tampone Covid fai da te

Occhio ai tamponi fai da te per evitare l’isolamento

Un italiano su tre, in caso di presunto contagio da Covid, fa il tampone a casa per evitare la quarantena: ma in questo modo, oltre a far salire i contagi, si rischia di sottovalutare la malattia. Intanto una circolre ha ridotto la quarantena da 7 a 5 giorni

I test fai da te per il Covid sono sempre più diffusi, soprattutto in questa fase della pandemia, in cui si è assistito a un rialzo dei contagi, spinti da Omicron 5. Ma i tamponi casalinghi potrebbero non essere la soluzione migliore: certo, permettono di “evitare” il periodo di quarantena obbligatorio, ma quali sono i rischi? Oltre a poter contagiare gli altri, si potrebbe sottovalutare la malattia. Ecco a cosa prestare attenzione, cosa c’è sapere sulla presunta Omicron 6 e a che punto siamo con le cure antivirali, come ci spiega l’epidemiologo Massimo Ciccozzi, dell’Università Campus Bio-Medico di Roma e autore di oltre 90 studi sul Covid negli ultimi due anni.

Tamponi fai da te sempre più richiesti per evitare l’isolamento

Di fronte alla nuova ondata di contagi, che sembra ormai aver raggiunto il picco per poi iniziare a diminuire, siamo di fronte a un vero e proprio boom dei test fai te. In molti, di fronte ai sintomi della malattia Covid, ricorrono ai tamponi casalinghi, evitando invece quelli “ufficiali” in farmacia o dal medico, per non incappare nell’obbligo di isolamento per (almeno) 5 giorni in caso di positività. Come spiegava alcuni giorni fa Silvestro Scotti, segretario nazionale della Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg), questa scelta riguarda un paziente su tre, fra quelli con sintomi sospetti. Lo conferma anche il dottor Massimo Ciccozzi: «È così, non si vuole rischiare di dover rimanere a casa obbligatoriamente per almeno una settimana, che poi diventano due in caso di positività al tampone in uscita. Per questo, non appena si sentono meglio, queste persone escono, magari per non perdersi il concerto o la festa estiva, ma il rischio di focolai aumenta e sicuramente ha influito nella nuova ondata».

Non si “denuncia” la malattia per evitare l’isolamento

Anche per questo il ministero della Salute ha rivisto la durata della quarantena, ora a 5 giorni. In Spagna e nel Regno Unito non esiste più l’isolamento da diverso tempo, in Germania e negli Usa dura 5 giorni, così come in Francia e in Grecia. «Bene aver ridotto l’isolamento perché Omicron è differente rispetto a Delta o ad Alfa. Credo che se dopo 3 o 4 giorni di sintomi questi finiscono, si potrebbe anche uscire, ma indossando la mascherina fino a completa negativizzazione – chiarisce Ciccozzi – Il tampone, però, non deve essere fai da te. È importante per over 80 e fragili. Altrimenti antigenico ma fatto da persona giusta».

I limiti del tampone fai da te: troppi falsi negativi

«I tamponi casalinghi hanno dei limiti, ma i numeri parlano chiaro: il 30-35% dà falsi negativi, per molti motivi. Il primo, sicuramente, è che conta molto la manualità. Se non si esegue correttamente, prelevando un quantitativo adeguato di campione (il che può essere fastidioso), non dà un risultato attendibile. Ma non dimentichiamo neppure che il fai da te non è sensibile né come l’antigenico rapido effettuato in farmacia, né come i molecolari» spiega l’epidemiologo.

I sintomi da non sottovalutare dopo il tampone fai da te

«Con Omicron 5 sappiamo che sono maggiormente interessate le alte vie respiratorie, quindi soprattutto la gola, a differenza delle precedenti varianti che colpivano soprattutto quelle basse e i polmoni in particolare. I sintomi, quindi, sono mal di gola, mal di testa, tosse e febbre che può essere più o meno alta. Ma in generale non devono preoccupare di per sé. Il vero e unico campanello d’allarme è la saturazione: se l’ossigenazione scende sotto 90 si deve andare in ospedale, a maggior ragione se si tratta di pazienti anziani come gli over 80 o i fragili» chiarisce il dottor Ciccozzi.

Omicron 6: cosa c’è di vero?

Nei giorni scorsi si è diffusa, soprattutto sui social, la notizia dell’arrivo della variante Omicron 6: cosa c’è di vero? «Non esiste. Persino il ricercatore che ne ha parlato per primo, Francois Balloux, ha detto di essersi sbagliato e che si trattava di uno scherzo. Io penso che non fosse uno scherzo, ma che abbia commesso un errore nelle valutazioni» spiega Ciccozzi, riferendosi a quanto twittato dal direttore dell’UCL Genetics Institute e professore di biologia computazionale presso l’University College di Londra. Le sue parole, specie il riferimento al fatto che la presunta Omicron 6 possa lasciare danni al cervello, è stata ritenuta una boutade.

Neanche la variante Centaurus esiste

«Io chiarirei anche che le prossime varianti e sottovarianti non saranno più contagiose, ma semplicemente saranno frutto dei tentativi del virus di eludere il sistema immunitario per sopravvivere». Insomma, niente terrorismo: «Anche della famigerata Centaurus, con un nome così terrificante, non si sta parlando già più» aggiunge l’epidemiologo.

Antivirali: ci sono ma non vengono usati

«Più che inseguire le sottovarianti, sarebbe importante lavorare alla Sanità sul territorio. In oltre due anni non si è fatto nulla. Anche sul fronte delle cure, gli antivirali sono un esempio significativo: da tempo è disponibile il Pavloxid (sotto forma di pastiglie orali prodotte da Pfizer), con tanto di piano terapeutico messo a punto dal Ministero. Ma di fatto è difficile metterlo in atto: a prescrivere l’antivirale, da assumere i primi giorni di malattia da parte di soggetti a rischio di evoluzione negativa, potrebbe essere anche il medico di famiglia, ma solo se è sicuro che sia necessario. Non tutte le farmacie, poi, lo hanno perché è molto costoso (circa 600 euro) e quindi andrebbe ordinato, con tempi che si allungano. Il risultato è che ci si rivolge all’ospedale dove viene somministrato via flebo. Non solo, quindi, aumentano i posti letto occupati, ma si rischia di dover buttare le scorte acquistate, perché a dicembre scadranno» osserva Ciccozzi.

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