Perché le ragazze ancora non studiano la matematica

Il primo ostacolo sulla strada che porta a studiare le materie STEM è credere di non essere portate. Uno stereotipo senza fondamento. Smantellarlo rende le donne più autonome e forti, non solo nel lavoro

«La ringrazio prof, è stata la prima a credere in me. Se non avessi incontrato lei non mi sarei ritenuta capace di farlo». Questa è la dedica di una fresca laureata con lode in Matematica e rappresenta un buon punto di partenza per ragionare sul perché ancora poche ragazze scelgono le materie STEM, Scienze, Tecnologia, Ingegneria, Matematica. Molti studi hanno sgombrato il campo: non c’è diversità biologica. Il nodo che non si scioglie resta nel ritenersi o meno capaci di farlo. Ma dove si ingarbuglia il filo che porta una bambina, curiosa e brillante quanto un suo coetaneo a non varcare la soglia di una facoltà di ingegneria, di matematica o di fisica, roccaforti del divario di genere nell’istruzione?  Ci aiuta a trovare risposte proprio la prof della dedica, Lorella Carimali, docente di matematica e fisica al liceo scientifico Vittorio Veneto di Milano. Nel 2017 è stata premiata tra i dieci migliori insegnanti italiani dell’Italian Teacher Prize e nel 2018 è stata selezionata tra i 50 finalisti del Global Teacher Prize, il Nobel per l’insegnamento. All’insegnamento della matematica ha dedicato trent’anni e due libri, “La radice quadrata della vita” e “L’equazione della libertà”, entrambi per Rizzoli. 

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Non esiste il talento innato

«Il problema è solo culturale» chiarisce Carimali senza esitare. «Per andare alle origini dello stereotipo di genere che pesa sulle ragazze, parto dalla prima idea sbagliata che si ha delle matematica, e cioè che bisogna essere portati. Una psicologa cognitiva e sociale, Carol Dweck ha analizzato quanto l’idea che il talento sia innato ci condiziona nell’apprendimento. Per comprenderlo, cominciamo a dividere l’intelligenza in due categorie. Intelligenza entitaria e intelligenza incrementale. Chi ha l’idea che l’intelligenza sia entitaria, pensa che la conoscenza dipenda dall’essere portati, che sia cioè una cosa statica, data a priori. Con questa condizione tende a stare in situazioni conosciute e a considera l’errore un fallimento da evitare. Chi invece ha un’idea dell’intelligenza di tipo incrementale considera l’errore necessario per ottenere nuova conoscenza e si mette in situazioni sfidanti. Carol Dweck chiede a insegnanti e genitori: “Voi prima di tutto che idea avete dell’intelligenza? Entitaria o incrementale?”. Siamo sinceri, la maggior parte di noi ce l’ha entitaria. E implicitamente la passiamo a figli e studenti. Risultato: se io penso che la capacità di studiare matematica sia innata e studiarla mi costa fatica, non mi ci metterò mai. Non fa per me». 


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– Lorella Carimali, L’equazione della libertà – Nella Matematica c’è la chiave per la rinascita, Rizzoli

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– Lorella Carimali, La radice quadrata della vita – Nel mondo dei numeri c’è la chiave per la felicità, Rizzoli

I limiti autoimposti

Lo stereotipo di genere si consolida non solo quando affermiamo che le femmine sono meno portate dei maschi ma quando diamo spazio all’idea che possono concedersi di non essere portate. «Assecondare i propri interessi è positivo» chiarisce Carimali. «Non lo è invece evitare le sfide, cedere all’ansia, al senso di inadeguatezza, al limite autoimposto dalla convinzione che tanto non ce la possiamo fare».  A una ragazza diciamo (e lei dice a se stessa) “se non vai bene in matematica fai pure altro, quello che ti riesce meglio”. Mentre spingiamo un ragazzo a farcela comunque, anche se “non è portato” e pretendiamo che frequenti le scuole che lo indirizzano verso un lavoro sicuro e remunerativo. Perché è un maschio. Più o meno esplicitamente è così. Lo stereotipo patriarcale è interiorizzato nelle donne e negli uomini al punto che siamo ciechi davanti alle evidenze che affiorano in ciò che diciamo. «Ricordo bene l’alunna di una classe in cui sono subentrata ad anno già iniziato: si è presentata dicendo: “Prof abbiamo tutte la media del 4, qui le ragazze non sono molto portate per la matematica”. Quando le ho risposto: “Certo, siete geneticamente modificate” è calato il silenzio. Per un attimo hanno pensato che dicessi sul serio e solo allora si sono accorti dell’assurdità di quelle idee».

Che peso ha la scuola?

Ma che peso ha la scuola in tutto questo? Alla primaria le bambine sono alle pari con i compagni, e spesso amano la matematica. L’ostilità comincia alle medie e si consolida in seconda superiore. Poi, rispetto ai maschi si apre una forbice: i dati Ocse che misurano l’alfabetizzazione matematica e scientifica in termini di padronanza del programma di studi e anche in termini di conoscenze ed abilità applicate nella vita pratica, segnalano un divario di 16 punti. È tanto. E anche questo è “analfabetismo funzionale”: come chi sa leggere ma non capisce il senso, le ragazze conoscono le scienze meno dei coetanei e meno di loro sanno avvalersene nella vita. L’inimicizia tra femmine e STEM pare soprattutto un problema di parità nel mondo del lavoro ma va oltre. 

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Perché le materie umanistiche coinvolgono di più le ragazze?

Dunque cos’è che un certo punto le allontana? Potremmo azzardare che nella preadolescenza, forse per la maturità raggiunta prima dei coetanei, le ragazze – già influenzate dallo stereotipo di genere – trovano più soddisfazione negli insegnanti di lettere, filosofia e nelle materie umanistiche che danno grandi risposte a grandi domande, che sembrano garantire maggiore libertà al pensiero e promettono di farlo “volare alto”. «Qui tocchiamo un secondo stereotipo culturale» controbatte Carimali. «Quello che considera la matematica una tecnica: le materie STEM servono a migliorare le condizioni materiali della vita e le discipline letterarie e artistiche formano la cultura. Invece la matematica soddisfa entrambe le esigenze, è un ponte tra esse. È scientifica e tecnologica nei metodi, perché utilizza la logica come metodo di indagine, ed è umanistica e artistica nei contenuti perché immagina e descrive mondi possibili. Per insegnarla in questo modo devi sviluppare prima la capacità di immaginare, progettare e poi quantificare e misurare. A scuola spesso si pensa solo al secondo pezzo, perché i docenti insegnano come hanno appreso. Per riuscirci spesso cerco di fare lezione insieme ai colleghi di lettere o di arte e di partire dall’attualità. Basta pensare a quanto la pandemia ha portato i dati, le statistiche, le curve nelle nostra quotidianità». Magari le ragazze si allontanano dalle STEM perché desiderano immaginare e trovano deludente o noioso il solo quantificare e misurare?«Ma seguendo questo ragionamento, la matematica dovrebbe essere più che mai una cosa da femmine, visto che è prima di tutto avventura della mente!» ribatte Carimali. 

Come convincere le studentesse che possono essere brave

«In realtà i maschi si demotivano meno davanti a una didattica che non li fa fiorire perché si sentono più tenuti a raggiungere gli obiettivi. Ammetto di avere un’occhio speciale sulle mie studentesse perché per vincere le insicurezze generate dagli stereotipi devi forzarle molto. Una ragazza, in genere, a convincersi che può essere brava ci mette tanto». Il metodo di Lorella Carimali si trova nel libro come “L’equazione della libertà” in cui racconta lezioni e dialoghi con gli alunni. È ricco di spunti per gli insegnati e per chi non ha avuto una prof come lei. Ma un assaggio di come riesce a conquistare le ragazze alla matematica ce lo dà già qui. «Bisogna dare loro delle sfide alte» sostiene. «Noi tendiamo ad abbassare il livello dove c’è difficoltà. Invece bisogna dare obiettivi impegnativi a ognuna secondo il livello di partenza. Poi, farle lavorare assieme, dare la possibilità di recuperare e di sbagliare, eliminare l’idea di perfezionismo di cui soffrono più dei maschi. Non usare la valutazione come un giudizio sulla persona ma come la misura del loro livello di conoscenza, l’asticella che devono sollevare. Come insegnante io sono lì per dare gli strumenti che servono a vincere le sfide. Ma il risultato è tutto loro. Una volta che ci arrivano, una volta che superano questa diffidenza e insicurezza verso se stesse, non tornano più indietro». 

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