Come la legge riconosce i figli delle coppie gay

Nuovo pronunciamento della Cassazione su un tema delicato e molto attuale, dopo due casi recenti. Ecco cosa hanno stabilito i supremi giudici

L’adozione di un bambino avvenuta all’estero da parte di una coppia omosessuale può essere riconosciuta anche in Italia, con la trascrizione da parte del Comune. A stabilirlo è stata una sentenza della Cassazione, a cui aveva fatto ricorso un’Amministrazione comunale lombarda nei confronti della richiesta di due genitori: si tratta di un cittadino italiano e uno americano, che avevano adottato il bambino a New York, ma una volta tornati in Italia si erano visti negare il riconoscimento da parte del Comune. La Corte d’Appello di Milano aveva dato loro ragione nel 2017, spingendo il Sindaco a rivolgersi agli “ermellini”.

Data la novità del caso e la delicatezza, visto che riguarda un minore (il bambino oggi ha 10 anni), la Cassazione si è riunita a Sezioni Unite, depositando ora la sentenza (N.9006), nella quale si spiega che “non contrasta con i principi di ordine pubblico internazionale il riconoscimento degli effetti di un provvedimento giurisdizionale straniero di adozione di minore da parte di coppia omoaffettiva maschile che attribuisca lo status genitoriale secondo il modello dell’adozione piena o legittimante” .

Secondo la Cassazione il fatto che “il nucleo familiare sia omogenitoriale”, una volta escluso l’accordo di “maternità surrogata”, non può essere un “elemento ostativo all’adozione”. Di recente, però, ci sono stati altri due pronunciamenti importanti in materia.

Altre due sentenze recenti in materia


Due sentenze di gennaio della Corte costituzionale, le cui motivazioni sono state pubblicate in questi giorni, chiedono con forza alla politica di tutelare i diritti dei figli delle coppie dello stesso sesso che, dicono i giudici, vanno tutelati sempre. Per la prima volta si introduce il concetto di “genitorialità sociale” che non coincide sempre con quella biologica

La Corte costituzionale si trova nuovamente a intervenire in mancanza di una legge chiara in tema di maternità surrogata e procreazione medicalmente assistita. Dopo il caso di una donna che voleva un figlio da un embrione dell’ex marito (contrario), ora i supremi giudici sono intervenuti in due casi di coppie omosessuali, dando priorità all’esclusivo interesse dei bambini, a prescindere dal sesso dei genitori. Nello stesso tempo la Consulta ha esortato nuovamente il Parlamento a intervenire per colmare il vuoto legislativo.

Il primo caso: tutelare il bambino

In un caso due uomini, diventati padri grazie alla gestazione per altri all’estero, avevano fatto ricorso contro il mancato riconoscimento giuridico di entrambi come genitori del figlio nato grazie a una madre surrogata. La Corte costituzionale, pur riconoscendo che si tratta di una pratica vietata in Italia dalla legge 40 (quella sull’aborto), ha dato ragione alla coppia in nome della tutela del bambino. Secondo i giudici, infatti, occorre individuare il «ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana». Il bambino, infatti, ha diritto «alla cura, all’educazione, all’istruzione, al mantenimento, alla successione e, più in generale, alla continuità e al conforto di abitudini condivise». Secondo la Corte occorre evitare «disarmonie» nel sistema, cioè discriminazioni con altri bambini.

Ci spiega Gianni Baldini, l’avvocato che ha assistito la coppia di padri. «La Consulta ha richiamato un principio già contenuto in una precedente sentenza del 1995 quando, in assenza della legge 40 che non era ancora stata emessa, si era stabilito che in assenza di una legge specifica qualsiasi soluzione deve partire dalla tutela dell’interesse del minore. Oggi questo richiamo ha ancora più valore: viviamo in una Unione europea dove non esistono più confini e barriere tra un Paese e l’altro. È quindi molto facile superare il divieto di ricorso alla procreazione medicalmente assistita per le coppie omosessuali, andando in uno Stato dove questa è permessa. Diventa quindi prioritario regolare lo status giuridico del bambino che nasce con questa tecnica»

In questo caso il principio della sentenza, come spiega ancora Baldini, è il Best Interest of Child, cioè il miglior interesse del bambino: «Non potrebbe essere altrimenti: cosa accadrebbe al minore se il genitore biologico, quello che ha messo i gameti, dovesse morire? Il bambino sarebbe affidato ai servizi sociali o dato in adozione?».

Per queste motivazioni giudici della Corte costituzionale hanno accolto il ricorso dei due padri, come hanno fatto in un altro caso, che ha avuto come protagonista un’altra coppia omosessuale.

Il secondo caso: riconoscere la “genitorialità sociale”

Si tratta di una situazione per certi versi analoga, anche se le protagoniste sono due donne che, sempre tramite la procreazione medicalmente assistita, prima sono diventate madri di due gemelle, poi si sono separate. Una delle due – non la madre biologica – ha fatto ricorso per vedersi riconoscere la genitorialità: «Anche in questo caso ci si è rivolti ai giudici per evitare l’esclusione della madre intenzionale dal rapporto con le bambine, in nome della genitorialità sociale, ossia il fatto di essere genitori a prescindere dal fattore biologico o dai divieti previsti dalla legge in materia di fecondazione assistita» spiega l’avvocato Baldini. «L’interesse delle minori è superiore e consiste nel poter avere due genitori» aggiunge. Valentina, la donna che si era rivolta al tribunale di Padova, si è vista dare ragione e ha commentato così la pronuncia a La Repubblica: «Sono commossa a leggere che il dato genetico non è più un requisito indispensabile per la genitorialità. È il riconoscimento del fatto che è l’amore che crea una famiglia, che è l’affetto che definisce e dà sostanza alla genitorialità».

La mancanza di leggi in materia

La Corte costituzionale, dopo aver accolto entrambi i ricorsi, ha anche esortato il Parlamento a colmare la mancanza di una legge in materia, parlando di «grave vuoto di tutela dell’interesse dei minori», non più tollerabile, e di «l’inerzia del legislatore». Al momento, infatti, accade che le coppie che ricorrono alla maternità surrogata all’estero, che siano eterosessuali o omosessuali, al loro ritorno chiedano la trascrizione del certificato di nascita negli uffici dello stato civile dei Comuni. Non tutti, però, accolgono la richiesta. In caso negativo, quindi, le coppie si rivolgono ai Tribunali, che non sempre accolgono il ricorso. Dal canto suo la Cassazione prima si era pronunciata stabilendo la legittimità della pratica, poi invece a maggio del 2019 ha stabilito che il certificato estero non può più essere trascritto automaticamente in Italia. La conseguenza è che viene riconosciuto soltanto il genitore biologico» spiega l’avvocato.  Qual è la conseguenza?

L’escamotage dell’adozione

In questa situazione di confusione e mancanza di una legge, la strada seguita dalla maggior parte delle coppie è il ricorso al Tribunale dei Minori chiedendo, per il genitore non biologico, la cosiddetta «adozione in casi particolari» (art.44, comma 4, lettera D della legge sull’adozione 184/83): «In questo modo si adotta il bambino, anche se si tratta di adozione parziale, perché riconosce i diritti al genitore intenzionale, ma non li estende alla parentela, ad esempio ai nonni o agli zii, ecc. che non sono riconosciuti in quanto tali. Per questo è stato presentato un ricorso alla Corte europea dei diritti, che deve ancora pronunciarsi» spiega il legale.

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