Uccidono il padre che le violentava: rischiano fino a 20 anni

Sta per iniziare il processo a tre sorelle che in Russia nel 2018 uccisero il padre-padrone. Rischiano da otto a vent'anni di carcere. In Russia le violenze domestiche sono state depenalizzate e le donne, anche se reggono l'economia del Paese, subiscono una cultura profondamente maschilista e gerarchica

Divide la Russia e sconvolge il mondo il processo che sta iniziare alle tre sorelle che poco più di due anni fa uccisero il padre stupratore e torturatore. Ci sconvolge per la morbosità delle violenze contro di loro ma anche perché non capiamo come mai le ragazze rischiano pene che oscillano tra gli 8 e i 20 anni.  Le tre sorelle Khachaturyan (Kristina, Angelina e Maria) che all’epoca avevano 19, 18 e 17 anni, saranno processate per omicidio premeditato. Possibile? 

L’accusa è cambiata in questi due anni

Come riporta il Corriere della Sera, al processo si arriva dopo vari rinvii, durante i quali l’accusa è cambiata più volte sotto la pressione di un dibattito molto acceso: in Russia la violenza familiare e in particolare quella sulle donne è un fenomeno in grave escalation, che divide la società, schierata su fronti opposti. Da una parte la Chiesa e lo Stato, dall’altra l’opinione pubblica. Per questo, contro le tre sorelle l’accusa in un primo tempo era di premeditazione, poi il viceprocuratore l’aveva riformulata – sotto l’insistenza delle Ong schierate con le donne – riconoscendo che le ragazze «avevano agito per difendere se stesse». Ora invece, dopo pressioni di ambienti legati alla Chiesa e settori più conservatori, si è giunti a una nuova modifica: le sorelle avrebbero agito «spinte da una forte ostilità nei confronti del padre».  Questo non ci risulta difficile da capire.

Mikhail, un padre-padrone torturatore

Leggiamo che Mikhail (questo il suo nome) poche ore prima della morte era tornato da una clinica psichiatrica e aveva torturato le ragazze, minacciandole con un coltello. Era un eroinomane senza occupazione, legato alla mafia russa, abusava da anni di loro e – come riferisce il Daily Mail in un articolo del 2018 – su una in particolare avrebbe compiuto anni sessuali di cui la ragazza avrebbe delle prove. Ne controllava i movimenti con una telecamera di videosorveglianza e impediva loro di andare a scuola. La moglie (che l’aveva denunciato più volte) era fuggita, con lei anche il figlio maggiore, mentre le ragazze erano rimaste con lui. Un amico di famiglia racconta che «le picchiava sempre» e un giorno aveva portato tutte, moglie compresa, in una foresta minacciando di ucciderle. 

La superstizione scambiata per devozione

In questo scenario da film horror, pian piano affiorano altri particolari che ci fanno intuire il clima in cui l’omicidio è avvenuto. L’uomo era estremamente superstizioso e aveva riempito la casa di immagini religiose. Era stato pure in pellegrinaggio a Gerusalemme. Certo proprio pio non era se Kristina, la maggiore, al momento dell’arresto disse alla polizia: «Lo odiavamo e volevamo che sparisse o non averlo mai conosciuto».

La violenza in famiglia per i russi è un fatto educativo

Ma perché, nonostante tutti questi dettagli, le ragazze rischiano una condanna fino a 20 anni? Chiediamo a un’esperta della società russa di aiutarci a rispondere. È Anna Zafesova, che scrive appunto di Russia per varie testate (La Stampa, Il Foglio, L’Inkiesta). «Il caso fa discutere perché da tempo è incandescente il dibattito sugli abusi nelle famiglie. Sotto la pressione della Chiesa ortodossa, sono diminuite le pene per le violenze domestiche per cui i primi episodi vengono sanzionati solo con multe amministrative. In Russia è normale che un padre punisca il figlio, quindi la questione delle violenze viene ricondotta a un ambito educativo: lo scappellotto è sacrosanto. Parliamo di una società gerarchica costruita a gradini, per cui il superiore ha diritto di imporsi su chi sta sotto. È un contesto dove regna il “nonnismo” a tutti i livelli, quindi quando il piccolo crescerà, sarà a sua volta violento con chi è più piccolo di lui. È un’idea di ordine che si riproduce a tutti i livelli: nei rapporti politici, lavorativi, scolastici». Ogni padre di famiglia per i russi è un piccolo Putin. «Putin è il padre della patria e questo modello si riproduce in una sorta di franchising ovunque: ogni governatore, sindaco, preside è un micro Putin, chiunque sia un capo è un padre-padrone. Quindi è normale che questo accada anche in famiglia».

Uccidere il padre è inconcepibile

Certo le violenze sessuali sono su un altro piano. «Al limite, però, secondo l’opinione pubblica, le ragazze avrebbero dovuto ribellarsi in modo meno estremo. Il parricidio in una società costruita sulla devozione a chi sta sopra, è inconcepibile, anche sulla base di violenze così eclatanti. Teniamo conto, poi, che il sesso per i russi è ancora un tabù, non se ne discute liberamente; figuriamoci ammettere che in una famiglia possano accadere abusi di questo tipo» spiega la nostra esperta.

Per le donne la violenza domestica è normale

Da tempo le Ong, sostenute da una parte dell’opinione pubblica, protestano contro le violenze domestiche, cresciute – come in tutto il mondo, Italia compresa – durante la pandemia. Si parla di 9.600 vittime ogni anno, contro i 300 casi diffusi dal Governo. Eppure le donne faticano a denunciare e a capire che la violenza da parte del marito è un fatto anomalo. «Non si tratta di un problema legato all’indipendenza economica. Il 98 per cento delle donne in Russia studia e lavora, molte si dedicano alle professioni legate alla scienza e alla medicina: il Paese si regge sul lavoro delle donne. In famiglia sono loro a gestire le finanze. Per i russi, insomma, il dibattito tutto occidentale sull’emancipazione femminile non si pone. A tutti gli effetti, legalmente, le donne in Russia sono equiparate agli uomini. Eppure, la violenza in famiglia è accettata. E questo è davvero un gigantesco paradosso».

Il potere è un fatto maschile

Anche se quasi tutte lavorano, in realtà ai vertici le donne sono poche. Il potere, insomma, è un fatto tutto maschile, trasmesso in modo conservatore e con rituali da cameratismo di antico stampo. «È normale per i russi agganciarsi a cordate di potere che nascono, per esempio, giocando insieme a hockey o incontrandosi alla sauna, magari anche con delle prostitute. Chi è un partner d’affari, un amico, prenderà poi dei pezzi di Stato. Le relazioni private si mischiano con quelle pubbliche e da tutto ciò le donne sono escluse, a meno che non siano amanti, a cui il potente affida aziende (elargite a fronte magari di un figlio illegittimo), o a cui loro stesse fanno da prestanome».

Le donne avallano questo sistema

Il problema è culturale e affonda le radici su come le donne si vedono: per loro, anche se lavorano, la realizzazione passa attraverso il marito. È impensabile per una russa media vivere senza un uomo. Anche per questo accettano, ridendoci su per prime, certa comicità greve con battute ormai “vecchie” per noi, come quelle sulla donna al volante». Ma siamo sicuri che, per noi, questi siano retaggi del passato? Siamo sicuri che una buona parte di noi non sia ancora legata all’immagine di una donna sempre pronta a sedurre, o a caccia di visibilità? Intanto certa tv, piena di stereotipi, ci vede – e ci propone – proprio così

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