sveva moretti disabile con mamma e papà

Vivere con un disabile: quando tutto dipende da una malattia genetica

Capita che la disabilità irrompa in una coppia e travolga i sogni e le aspettative dei neo genitori. Ma poi tutto si assesta e si ridefiniscono gli spazi e gli equilibri, come succede nella famiglia di Sveva, che abbiamo incontrato. In collaborazione con la Lega del Filo d’Oro, diamo voce, qui e sul giornale, alle famiglie che lottano con la disabilità. E se questa esperienza tocca anche voi, scriveteci qui

La malattia genetica è quell’imponderabile che ogni genitore in attesa di un figlio cerca di tener lontano dal suo mondo di immagini, sogni e pensieri. Quando aspetti un bambino, con gli occhi della mente vedi come sarà, come sarai tu e come sarete in coppia. Ma cerchi di non dare forma alla paura più nascosta, quella che tutti in fondo abbiamo: cioè che questo bambino abbia una malattia rara, porti con sé bisogni molto speciali, così particolari da sconvolgere il tuo orizzonte di vita. La piccola Sveva, che incontro a Porto Recanati dove vive con i suoi genitori, ha una di queste malattie rare, la Sindrome di Charge, di cui la Lega del Filo d’Oro è centro di riferimento nazionale per la diagnosi, la cura e le terapie. La sindrome, dal nome così morbido, morbida non è per niente: danneggia la funzionalità di parecchi organi e costringe a diversi interventi chirurgici nei primi anni di vita. La diagnosi non è difficile, ma ciò che trasforma l’esistenza di questi bambini rendendoli autonomi e capaci di comunicare i loro bisogni è la riabilitazione. Per questo è importante trovare un’équipe di specialisti pronti a capire e a intervenire sulle capacità dei bimbi, per valorizzarli al meglio e aiutarli a recuperare.

La Sindrome di Charge colpisce un caso ogni 10mila nati. La roulette della vita. Quale legge della chimica, della biologia o del Cielo (per chi crede) può regolare questa incidenza? Enigma surreale, questo, che si porta dietro domande su cause e responsabilità. Perché poi, ci chiediamo, anche avere un nome contro cui combattere – una sindrome, un morbo – basta ad alleviare il sentimento di disperazione e frustrazione? Forse no, però aiuta. Nella nebbia che disorienta un genitore che va per tentativi, di consulto in consulto, ricevere una diagnosi certa e avere un team di riferimento aiuta molto. È un pugno nello stomaco che ti annienta, ma che poi diventa una dichiarazione di guerra perché conoscere “il nemico” e affrontarlo con le persone e l’assistenza giuste, può fare la differenza in questa battaglia che dura una vita.

Ascoltando Mascia, la mamma di Sveva, capisco che nell’universo della disabilità non esistono assiomi: molto dipende dal tuo atteggiamento. «Il destino, è vero, segue percorsi imprevedibili, e il caso a volte domina la nostra volontà. Eppure, alla fine, io sono convinta che quello che deve accadere d’importante e bello nella nostra vita accadrà comunque». Mascia è una giovane donna di 40 anni e col marito Gianluca ha cercato per diverso tempo di avere un figlio. Poi è arrivata Sveva, che ora di anni ne ha tre. «A me è già capitata una cosa bellissima, poter abbracciare la mia bambina nonostante tante difficoltà per vederla nascere. Il fatto che lei ora sia così speciale, me la fa sentire ancora più preziosa».

Settimio Benedusi
1 di 10

Sveva ha il senso dell’udito non completamente sviluppato, ma le coccole di mamma e papà passano per una via che non conosce disabilità: il cuore. 

Settimio Benedusi
2 di 10

Settimio Benedusi
3 di 10

Settimio Benedusi
4 di 10

Come tutti i bambini, anche Sveva ama guardarsi allo specchio e scoprirsi. Da quando ha iniziato a camminare, l’appuntamento con quella faccina che la scruta dall’altra parte dello specchio è diventato fisso. Un rito di stupore, tenerezza e fiducia.

Settimio Benedusi
5 di 10

Settimio Benedusi
6 di 10

Settimio Benedusi
7 di 10

Settimio Benedusi
8 di 10

Gianluca, il papà, ha rivoluzionato i suoi ritmi di lavoro per stare con Sveva: si alza alle 5 ogni mattina per lavorare al computer e dopo, quando la bimba è svelgia, si dedica alle telefonate. Dietro i suoi primi passi decisi c’è sempre lui, attento che la bambina non cada.

Settimio Benedusi
9 di 10

Anche se ha tre anni, Sveva beve con il biberon. La Sindrome di Charge provoca problemi di deglutizione e respirazione, che si risolvono con un intervento chirurgico e le terapie giuste. Come quelle che la bimba segue alla Lega del Filo d’Oro di Osimo.

Settimio Benedusi
10 di 10

E Sveva, più che rara come la sua malattia, è unica: è la dimostrazione di come l’inevitabile non accade mai, l’inatteso sempre. Di come, insomma, anche le leggi della medicina possano essere soggette all’imponderabile. Perché la “sua” Sindrome di Charge è tutta particolare: questa bimba è uno dei pochissimi casi al mondo in cui la malattia si manifesta in forma lieve. «Sveva non doveva neanche sentirci, e invece ci sente con l’aiuto di un apparecchio. Dovrebbe avere una paresi facciale e altre malformazioni, che invece non ha. Non dovrebbe possedere senso dell’equilibrio, e invece cammina». E come se cammina! Questo scricciolo di tre anni, che veste abitini da 16 mesi e pesa appena otto chili, è un trottolino che sgambetta ininterrottamente per casa con passo incerto ma coraggioso. «Sono il suo coraggio e il suo istinto di essere come gli altri, che la stanno aiutando e la aiuteranno sempre, ne sono convinta. Per me Sveva è una bambina come tutti. Nell’ultimo anno ha fatto progressi incredibili, assolutamente inattesi secondo alcuni medici: ma io sono la sua mamma, solo io sono riuscita a farla scattare in avanti e a capire che era pronta per passare all’alimentazione solida e camminare con il girello». È vero: l’istinto e la capacità di ascolto di una mamma fanno sempre la differenza. È lei che diventa il fulcro della vita del suo bambino, lo specchio dei suoi disagi e dei suoi progressi. Ma da sola Mascia, e le altre mamme come lei, pur dotate di grande coraggio, non ce la farebbero: ed è qui che entrano in gioco il supporto e l’esperienza dei terapisti della Lega del Filo d’Oro, angeli che bucano la disperazione dei genitori e la trasformano in una quotidianità positiva e costruttiva.

Le mamme conoscono i loro cuccioli meglio di chiunque altro. Per questo i papà, spesso, faticano a “infilarsi” in un rapporto così viscerale, fatto di parole non dette, sguardi che vanno oltre i sensi, intuizioni veloci. Anche Gianluca, il marito di Mascia, ha avuto le sue difficoltà: «Non sono riuscito a prendere in braccio Sveva per tanto tempo. Io volevo tornare a casa dall’ospedale con i palloncini e festeggiare, invece dall’ospedale non ci siamo usciti per un anno. Ho vissuto momenti critici con mia moglie perché lei non capiva la mia angoscia e la preoccupazione per il futuro della nostra bimba».

L’irruzione della disabilità in una coppia come la loro, spensierata e piena di sogni, non poteva non provocare un cataclisma. Capita che, di fronte a tutto ciò, i papà fuggano, si buttino nel lavoro o si facciano travolgere dalle passioni giovanili. Oppure si ammalino, mentre le mamme si proiettano sulle loro creature in modo totalizzante, lasciando che questo universo parallelo in cui la coppia è capitata divori tutto il resto. «Sono sicuro che col tempo tutto si ammorbidirà. Ho faticato ad accettare questa rivoluzione ma ora ce l’ho fatta. Ho lasciato il lavoro di prima per essere più presente e aiutare mia moglie. Mi sono pian piano plasmato su una situazione più grande di me, di noi. E pensare che prima io decidevo tutto in prima persona, lavoro, casa, cambiamenti, tutto dipendeva da me».

Questo papà, però, è riuscito con amore ad adattarsi a una novità così travolgente. Guardo come ha ridefinito i suoi spazi, i suoi gesti e il suo essere uomo, e mi sembra l’esemplare vincente di una specie catapultata all’improvviso in un altro ecosistema. Si dice che gli anziani si sentano isole, lontani e staccati dalla terraferma dove stanno tutti gli altri. Ma i disabili allora sono atolli. Sono lì da vedere, difficili da abitare. Sono un’isola con un buco in mezzo, una laguna difficile da vivere, certo, ma tutta da scoprire. Un cerchio imperfetto, un puntino che parte storto ma non si perde come una tangente. Piuttosto si curva, si chiude lentamente come un abbraccio e ridefinisce uno spazio dentro il quale si forma e vive un altro ecosistema, più unico che raro.

Avete anche voi storie di disabilità da raccontarci?

Se anche voi vivete una situazione di disabilità in famiglia, scriveteci qui. Stiamo raccogliendo commenti e storie, da pubblicare qui e sul giornale. Potete scrivere anche alla mail: [email protected].

Per saperne di più sulla Lega del Filo d’Oro

La Lega del Filo d’Oro, presente in 8 regioni con Centri Residenziali e Sedi territoriali, da più di 50 anni assiste, educa e riabilita le persone sordocieche e con deficit psicosensoriali, cercando di portarle all’autonomia per inserirle nella società. In Italia sono 189mila le persone sordocieche, di cui oltre la metà confinate in casa, non essendo autosufficienti. Quasi il 50% di queste persone ha anche una disabilità motoria e 4 su 10 hanno anche danni permanenti legati a una disabilità intellettiva. In 7 casi su 10 le persone sordocieche hanno difficoltà ad essere autonome nelle più semplici attività quotidiane come lavarsi, vestirsi, mangiare, uscire da soli. Un “esercito” di invisibili con disabilità plurime di cui spesso s’ignora l’esistenza.

Per informazioni: legadelfilodoro.itnumero verde 800904450

Leggi anche:

Vivere con un disabile: la storia di Sofia

Vivere con un disabile: e se si tratta di un fratello?

Vivere con un disabile: quando arriva l’adolescenza

Vivere con un disabile: cosa vuol dire avere una sorellina disabile

Vivere con un disabile: quando sono gli altri a occuparsi di tuo figlio

Vivere con un disabile: quando diventi dipendente dagli altri 

Vivere con un disabile: cosa vuol dire perdere la vista da grandi 

Vivere con un disabile: l’importanza di chiedere aiuto 

Quando diventa autonoma una persona disabile?

(in collaborazione con Lega del Filo d’Oro)

Riproduzione riservata