenza la condizione di disparità in cui vivevano le sportive italiane, che a causa di una vecchia norma, la 91 del 1981, non potevano accedere al professionismo. Non è un Paese per sportive, aveva scritto il nostro Gianlunca Ferraris: atlete che avevano collezionato campionati, medaglie olimpiche, primati e successi internazionali ma che, di fronte alla legge italiana, rimanevano dilettanti. Incredibile a pensarsi. Solo per fare qualche esempio: le azzurre della pallavolo, del nuoto, dell’atletica leggera, del basket, della ginnastica artistica, della scherma, del ciclismo, per le quali abbiamo tifato e che ci hanno regalato moltissime vittorie e soddisfazioni, tutte dilettanti. La norma era pensata infatti per regolare i rapporti di lavoro in ambito sportivo, ma lasciava alle federazioni la possibilità di scegliere se aprire le porte al professionismo in base alle direttive del Coni, il Comitato olimpico: direttive che si sono concretizzate solo ieri. Meglio tardi che mai.

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