Revenge porn e cyber flashing, come difendersi

Durante la pandemia sono aumentate le denunce per revenge porn, ma cresce un'altra forma di molestia digitale: il cyber flashing. Ecco cosa fare contro questa nuova violenza, quasi sempre verso le donne

Più resti a casa, più rischi di essere vittima di revenge porn. Stando ai dati diffusi dalla Polizia Postale, nei primi sei mesi del 2020 (due dei quali trascorsi in casa a causa del lockdown) sono state registrate 104 denunce di revenge porn, a fronte delle 131 dell’intero 2019. È un dato significativo. Tuttavia alle denunce ufficiali occorre aggiungere una “cifra oscura” di casi che rimangono sommersi quando la vittima non denuncia il fatto per timore di trovarsi ulteriormente esposta o di ritorsioni.

Il rapporto tra revenge porn e pandemia

Complice l’aumento di tempo trascorso in casa a socializzare usando computer o smartphone, si è affermato il fenomeno del digital love che Roberto De Vita, presidente dell’Osservatorio Cybersecuruty dell’Eurispes, ha definito uno dei rischi digitali del coronavirus. «Come è facile intuire, il maggior tempo trascorso sul web implica anche una maggior esposizione della nostra persona e dei nostri dati sensibili: tra questi rientrano anche le immagini intime o sessualizzate, trasmesse in modo più o meno consapevole ai nostri interlocutori e partner virtuali. Molte relazioni sentimentali digitali si sviluppano nella direzione esplicita del sexting che ha come rischio intrinseco proprio quello del porn revenge» spiega Fabiola Silvestri, dirigente del Compartimento Polizia Postale di Torino. Le vittime sono soprattutto donne e adolescenti, che scambiano immagini e filmati condividendo momenti di intimità la maggior parte dei casi senza precauzioni. «Il sexting e l’eventuale porn revenge sono eventi molto frequenti nel mondo giovanile inclusi ragazzi minorenni che utilizzano con più disinvoltura gli strumenti digitali: è importante in questo senso che i genitori vigilino con costanza sull’uso che il proprio figlio fa dello smartphone e del pc» aggiunge Fabiola Silvestri.

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L’aumento dei casi di revenge porn durante il picco primaverile della pandemia non ha riguardato solo l’Italia. Revenge Porn Helpline, una linea telefonica introdotta dal governo britannico per dare assistenza alle vittime, ha raccolto il doppio delle segnalazioni abituali nella settimana successiva al 23 marzo, giorno in cui è scattato il lockdown sull’isola, e ha registrato un record di contatti nel mese successivo. In particolare, nei soli mesi di lockdown nel Regno Unito si è registrato un aumento del 22% delle denunce rispetto al 2019.

Revenge porn, chi paga?

La vittima di revenge porn ci rimette sotto tutti i punti di vista: psicologico, reputazionale e anche professionale. È avvenuto alla maestra d’asilo della provincia di Torino licenziata dalla sua dirigente scolastica a causa di un video hard diffuso dal suo ex fidanzato e diffuso fra le chat di vari gruppi whats app del paese. Stesso copione per la professionista bresciana, il cui video hard è stato diffuso a sua insaputa su piattaforme porno di vari paesi, ed è stata anche licenziata dallo studio in cui lavorava per “danno di immagine”. Da poco più di un anno c’è una legge che tutela le vittime di revenge porn. Questo reato è stato introdotto dalla legge n. 69/2019, cosiddetto “Codice Rosso”. Il codice penale, nell’articolo 612 ter “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, punisce con una detenzione da 1 a 6 anni e una multa da 5mila a 15mila euro chiunque diffonda, ceda o invii immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone interessate. «Nella maggior parte dei casi si arriva all’identificazione compiuta dell’offender la cui posizione giuridica viene rimessa alla valutazione di un magistrato – spiega Fabiola Silvestri – Per quanto riguarda la rimozione dei contenuti illeciti questa è sempre possibile rispetto alle piattaforme social che offrono una collaborazione strutturata con le forze dell’ordine. Nel caso in cui tuttavia i contenuti vengano diffusi in chat di messaggistica istantanea la rimozione può diventare complessa in quanto non si può escludere la futura riproposizione a distanza anche di tempo. I rischi più alti sono quelli della diffusione virale nonché del download su device privati che potranno essere esaminati soltanto con un’attività specifica di digital forensic». Insomma, è davvero difficile rimuovere definitivamente le foto e i video: “the net never forgets”.

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Come difendersi dal revenge porn?

Fermo restando l’invito della Polizia Postale di evitare l’invio di foto e video di situazioni intime o sessualizzate, in particolare quando il nostro volto risulta riconoscibile, ecco cosa fare quando cominciano a circolare contenuti di quel genere. Il primo passo è contattare tempestivamente le forze dell’ordine inviando inviando una segnalazione sul sito della Polizia Postale e sporgere denuncia.

Cosa fa subito dopo la Polizia Postale? Individua i profili social e le chat dove è stata fatta la pubblicazione/condivisione delle immagini, “congela” il post illecito, chiede la rimozione del contenuto illecito al gestore del social (se il gestore non la rimuove, chiede al magistrato un decreto di sequestro preventivo mediante oscuramento), individua l’ID univoco del profilo social da dove è avvenuta la pubblicazione. Esistono altre strade per ricevere supporto, soprattutto legale e psicologico. Ci sono avvocati e associazioni di categoria specializzate in questo (ad esempio Odiare ti costa). Si può eventualmente fare ricorso a società a vocazione sociale (ad esempio Chi Odia Paga o Permesso negato) in grado di raccogliere le prove digitali e di far rimuovere, quando possibile, i contenuti sessuali sulle piattaforme.

Sicuramente il fattore tempo è fondamentale: non appena ci si accorge che stanno circolando proprie foto o video di tipo sessuale occorre sporgere denuncia e segnalare i gruppi telematici in cui sta circolando il materiale. Non solo perché la legge prevede che per aprire un processo la vittima di revenge porn debba denunciare entro sei mesi, ma anche perché prima si blocca la catena di circolazione, più facile è tracciare il materiale ed eliminarlo.

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Il cyber flashing, la nuova molestia digitale

Si sta diffondendo una nuova subdola forma di molestia sessuale digitale: il cyber flashing, ossia la ricezione di immagini oscene (perlopiù genitali maschili) attraverso servizi di messaggistica che usano bluetooth o AirDrop (installata su prodotti Apple) per condividere foto, video e documenti e altro con dispositivi che si trovano nelle vicinanze). In Italia i dati sono poco significativi e il numero di segnalazioni e denunce pervenute non consentono ancora di parlare di un fenomeno diffuso a livello nazionale. Ma nei paesi anglosassoni la cosa sta assumendo proporzioni sempre più vaste. Secondo dati raccolti nel 2017 dalla società di ricerca YouGov, nel Regno Unito oltre il 40 per cento delle donne tra i 25 e i 35 anni afferma di aver ricevuto un’immagine non richiesta di genitali maschili. Negli Stati Uniti il 53% delle donne tra i 18 e i 29 anni afferma di aver ricevuto immagini esplicite che non aveva richiesto, secondo una indagine effettuata dal Pew Research Center nel 2017. Il cyber flashing si verifica tipicamente in luoghi in cui persone sconosciute fra loro si trovano a distanza ravvicinata, quindi perlopiù sui mezzi di trasporto, nelle stazioni o nei bar.

Manca una legge che tuteli le vittime di cyber flashing

Sebbene al momento non esista una legge che definisca il reato di cyber flashing, nel 2010 in Scozia è stata introdotta una norma che riguarda le persone che costringono altre a guardare immagini sessuali. Leggi simili sono state approvate in alcuni stati degli Stati Uniti o a Singapore. Per criminalizzare il cyber flashing, nel 2018 un gruppo di parlamentari britannici ha invitato il governo a introdurre una nuova legge sugli abusi attraverso immagini sessuali. Ma non è stato fatto nulla per renderlo un reato vero e proprio.

Come difendersi dal cyber flashing

Occorre bloccare i molestatori sul loro stesso terreno, ossia tramite il mezzo con cui vengono inviate le immagini. Le impostazioni di default di AirDrop permettono a chiunque di inviare immagini in forma anonima e chi le riceve è costretto a visualizzarle in anteprima, prima di decidere se accettarle o meno. Da questo ci si può difendere con pochi semplici mosse: andare nell’app “Impostazioni” dell’iPhone, selezionare “Generali”, poi selezionare “AirDrop” e infine scegliere tra le opzioni “Ricezione non attiva” o “Solo contatti” (infatti l’opzione “Tutti”, che è quella di default, permette a chiunque sia nelle vicinanze di inviare contenuti).

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