SLA: come si cura oggi

15 settembre: Giornata nazionale della SLA

Domenica 15 settembre è la Giornata nazionale dedicata alla SLA. Le iniziative sono molte e tutte con l’obiettivo di migliorare le informazioni sulla malattia. In 150 piazze italiane grazie all’iniziativa “Un contributo versato con gusto”, è sufficiente un’offerta di 10 euro che verranno devolute per la ricerca, per ricevere una bottiglia di vino Barbera d’Asti DOCG.

Inoltre nella notte tra sabato 14 e domenica 15 settembre, decine di monumenti italiani si illumineranno di luce verde, il colore di AISLA oltre che della speranza. Per saperne di più, www.aisla.it.
Il 14 settembre invece a Milano in piazza Cannone verranno distribuiti piatti di riso non stop durante tutta la giornata, a fronte di un contributo solidale di sei euro. Le informazioni sono su www.risottoalcastello.it

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Finora della SLA, la Sclerosi Laterale Amiotrofica, si sa ancora ben poco. È certo che alla base c’è una degenerazione dei motoneuroni, cioè delle cellule nervose cerebrali e del midollo spinale che permettono i movimenti della muscolatura volontaria.

Verso nuove molecole

Al momento è disponibile solo una cura farmacologica, che viene seguita da oltre 9 pazienti su dieci, ma non è abbastanza. «Siamo vicini all’utilizzo di nuove molecole messe a punto sulla base delle conoscenze emerse sui meccanismi della malattia, che speriamo abbiano la capacità di interromperne lo sviluppo», interviene Giuseppe Lauria Pinter, Professore Ordinario di Neurologia dell’Università di Milano e Direttore del Dipartimento di Neuroscienze Cliniche della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Besta di Milano. «Da altre ricerche sta inoltre emergendo il ruolo che alcuni geni possono avere non solo nel causare la malattia, ma anche nel modularne presentazione e progressione. Tra essi, oggi il gene C9orf72 che ha la particolarità di essere molto frequente anche quando la malattia è slegata dalla familiarità».

Oggi si può convivere con la malattia

C’è chi sostiene che l’incidenza della SLA sia in aumento, ma non è così. Il numero di nuove diagnosi per anno, infatti, è stabile. Sta crescendo invece il numero di persone che convive con la malattia, grazie al miglioramento dell’assistenza, delle tecniche e del cambiamenti culturali che si stanno verificando nei confronti del malati, che possono continuare a vivere la quotidianità, compatibilmente con la malattia. La prova? Elena: ha 58 anni e a causa della SLA ha perso l’uso di due dita di una mano e ha un grado di invalidità dell’80% alla gamba colpita dalla malattia. Elena si è accordata con l’azienda e oggi si reca in sede una volta alla settimana. Per il resto dei giorni, lavora a casa.

L’importanza dei Centri specializzati

«Oggi l’approccio alla malattia è personalizzato, a partire dalla diagnosi e da tutto ciò che la sua comunicazione comporta. Il paziente e la sua famiglia sono al centro di ogni fase del percorso che si svolge nel nostro Centro SLA all’Istituto Neurologico “Carlo Besta”», continua il il professor Pinter. «Qui il paziente viene preso in carico nell’ambito di un percorso programmato di valutazione ambulatoriale. In pratica, ogni tre-quattro mesi viene visitato da un team multidisciplinare e sottoposto a controlli, in modo da seguire l’andamento della malattia e valutare le strategie terapeutiche. Il nostro Centro è inoltre coinvolto in vari studi clinici ai quali i pazienti, se interessati, possono partecipare».

Le terapie

La fisioterapia è fondamentale. «Serve per far funzionare al meglio il sistema neurologico», dice l’esperto. «Mantiene un buon tono muscolare e previene i blocchi articolari. Per l’apparato respiratorio, quando necessario, viene insegnato l’uso per alcune ore al giorno di una particolare macchinetta che permette una migliore ossigenazione senza affaticamento».

Sì anche alla terapia occupazionale. È una metodologia recente, introdotta circa 20 anni fa in Europa. L’efficacia di questo metodo è dimostrata da molti lavori scientifici, ma soprattutto dalla pratica clinica. Consiste nell’insegnamento di movimenti e posture che non causano problemi di carico eccessivo e di oggetti di uso quotidiano che permettono una buona presa anche a chi ha una debolezza muscolare così accentuata da far fatica persino a svitare il tappo di una bottiglia.

Cosa può fare il caregiver

Affidarsi a un Centro specializzato vuol dire anche non lasciare solo il caregiver, cioè la persona che in famiglia sta accanto al malato. «Le persone affette da una malattia cronica ed i loro familiari hanno spesso pochi filtri emotivi e possono trovarsi indifesi nei confronti di informazioni spesso del tutto irrealistiche, divulgate con superficialità da incompetenti che affollano internet. Difenderli attraverso un percorso di consapevolezza è una responsabilità che sentiamo in modo molto forte», conclude l’esperto. «Una ragione in più per proteggere pazienti e familiari caregiver dalla solitudine. Devono poter disporre di un supporto psicologico per confrontarsi con le paure. Devono potersi confrontare con il neurologo, fare domande e ricevere risposte anche su questioni pratiche, come ad esempio le esenzioni, le pratiche di invalidità, gli ausili, le terapie domiciliari. Alle famiglie consigliamo anche di rivolgersi ad una delle tante associazioni presenti sul territorio nazionale. La condivisione fa avvertire meno il senso di fatica e di solitudine che può avvertire chi assiste un malato di SLA». . Alle famiglie io consiglio anche di rivolgersi all’associazione AISLA per qualsiasi dubbio e non solo. La condivisione fa avvertire meno il senso di fatica e di solitudine che può avvertire chi assiste un malato di SLA».

Per avere un’idea delle attività si può contattare l’associazione AISLA. L’associazione promuove anche la ricerca. È in corso ad esempio il progetto “Baobab” che per la prima volta al mondo sta indagando, attraverso uno studio scientifico, difficoltà, stati d’animo, paure ed emozioni di bambini e adolescenti figli di persone con SLA, con l’obiettivo di aiutarli con percorsi di psicoterapia.

È dedicata invece a un paziente l’associazione Io corro con Giovanni, nata da un’idea di alcuni amici di un malato di SLA.

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