Le sculacciate educative non esistono

L’Italia è uno dei pochissimi paesi europei a non aver ancora adottato una legge contro le punizioni fisiche in famiglia. Il pedagogista Daniele Novara spiega che non esistono le “sane sculacciate” e che le punizioni corporali non servono mai 

“Sgombriamo subito il campo dagli equivoci: le sculacciate non servono a nulla. Se poi sono sistematiche e continuative sono anche illegali, nonostante l’Italia sia uno dei pochissimi paesi europei a non aver ancora adottato una legge contro le punizioni fisiche in famiglia”. A dirlo a Donna Moderna a Daniele Novara, guru della pedagogia e autore di numerosi libri sul tema dell’educazione e del rapporto genitori-figli. Prima il caso di Napoli, dove un bambino di 7 anni era morto dopo essere stato picchiato dal patrigno. Ora quello di Genzano (vicino a Roma), con una bimba di 22 mesi in condizioni gravissime per le percosse del compagno della madre perché “piangeva troppo”. Casi che hanno scosso le coscienze di tutti. Ma al di là della cronaca, resta l’interrogativo sul ricorso alle “mani” a scopi educativi in famiglia. “In questi casi mi sento di dire che si è trattato del gesto di persone disturbate e mi chiedo dove fossero i servizi sociali. Ma resta il problema di fondo: i genitori oggi sono troppo fragili, sono più infantili dei figli e non sanno assumersi la responsabilità del proprio ruolo, fissando regole chiare e facendole rispettare, senza alcun tipo di ricorso a punizioni che non servono o a sculacciate, tantomeno a sberle” dice Novara.

Genitori di ieri e genitori di oggi

“Una volta c’era il padre-padrone: incuteva paura con il solo sguardo, ma poteva anche usare le maniere forti, prendere la cinghia per picchiare, sostenuto anche dalla madre – spiega Novara – Poi, negli anni ’70 sono arrivati i genitori emotivi: più morbidi e flessibili, hanno rinunciato alla propria autorità, ma anche al proprio ruolo, per creare spazi di condivisione con i figli. Sono diventati loro amici, compagni di giochi. Ma queste figure non corrispondono alle esigenze dei bambini”.

“Oggi, purtroppo, siamo davanti a ‘genitori urlanti’: pretendono di negoziare anche con i bambini di 3 anni, che invece non sono in grado di seguire un discorso più lungo di poche parole. Di fronte alla mancanza di ‘condivisione’, quindi, urlano per attirare l’attenzione dei figli. Ma questo, così come le botte, è un segnale di debolezza emotiva: sono genitori che non riescono ad assolvere al proprio ruolo” spiega. “Ciò di cui avremmo bisogno, invece, è di genitori educativi: rigorosi, ma non violenti. Adulti che sanno organizzarsi e organizzare un sistema di regole di vita quotidiana, che riguardino i pasti, il sonno o l’uso degli smartphone, in accordo con il partner. Trovare una coppia che condivida a segua le stesse scelte educative, invece, è diventato una rarità. La conseguenza è che perdono le staffe e per disperazione alzano la voce o mettono le mani addosso ai figli”.

No alle punizioni. Ma allora come farsi rispettare?

La Francia lo scorso autunno ha approvato una legge sulla “punizione corporale” che vieta sculacciate, sberle e schiaffi ai bambini. Stabilisce che l’autorità parentale sia esercitata “senza violenza” di nessun tipo, compresa la quella “fisica, verbale o psicologica”. L’Italia, invece, non ha ancora una norma in materia: “Siamo tra i più retrogadi: persino paesi come la Grecia e la Romania hanno leggi contro le punizioni fisiche, che sono inaccettabili. Eppure i genitori non riescono comunque a farsi rispettare” dice il pedagogista.

Negli incontri che organizzo di frequente, da anni, con i genitori e nei miei libri spiego che, quando non si viene ascoltati occorre adottare il semaforo rosso, ad esempio con il ‘silenzio attivo’: è una tecnica comunicativa efficace, consiste nel non rispondere né parlare con i figli che disobbediscono. Bastano 5 minuti con i più piccoli, qualcosa in più per i più grandi. Funziona e bene fino ai 17 anni. Poi occorre adottare altri sistemi, come ad esempio le ristrettezze economiche, che non sono punizioni” dice Novara.

Per non cadere nella trappola emotiva che porta al ricorso alle mani occorre “essere rigorosi, ma positivi. Mettere le mani addosso, insultare, urlare non serve se non a mortificare i figli e a minarne l’autostima, mentre loro hanno bisogno di sapere che i genitori hanno fiducia in loro. Ovviamente la prima regola per far questo è dare delle regole, mentre sempre più spesso i genitori si comportano in modo più infantile dei figli” spiega il pedagogista, autore tra gli altri di Punire non serve a nulla (Bur-Rizzoli).  

Saper essere genitori

“Padri e madri di oggi sono i figli degli anni ’80, cresciuti con la tv commerciale tra narcisismo e individualismo, troppo centrati su se stessi e sottratti alle responsabilità. Ma essere genitori significa prima di tutto assumersi quelle responsabilità: non bisogna solo divertirsi insieme ai figli, ma farli crescere. Si sa che i bambini, specie se piccoli, fanno tribulare, ma anche da adolescenti vanno saputi gestire. Occorre recuperare il proprio ruolo: non ci si deve comportare né da figli, fratelli o compagni di gioco, né anticipare quello di nonni, concedendo tutto. Servono le idee chiare, non il ricorso alle mani quando la situazione sfugge dal controllo” conclude Novara.

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