Perché i ragazzi smettono di fare sport

Una ragazza su due durante l’adolescenza abbandona l’attività fisica. È il fenomeno del “drop-out”, una tendenza in crescita tra i giovani che in campo non si divertono più o sentono il peso dell’agonismo esasperato. Ma noi genitori possiamo aiutarli

«Finché ero alle medie, andare due volte a settimana ad allenarmi in palestra era bello. Mi faceva stare bene. Ma soprattutto mi divertivo» dice Angelica, 15 anni, di Firenze, con gli occhi che le brillano e le mani che mimano il gesto di lanciare il nastro, uno degli attrezzi della ginnastica ritmica. «L’anno scorso, però, dopo alcuni mesi di liceo scientifico non ce l’ho più fatta. Era diventato troppo pesante. E ho smesso» continua a raccontarci, con un filo di voce, quasi si vergognasse, e senza più quel luccichio negli occhi.

Un ragazzo su due a 13 anni non fa sport

Angelica, però, non è l’unica ad aver abbandonato lo sport. E i dati lo confermano. Nonostante secondo l’Istat i ragazzini italiani non siano poi così pigri (il 70% si dedica a qualche disciplina) quando crescono, mollano: quasi il 40% degli adolescenti del nostro Paese, nella fascia di età 13-14 anni, non pratica alcuna attività sportiva.

Come si spiega questa disaffezione?

Quali sono le cause che spingono i nostri ragazzi al “drop-out”, l’ abbandono dello sport? «I motivi sono molti e spesso intrecciati tra loro. Alcuni sono dovuti agli allenamenti troppo “scientifici” caratterizzati da eccessivo tecnicismo, ripetitività e noia» spiega Roberta Lecchi, psicologa, vice presidente del Centro studi e formazione in Psicologia dello sport (www. centrostudipsicologiadellosport.it) e docente al Master MAPS in Psicologia dello sport. Altri invece sono mentali. E lo sa bene la stessa Roberta che, oltre a essere una psicologa, si definisce un’ ex-sportiva mediocre e da ragazza è stata un’appassionata di nuoto e pallacanestro. «Anche io ho smesso. Troppe bacchettate con il bastone in piscina. Troppi atteggiamenti punitivi. Troppa attenzione al risultato. E poca all’aspetto ludico» racconta.

L’agonismo esasperato ha la sua parte

Parole, le sue, che fanno risuonare subito qualcosa di forte in Angelica. «Anche a me è mancato quello: quando sono passata all’agonistica, l’unica cosa che importava era guardare il tabellone, controllare il punteggio. Nessuno mi chiedeva se mi divertivo. Se ero felice » spiega. L’agonismo esasperato e centrato sul concetto di vittoria è difficile da gestire per gli adolescenti. «Questa propensione alla performance piuttosto che alla competenza, all’impegno, al raffronto con i propri miglioramenti personali, disincentiva i ragazzi dal mettersi in gioco. Molti mi dicono: “Basta, mollo, non mi sento all’altezza”» dice la psicologa. L’ideale sarebbe una cultura sportiva basata sulla competenza, far capire ai ragazzi che per diventare bravo in uno sport è necessario investire su di sé piuttosto che sprecare risorse nel raffronto continuo e ossessivo con l’avversario. «Perché se non si vive l’attività fisica come una soddisfazione personale, come qualcosa che ci piace, che ci fa stare bene, basta perdere una partita o rendersi conto che gli altri sono più performanti per sentire la voglia di abbandonare» dice Lecchi. «Lo sport è fatto da tre elementi, tutti e tre importanti: movimento, agonismo e gioco. Se ne manca uno, non è più sport, è un qualcosa che non sta in piedi, che non ha senso, che non può durare: come un tavolo senza una gamba». E l’effetto di questa mancanza si percepisce nelle parole di Angelica: «In quegli allenamenti per me non c’era più gusto, rimaneva solo la fatica fisica e la noia di ripetere gesti ormai privi di senso». Parole forti che però vanno dritte al punto: lo sport è come il sale, quando perde il gusto, il sapore, non è buono più a nulla.

Sport e bei voti per i prof non sono compatibili

A questi motivi ovviamente si aggiunge l’annoso conflitto scuola-sport chenel nostro Paese ancora oggi fatica a estinguersi. «Nell’immaginario comune lo studio e l’attività fisica non possono coesistere. Per molti insegnanti è impossibile che un ragazzo prenda un bel voto se si allena» aggiunge la psicologa. Ben diversa per esempio la mentalità anglosassone: negli Stati Uniti i risultati sportivi consentono addirittura agli studenti di assicurarsi la frequenza delle università più prestigiose.

Tra le ragazze è vera emergenza

I dati dell’ abbandono sportivo sono allarmanti quando parliamo di ragazzi, ma se si tratta di ragazze sono un vero disastro: la percentuale di dropout infatti sale dal 40% fino al 57%. I motivi? «In primis l’esplosione del corpo che diventa adulto molto in fretta senza portarsi dietro la maturazione psichica. La testa, insomma, è ancora quella di una bambina mentre il fisico quello di una donna» spiega Roberta Lecchi. A cambiare sono le proporzioni, il peso, gli ormoni, le forme. E le adolescenti si trovano a dover ricominciare da capo a familiarizzare con un corpo che non riconoscono, che troppo spesso non piace ma che soprattutto non risponde più come prima. E il corpo è il mezzo con cui facciamo sport. «Mettermi il body della squadra nell’ultimo anno era diventato un peso: non mi piacevo affatto, troppo seno, troppi fianchi. Non vedevo l’ora che l’allenamento finisse per tornare negli spogliatoi e infilarmi la tuta, il mio scudo, la mia protezione» racconta Angelica. Una protezione dal suo stesso sguardo che, come spesso succede negli adolescenti, è uno sguardo troppo severo, ma anche da quelli delle sue compagne. «Perché nello sport c’è un confronto di performance ma anche un confronto fisico, del corpo. Proprio quello che mette in crisi le ragazzine» spiega la psicologa.

Cosa possiamo fare noi genitori

C’è però una buona notizia. Noi genitori, noi mamme, possiamo aiutare i nostri figli a non “droppare”. Come? Per prima cosa, inserendo l’attitudine al movimento nella nostra routine. «Non pensate a ore e ore di allenamenti: bastano piccoli esempi, una camminata veloce due volte a settimana, un giro in bici nel weekend, una lezione di yoga online» suggerisce l’esperta. Poi, dobbiamo imparare ad ascoltarli: senza criticare, senza giudicare e, soprattutto, senza minimizzare. «Sì, perché di solito, magari dopo una sconfitta, un allenamento andato male o l’ennesimo broncio, ci viene normale dire: “Cosa vuoi che sia!”. Ma così togliamo importanza a quello che i nostri figli stanno facendo o provando in quel momento. Invece, dobbiamo cercare di farci raccontare cosa sentono, cos’è e com’è quell’ansia che provano, come mai non vogliono più andare agli allenamenti. Insomma, dobbiamo decifrare le loro emozioni, dicendo che anche noi a volte le proviamo magari dopo una riunione di lavoro andata storta o prima di un incontro importante» consiglia l’esperta.

E se, nonostante questo, dall’altra parte resta un muro del tipo: «Mamma, voglio smettere di fare ginnastica », abbiamo ancora qualche carta da giocarci. «Proviamo a fare leva sulle motivazioni primarie che hanno portato nostro figlio a scegliere il suo sport. Insomma, torniamo alle origini, chiedendogli che cosa lo appassionava, che cosa lo divertiva e spiegandogli che non è detto che si debba rimanere legati alla prima scelta per tutta la vita». Poi proviamo a dargli un tempo, per non farlo mollare così di botto. «Possiamo dirgli per esempio: “Diamoci 5-6 lezioni e vediamo come va”. E nel frattempo aiutiamolo a scrivere un diario post-allenamento in cui annotare se si è impegnato, che cosa gli è piaciuto, se si è divertito, che cosa invece non gli è andato a genio». E se proprio è deciso a smettere? «Accettiamo la sua scelta, senza giudicarlo. E magari dopo 6 mesi torniamo alla carica. Invitandolo a uscire a correre con noi o ad andare a fare una partita con un suo amico» conclude la psicologa. Così magari lo sport tornerà ad avere un sapore. Quel sapore unico che anche Angelica spera di ritrovare. «L’anno prossimo vorrei iscrivermi a pallavolo».

Il nostro aiuto in pillole

Per ridurre il rischio dell’abbandono sportivo dei nostri figli, ci sono piccoli ma importanti comportamenti che possiamo mettere in atto. Eccone alcuni

→ Facciamo sì che i ragazzi vivano l’attività fisica come un divertimento, ancora prima che un impegno. In questo senso possiamo fare molto noi genitori, ma anche allenatori ed educatori

→ Permettiamo ai ragazzi di scegliere lo sport che preferiscono, senza proiettare su di loro le nostre aspettative

→ Aiutiamoli a organizzare al meglio i tempi, in modo da riuscire a conciliare studio, amicizie e sport

→ Diamo il giusto peso allo sport, incoraggiando i ragazzi e non consideriamolo meno importante della scuola.

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