Sentenza storica: una donna può usare l’embrione congelato dell’ex marito

A una donna è stato riconosciuto il diritto di impiantare un embrione congelato dell’ex marito contro la sua volontà. È il primo caso del genere in Italia, che apre a una serie di domande etiche e legali

A una donna è stato riconosciuto il diritto di impiantare un embrione congelato dell’ex marito contro la sua volontà. A stabilirlo è stata una sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere (Napoli) a cui si era rivolta una coppia che, dopo aver fatto ricorso alla procedura della procreazione medicalmente assistita, aveva però deciso di separarsi. Di fronte alla fine della relazione l’ex marito si era detto contrario a procedere, mentre la donna ha visto accogliere la sua richiesta dai giudici e potrà provare ad avere il figlio desiderato, anche contro la volontà del padre biologico. Un caso che porta con sé molte implicazioni etiche e legali, e che secondo gli esperti dovrà essere accompagnato da ulteriori norme per regolare una materia nuova.

Le motivazioni della madre: «Non volevo rinunciare e abbandonare gli embrioni»

«La mia è stata una battaglia anche per tante altre donne: credo in coscienza di aver fatto qualcosa di utile per tutte quelle donne nella mia situazione, e per i tanti concepiti in provetta congelati, a cui la legge fino ad oggi non consentiva alternative» ha spiegato la donna, tramite il proprio avvocato, Gianni Baldini, membro della giunta dell’Associazione Luca Coscioni. «Non è stata una scelta a cuor leggero. Io ho più di 40 anni e per amore del mio ex marito, che aveva problemi di salute, ho deciso con lui di ricorrere alla Pma (Procreazione Medicalmente Assistita, NdR)» ha spiegato ancora la donna. «Ci sono state delle complicanze e il primo tentativo non è andato bene. Poi lui ha voluto la fine del nostro matrimonio. Ci ho pensato tanto ma quegli embrioni creati in un contesto di amore, io non me la sono sentita di abbandonarli in una provetta, e ho deciso almeno di provare a metterli al mondo lo stesso, anche come donna single».

Le basi della sentenza

I giudici hanno fatto riferimento alla legge 40 del 2004 (art.6/comma3), secondo cui la volontà di ricorrere alla Pma per diventare genitori «può essere revocata da ciascuno dei soggetti […] fino al momento della fecondazione dell’ovulo», ma non in un secondo momento. Da qui la decisione di autorizzare la donna a proseguire con l’impianto.

Che diritti avrebbe il bambino nato da questa situazione?

A sollevare perplessità di natura etica, però, è il pro rettore dell’Università europea di Roma, Alberto Gambino, giurista alla presidenza di Scienza & Vita, per cui prima del diritto della coppia ad avere un figlio esiste il diritto del figlio a vivere nella pienezza la sua esistenza. «In effetti questa sentenza porta con sé risvolti para-legali ed etici molto delicati: l’embrione non ha diritti propri, è potenzialmente destinato a diventare un bambino e la legislazione in materia mette in primo piano l’interesse del minore. C’è da chiedersi, quindi, se e come possa essere tutelato dal punto di vista etico e legale» osserva l’avvocata divorzista Claudia Rabellino Becce. «È la prima sentenza di questo tipo che, emessa nel nostro Paese, assume un rilievo anche maggiore, visto che si discute proprio in queste settimane della legislazione sul cognome materno e paterno. In questo caso si va ben oltre, si parla dei diritti di una madre, di un padre, ma anche e soprattutto di un embrione che è in potenza in bambino, dunque un minore. Cos’è meglio nel suo interesse?» spiega l’avvocata Rabellino Becce.

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Il padre sarà tenuto a riconoscere e mantenere il figlio, se nascerà?

Il fatto di aver autorizzato l’impianto dell’embrione, porta con sé anche conseguenze legali: il padre sarà costretto a riconoscere quel figlio, nonostante la contrarietà a proseguire con la fecondazione assistita? Un giorno dovrà mantenerlo?

«La legislazione sul riconoscimento di paternità normalmente prevede, nei casi di procreazione medicalmente assistita, che non ci possa essere un disconoscimento della paternità successivo alla nascita, ma si parte dal presupposto che ci sia un consenso preventivo alla pratica da parte di entrambi i genitori, che qui invece non c’è perché l’ex marito si è detto contrario» spiega l’avvocata Rabellino Becce. «Si dovranno dunque verificare le motivazioni della sentenza, e i consensi espressi e sottoscritti dall’inizio del procedimento di Pma. Il problema del mantenimento è collegato al riconoscimento, perché è previsto da parte del genitore naturale o che abbia riconosciuto il figlio, ma nel caso specifico la situazione è differente. La madre potrà invocarlo, perché è provato che il figlio sia biologicamente dell’ex partner, ma questo non ha prestato consenso all’impianto del suo embrione».

La sentenza vale solo per questo caso. La legge deve ancora adeguarsi

«Ci stiamo muovendo in un terreno giuridicamente non segnato, non ci sono mappe, è del tutto nuovo e occorrerà affrontare tutte le problematiche connesse con una nuova giurisprudenza specifica che ad oggi manca: non è possibile applicare automaticamente le norme attualmente in vigore» spiega ancora Rabellino Becce. «Di sicuro la sentenza ha validità solo per il caso specifico, non sarà estesa a tutti quelli analoghi. Varrà come precedente, ma non è una legge che dunque possa essere applicata in modo automatico».

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