Mina Welby, Filomena Gallo, Segretario nazionale dell'associazione Luca Coscioni, Marco Cappato durante la manifestazione "Liberi fino alla fine" a favore dell'eutanasia, Roma, 19 settembre 2019

Consulta sul caso Dj Fabo: il suicidio assistito non è punibile

Decisivo pronunciamento della Corte Costituzionale che apre alla possibilità di aiutare il fine vita, purché ci siano alcune condizioni. I giudici però esortano il Parlamento a emanare una legge

L’aiuto al suicidio assistito è lecito in casi come quelli del Dj Fabo, Fabiano Antoniani, morto il 27 febbraio 2017 in una clinica in Svizzera, accompagnato da Marco Cappato. La Consulta si è infatti pronunciata sul caso, che vedeva imputato proprio il leader dell’Associazione Luca Coscioni per il reato di istigazione al suicidio. Per i giudici della Corte Costituzionale non è punibile chi, in determinate condizioni, aiuta un soggetto malato a porre fine alle sue sofferenze. “Ho aiutato Fabiano perché ho considerato un mio dovere farlo. La Consulta ha chiarito che era anche un suo diritto costituzionale per non dover subire sofferenze atroci” ha commentato Marco Cappato.

“Io sono commossa e fiera di quanto accaduto, gli italiani oggi sono tutti più liberi anche grazie a noi e a Marco Cappato, grazie alla sua disobbedienza civile che lo ha messo a rischio di reclusione di 12 anni, e a tutti i malati come Dj Fabo. Sottolineo che, pur rimanendo il reato di istigazione al suicidio che tutela le persone più fragili, la decisione della Consulta rappresenta un perimetro entro il quale ora andrà scritta una legge” spiega a Donna Moderna Filomena Gallo, Segretario nazionale dell’Associazione Luca Coscioni.

Cosa ha deciso la Consulta

La Consulta si è pronunciata sulla legittimità dell’articolo 580 del Codice penale, che riguarda la punibilità dell’aiuto al suicidio voluto da chi sia già determinato a togliersi la vita. In attesa del deposito della sentenza, l’ufficio stampa ha fatto sapere che i giudici hanno ritenuto “non punibile, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

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Suicidio assistito, quali condizioni

Si tratta, dunque, di un’apertura al suicidio assistito, che è differente rispetto all’eutanasia (praticata dal medico e non dal paziente stesso), ma che può avvenire solo a determinate condizioni. La non punibilità, infatti, può avvenire solo nel rispetto di quanto previsto dalla “normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua (articoli 1 e 2 della legge 219/2017) e alla verifica sia delle condizioni richieste sia delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente”. Si tratta di condizioni che la Consulta ritiene indispensabili “per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili, come già sottolineato dall’ordinanza 207 del 2018”.

“Queste indicazioni della Consulta rappresentano un’ulteriore cintura di protezione per verificare che la persona sia consapevole della scelta che sta facendo. Il parere del comitato etico immagino che sia richiesto a ulteriore garanzia per tutte le condizioni posti, ma ne sapremo di più quando saranno depositate le motivazioni dei giudici” spiega Gallo.

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In Italia manca una legge

Di fronte ad un vuoto normativo già indicato un anno fa dalla stessa Consulta, che aveva dato tempo 11 mesi al Parlamento per mettere a punto una legge, i giudici sono tornati a sottolineare l’esigenza di un “indispensabile intervento del legislatore”.

“In realtà l’Italia attende una legge da oltre 30 anni. Noi abbiamo depositato una proposta di legge di iniziativa popolare già nel 2013, che però non è mai stata discussa. Gli 11 mesi di tempo che la Corte costituzionale aveva dato hanno evidenziato che non c’era volontà politica. Oggi il Parlamento è chiamato a emanare una legge sulla base di questa decisione della Consulta, che è un organo supremo e indipendente e che ha aperto la strada con una traccia ben precisa, dalla quale il Legislatore non può discostarsi. Ricordiamo che le buone leggi tutelano tutti e chi non vorrà ricorrere al suicidio assistito non sarà tenuto a farlo in alcun modo” spiega ancora il Segretario nazionale dell’Associazione Coscioni.

Le reazioni

“Sconcerto” e “distanza” da quanto comunicato dalla Corte Costituzionale sono stati espressi dalla Conferenza episcopale italiana, che riunisce i vescovi, che ora “si attendono che il passaggio parlamentare riconosca nel massimo grado possibile” i valori del fine vita, “anche tutelando gli operatori sanitari con la libertà di scelta”. Secondo l’Associazione dei medici cattolici italiani (Amci), potrebbero essere 4.000 i medici pronti all’obiezione di coscienza.

La Federazione nazionale dei medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo), invece, chiede che al legislatore “che sia un pubblico ufficiale rappresentante dello Stato e non un medico” ad avviare formalmente la procedura del suicidio assistito, prevedendo che “ci sarà una forte resistenza da parte del mondo medico”. A tal proposito ecco cosa dice Filomena Gallo: “Nel suicidio assistito l’obiezione di coscienza dovrebbe essere motivata in modo preciso, perché è il paziente che ha l’ultima parola e può cambiare idea fino alla fine. Si tratta di una scelta libera del malato e il medico è tenuto a rispettarla. La legge dice che il medico adopera le opportune scelte in campo terapeutico, ma con il consenso del paziente”.

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