Revenge porn: come bloccare in anticipo video e foto hot

Come rivolgersi al Garante per stoppare la pubblicazione di video e foto hot di cui temiamo la pubblicazione online da parte di ex o compagni bulli

Si parla di Revenge Porn (o “vendetta pornografica”) quando immagini e video intimi sono diffusi in rete senza consenso della persona. Spesso accade alla fine di relazione, per vendetta da parte dell’ex. Ma può succedere anche in casi di bullismo tra i più giovani o di sexting, sempre più diffuso tra adolescenti. Ma ora arriva uno strumento in più per difendersi: è infatti possibile chiedere di bloccare i contenuti, prima che questi siano diffusi.

Come bloccare i contenuti in anticipo

È sufficiente rivolgendosi al Garante della Privacy, semplicemente con un reclamo o segnalazione, nel caso in cui si siano già ricevute minacce esplicite o anche solo se si teme che i filmati e le foto possano essere diffusi in rete o sui social.

Come viene sanzionato il reato di Revenge Porn

Si calcola che nel mondo 1 donna su 3 subisca una forma di violenza fisica, sessuale o psichica. Tra queste ultime c’è sicuramente il Revenge Porn che può rappresentare un ricatto vero e proprio oppure, nel caso in cui si diffondano foto e video intimi contro la volontà della diretta interessata, un abuso e una umiliazione. Dal 2019 il Revenge Porn in Italia è reato punito ai sensi dell’art. 612 ter del Codice Penale, con la reclusione da 1 a 6 anni e una multa da 5.000 a 15.000 euro. Ma spesso quando si interviene è già troppo tardi, perché i contenuti “hot” sono già stati diffusi.

Ora è possibile fermarne la pubblicazione in anticipo, grazie al dl 139/2021, appena approvato. «La norma la norma offre una tutela in più alle vittime, che possono agire anche in via preventiva, presentando un reclamo o una segnalazione al Garante per la protezione dei dati personali anche prima che le immagini o i video a contenuto sessualmente espliciti siano divulgati» spiega l’avvocato Marisa Marraffino.

Come si fa la segnalazione

«Da oggi si può fare la segnalazione o il reclamo direttamente al Garante per la protezione dei dati personali tramite un apposito form che si può compilare dal sito (garanteprivacy.it/temi/revengeporn)» spiega Marraffino. L’intervento del Garante è previsto entro 48 ore dalla richiesta e prevede che i video o le fotografie vengono scansionati attraverso una speciale tecnica informatica, che può consentire di bloccarli in via preventiva se qualcuno tenta di caricarli on line. «Ci sarà una specie di black list di video e immagini che verranno bloccati in ingresso» aggiunge l’avvocato Marraffino.

Chi fa la richiesta e cosa fa il Garante

Grazie alla nuova norma e al progetto pilota di Facebook al quale potrebbero aggiungersi altre piattaforme, si potrà creare una sorta di “black list” di video e immagini che verranno bloccati in ingresso. «Lo scorso anno Facebook aveva attivato un progetto pilota che consentiva la segnalazione preventiva dei contenuti, che potevano essere bloccati se qualcuno tentava poi di caricarli. Ora con le nuove tecniche informatiche si può fermare la pubblicazione preventivamente» conferma Marraffino, che però chiarisce che la possibilità riguarda tutti, sia maggiorenni che minorenni. In quest’ultimo caso però a presentare il reclamo o la segnalazione possono essere anche i genitori. Se aderissero altri social network e altre piattaforme, la funzione preventiva della norma sarebbe ancora più evidente.

Quando può essere utile bloccare i contenuti

Ma in che casi può essere importante rivolgersi al Garante? «Ad esempio in molti casi di sexting tra adolescenti, che purtroppo sempre più spesso condividono materiale intimo con facilità. Se l’interessato si pente di aver inviato il materiale, oltre a chiedere al destinatario di cancellarlo anche dal dispositivo, può rivolgersi al Garante in modo da evitare che venga poi pubblicato sui social network» consiglia Marraffino.

Nei casi di adolescenti che consapevolmente si filmano durante i rapporti sessuali,, è bene sapere che il consenso è sempre revocabile. La vittima può chiedere in ogni momento al destinatario la cancellazione dei video, anche se ancora non è integrato il cosiddetto reato di Revenge Porn.

«Poi ci sono tutti i casi in cui la vittima ha ceduto il materiale a soggetti on line di cui non conosce il nome, né i recapiti, ad esempio su piattaforme di giochi. E ancora ci sono vittime che non riescono a bloccare l’ex sui social e nemmeno a denunciarlo o chiedergli la cancellazione dei contenuti. Per questo vivono in uno stato di perenne ansia e angoscia» racconta l’esperta. «In tutti questi casi, se i video o le fotografie non sono ancora stati divulgati, ci si può rivolgere con più serenità al Garante con una procedura riservata che non implica un processo penale».

Chi può vedere i filmati e le foto hot

Il fatto di bloccare in anticipo i filmati e le foto non significa, comunque, che il Garante visionerà i contenuti: «L’obiettivo è aiutare le vittime. Va anche chiarito che le principali piattaforme, come ad esempio Facebook e Instagram, cifrano le immagini tramite un codice “hash” dopo che l’utente le carica. In questo modo diventano irriconoscibili prima di essere distrutte e, attraverso una tecnica di comparazione, sono di fatto bloccate da possibili tentativi di una loro pubblicazione» spiega l’avvocato. Che però ricorda: «Anche nel caso in cui i video dovessero circolare è bene ricordare che la vittima, oltre agli strumenti penali (cioè la querela per il reato di Revenge Porn, Ndr), ha a disposizione anche la possibilità di contattare i principali motori di ricerca che sono in grado di deindicizzare i contenuti illeciti, quindi di renderli non visibili».

I limiti: difficile applicarlo con WhatsApp e Telegram

La nuova legge e i progetti pilota aiutano le vittime o potenziali vittime, ma esistono ancora dei limiti, per esempio riguardo la diffusione tramite i sistemi di messaggistica. «Intanto è importante sapere che la vittima deve essere in possesso del video o della fotografia per poterli bloccare. Lo stop, inoltre, potrebbe non essere sempre possibile, per esempio con WhatsApp o Telegram. Questo perché di solito le app di messaggistica non salvano i dati sui propri server ed esistono anche messaggi istantanei. I contenuti, poi, sono caricati già in formato compresso, quindi diverso dall’originale e questo rende l’operazione di blocco (tramite la comparazione) più difficile da un punto di vista strettamente tecnico. La stessa “crittografia end-to-end”, che è un sistema di comunicazione cifrata, consente soltanto al mittente e al destinatario di leggere i messaggi» chiarisce l’esperta di reati informatici.

«Un’altra variabile è il caso in cui chi si impossessa dei video li modifichi, cosa che accade molto di frequente» aggiunge Maraffino, che conclude: «Sarà interessante vedere in concreto quante segnalazioni riceverà il Garante e se aderiscono al progetto altre piattaforma o addiritutta i motori di ricerca, che in futuro potrebbero bloccare in via preventiva l’indicizzazione dei contenuti illeciti segnalati».

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