Ci vorrebbe lo psicologo di base

La pandemia ha portato allo scoperto stress, ansia e nevrosi, sempre più diffusi tra gli italiani. Così ora in Parlamento e in alcune Regioni c’è chi chiede uno psicologo che affianchi il medico di famiglia 

Anziani soli, tanti. Ma anche studenti, malati cronici, genitori e figli costretti alla convivenza 24 ore su 24. Durante le settimane della pandemia hanno alzato il telefono in migliaia per placare un dolore tutto interiore e chiedere aiuto agli sportelli di supporto psicologico messi in piedi da Asl, enti e associazioni. Tra il 27 aprile e l’11 giugno solo al numero verde del ministero della Salute sono arrivate 50.000 chiamate, a un ritmo di circa 1.100 al giorno. «È come se la pandemia avesse scoperchiato un vaso di Pandora da cui sono emerse inquietudini, insicurezze e nevrosi» racconta la coordinatrice del progetto Maria Assunta Giannini, psicoterapeuta-psicoanalista e dirigente del ministero. E se a spingere molti erano solo lo sconforto del momento e lo stress dettato da una situazione eccezionale, una persona su 2 ha avuto bisogno di veri e propri colloqui approfonditi. 

Cosa sono le Life skills, le competenze per affrontare la vita

«La salute della psiche è diventata un problema sociale» esordisce David Lazzari, presidente dell’Ordine nazionale degli psicologi. «Le persone hanno bisogno di quelle che noi specialisti chiamiamo “life skills”, competenze per vivere bene. Cento anni fa non serviva lo psicologo, perché la nostra esistenza era semplice. Oggi abbiamo perso la capacità di sentirci in sintonia con il mondo: questa incapacità si manifesta con ansia, stress, senso di inadeguatezza, disturbi del comportamento e insonnia. Non ancora patologie mentali, ma forme di disagio, che il Covid ha reso ancora più evidenti». Eppure, mentre per chi ha un problema psichiatrico il Servizio sanitario nazionale mette a disposizione percorsi e strutture dedicate, la cura psicologica resta un lusso per pochi. 

Nel 2017 questo tipo di terapia è stato incluso nei nuovi Lea, i Livelli essenziali di assistenza. Significa che lo Stato, almeno sulla carta, ha riconosciuto la necessità di affrontare il malessere prima che diventi malattia psichica. «In teoria oggi ci si può rivolgere alla propria Asl e chiedere il consulto di un professionista senza il filtro di una prescrizione del proprio medico curante e al costo di un ticket. Ma i dati ci dicono che nella pratica solo una persona su 4 riceve nel pubblico prestazioni di questo tipo. Del restante 75%, circa il 40% entra in uno studio privato, gli altri si rassegnano» denuncia Lazzari. E viste le difficoltà economiche che si preparano per il Paese del post-pandemia, la percentuale di chi rinuncia è destinata ad aumentare. A maggio l’Ordine degli psicologi ha chiesto al governo di introdurre un bonus per le cure: a chi aveva accusato maggiormente i colpi dell’epidemia si sarebbe finanziato un ciclo di terapia. «Avevamo anche individuato delle categorie con diritto di priorità, a partire dai parenti delle vittime, ma la nostra proposta non è stata neanche presa in considerazione» conclude il dottor Lazzari. 

Il boom degli ansiolitici

Eppure il malessere psicologico allo Stato e ai cittadini costa, e parecchio. Da tempo in vetta alla classifica dei medicinali più venduti di fascia C (quelli comperati con ricetta) ci sono loro, gli ansiolitici, che da soli coprono circa il 18% della spesa privata totale e per i quali si spendono centinaia di milioni di euro ogni anno. Mentre gli psicologi pubblici sono sempre meno. Secondo l’Ordine professionale, quelli in forza al Servizio sanitario nazionale sono appena 6.000, assunti per lo più negli anni ’80, contro un fabbisogno che ne richiederebbe uno ogni 5 medici di base, dunque più di 10.000. «Mettiamoci poi che una Regione su 3 non ha un coordinamento psicologico, e le poche figure disponibili non sono distribuite tra i servizi. Così in Umbria su 12 consultori uno solo ha lo psicologo, e in molte Asl italiane trovarne uno è un miraggio. Mesi fa mi ha chiamato la mamma di un bimbo di 4 anni che soffriva di attacchi di panico: era disperata perché non sapeva dove andare» aggiunge Lazzari. 

Perché anche i giovani hanno bisogno di sostegno psicologico 

A metà luglio in Parlamento è arrivata la prima proposta di legge per istituire lo psicologo delle cure primarie. La Puglia sta facendo da apripista con una legge regionale che istituisce questa figura in via sperimentale fino a fine 2021. Si parte dal dato secondo cui il 35% di chi entra nell’ambulatorio del medico di famiglia è mosso da un disagio psicologico. «Ma le risorse a disposizione, circa 700.000 euro, basteranno per appena 9 psicologi in altrettante Asl» dice Vincenzo Gesualdo, presidente dell’Ordine regionale degli psicologi. «L’idea è quella di avere una figura che potrà essere attivata già dal medico di base e la rete è tutta da organizzare. In Puglia a oggi abbiamo solo un servizio di assistenza psicologica a Molfetta, in provincia di Bari». La coperta insomma è sempre più corta. Anche il servizio del ministero della Salute, che si è retto sul lavoro gratuito di 2.500 professionisti, ha chiuso a fine emergenza. Eppure il sostegno psicologico sembra un tema di fondamentale importanza anche per le nuove generazioni, basti pensare che il 9,8% di chi ha contattato il numero verde del ministero è uno studente. Allo sportello di ascolto dell’Università degli studi di Bologna, nato in convenzione con la Asl e primo del genere in Italia, le richieste sono quasi raddoppiate in un anno, arrivando al migliaio. «A muovere questi ragazzi non sono i problemi legati all’andamento accademico» racconta Fiorella Giusberti, che coordina il servizio. «C’è qualcosa di più profondo che li spinge a chiedere aiuto. Patiscono la loro eccessiva libertà, il fatto di avere genitori a loro volta alle prese con crisi e problemi esistenziali. Stanno male, e per uscirne avrebbero bisogno di una rete di riferimento. Che non si trova quasi mai». 

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